Robe da chiodi

C’è Gio Ponti a sorpresa nei sotterranei della Borsa

leave a comment

A Milano, in Palazzo Mezzanotte (lì per il primo giorno di quotazione di Vita spa: una partenza sprint), nella sala sotterranea, appena sopra i resti, sepolti nel vetro del teatro romano, c’è una sorpresa: tutti i pilastri sono ricoperti di ceramiche disegnate da Gio Ponti e realizzate da Richard Ginori. Altro gioiello, scaturito con quella naturalezza che fa grande l’Italia degli Anni 30. Ci sono tanti motivi decorativi tracciati su piastrelle quadrate. E poi una decina di grandi figure femminili, venditrici serene: figure spiazzanti del mercato nel palazzo del mercato azionario. Sono elementi decorativi, senza nessuna prosopopea: messi lì per rasserenare gli sguardi

Proprio l’altra settimana su Casa Amica era uscito un sevizio su un altro gioiello di Gio Ponti, in questo caso anni 50: gli uffici Alitalia di New York, rivestiti con ceramiche di Melotti, tutto di un azzurro raggrumato…

Written by gfrangi

Ottobre 22nd, 2010 at 9:35 pm

Padiglione vaticano alla Biennale? C’è chi aveva già svelato il mistero

leave a comment

Oggi Pier Luigi Panza sul Corriere dedica un articolo sull’annunciato padiglione Vaticano alla Biennale 2011. Cerca risposte ma non ne trova, anche se sui primi programmi il Padiglione non compare. Avrebnbe dovuto leggersi il Blog di Luca Fiore per trovare la risposta che cercava. Tutto rinviato al 2013. Il neo cardinale Gianfranco Ravasi autorevolmente dixit (peccato, se ci è permesso un commento…)

Written by gfrangi

Ottobre 21st, 2010 at 7:54 am

Elio, Manzoni e noi: Viva Renzo

leave a comment

Parole intercettate a Lecco nella giornata manzoniana.

Stefano, davanti alla sfilata degli Adda di Morlotti. «Questa è l’Orangerie di Lecco».

Elio, al Teatro della Società, nei panni di Renzo: «Quando si fa la strada che da Milano porta a Lecco, strada incasinatissima bisogna pensare che quella era la strada percorsa da Renzo scendendo a Milano. Allora ti si apre il cuore e quella strada diventa bella».

Anna: «Io nella cantina della Monaca ci starei una giornata intera».

Io: La cosa forte di Manzoni, che regge pur trasportata ai giorni nostri, è l’assetto di fronte alla vita. È un assetto in cui il bene torna sempre a galla, per quanto si tenti affondarlo. I volti portentosi dei quadri esposti nelle Scuderie di Villa Manzoni esprimono l’energia positiva e carica di affettività per il mondo e la vita propria di questo assetto di fronte all’essere (diceva con la sua energia umana e intellettuale don Giussani: «Moralità è l’assetto della persona di fronte all’Essere, cioé di fronte alla vita, all’esistenza, come origine, consistenza, destino»).

Testori (nel testo la Confermazione di renzo ripubblicato nel bellissmo catalogo – complimenti ragazzi!): «… Manzoni scriveva che (Renzo) vi correva “con lieta furia”. In questo straordinario ossimoro, è probabile sia contenuto tutto il grumo centrale del corpo psicologico, ma anche del corpo fisico di renzo. Egli, infatti, agirà sempre tra lietezza e furore. Anzi il romanzo sembrerà svolgersi perché Renzo possa, alla fine, coniugare i due contrari, giusto come li aveva coniugati all’inizio….». Geniale. Come si fa a non amare Renzo?

Written by gfrangi

Ottobre 18th, 2010 at 6:57 am

Appunti sul Lotto visto naso a naso

leave a comment

Visita ai restauri (nella sede del Credito Bergamasco).

La pala di San Bernardino.

La luce arriva dall’alto da destra. Impressionante il buio in cui Lotto fa precipitare la balaustra sul lato sinistro del trono. La luce poi batte sulla fronte dell’angelo e ne lascia gran parte del volto in ombra, ma la sua ombra gettata sul basamento ha qualcosa di innaturale. Viene quasi da pensare che in realtà sia l’ombra di un personaggio che sta fuori dal quadro. L’ombra di Lotto? (a proposito di ombre: che dire del Dio padre che come un fantasma un po’ spaventoso si alza nello sfondo della Trinità? Ombre, ombre…)

Nel tendaggio verde che fa da fondale, Lotto apre un piccolissimo pertugio in basso che lascia intravvedere il paesaggio. Bellissima la firma con la doppia LL maiuscola, legata con grande eleganza. La Madonna con il suo manto carminio, ha le maniche come fossero delle guaine, aderentissime. È una fissazione di Lotto, che ha molto a che vedere con gli inguainati di Pontormo. Vestiti come doppia pelle, sintomi di paranoia manierista.

Comunque un quadro straordinario. Perfetto nelle sue geometrie e in via di impazzimento appena appena affondi nei dettagli (il profilo spiritato di Bernardino, gli incarnati declinanti – premesse di disfacimenti a venire – di Giovanni e Antonio).

Il Polittico di Ponteranica.

L’angelo lo vedi a 30 centimetri. Per lui luce che viene da destra ma vento da sinistra (quello che gli solleva i capelli). Un’aspirazione a smaterializzarsi. Curioso il cornino di luce che spunta davanti alla fronte (c’era anche nell’angelo della pala di san Bernardino). L’ago di luce passa da destra a sinistra anche la testa del Cristo redentore. Qui da notare le fontanelle di sangue che approdano tutte nel calice dalle cinque piaghe. Nel calice il sangue cadendo rimbalza in minuscole goccioline. Cenni fantasmagorici nei riflessi del calice: studiatissimi ma sfuggenti a una lettura.

Nella figura di Maria, due pentimenti: il leggìo a cui dà una sterzata radicale con quello scorcio vertiginoso, e il braccio destro leggermente abbassato, per seguire la posa di Maria che si china. Di Maria: labbra come con un tocco delicato di rossetto. E la solito sottomanto che diventa come una guaina. Poi l’aureola: Lotto le trasforma in dischi di vetro, con la circonferenza che riflesste la luce (in questo caso quella della colombra sopra l’angelo annunziante).

Written by gfrangi

Ottobre 18th, 2010 at 6:53 am

Posted in pittura

Tagged with

L’uovo di Gaudenzio

leave a comment

Pareti di un cielo azzurro, striato di biancori,  molto domestico, uno sviluppo per piccole sale, arrampicate in quella che un tempo era la casa Parrocchiale e che Claudio Cavadini ha trasformato in un museo lindo e civilissimo. La Pinacoteca Züst di Rancate accoglie la mostra sul Rinascimento nel Ticino, curata da Giovanni Agosti, Marco Tanzi e Jacopo Stoppa. L’accezione di Ticino va ovviamente oltre il Cantone, ed è così che tra le opere esposte ne è arrivata una commovente e spiazzante che arriva da Morbegno. È una tempera di Gaudenzio Ferrari (la paternità è stata riconosciuta da Giovanni Romano), riemersa da un delicato restaturo, che ne ha salvato il disegno, la disposizione spaziale, cioè l’intuizione creativa “scattata” in Gaudenzio. Il soggetto è la Nascita di Maria. La prima cosa che colpisce è la disposizione circolare; il centro della tela è libero, e attorno ruotano i protagonisti, ciascuno intento ai suoi compiti. Quel vuoto in realtà è come un perno, attorno al quale si svolge una danza pacata: la danza della quotidianità. Colpisce come il niente a cui è ridotta la pittura di Gaudenzio esprima ostinatamente un senso di pienezza. È come un frammento di umanità compiuta, nel senso più profondo del termine. Umanità calma, che raccorda visibilmente ogni gesto ad un destino in cui è chiuso il senso di tutta la vita, non solo di quest’attimo. La costruzione circolare esprime questo ritorno rituale delle cose di ogni giorno; ma nello stesso tempo le iscrive in un ordine, le lega in un disegno unico (e Gaudenzio con il suo disegno sembra rimandare al disegno giusto del Padreterno).

Infine notate quale preziosismo nella banalità: Sant’Anna, nel letto dove ha partorito, sta riprendendo forze mangiando un uovo (se l’uovo è elemento che per forza deve avere qualche valenza simbolica, qui non c’è da arrampicarsi sugli specchi: Gaudenzio ci dice che la perfezione non è estranea alla quotidianità).




Written by gfrangi

Ottobre 10th, 2010 at 11:04 am

Tutti a riveder l’angelo di Lotto

3 comments

L’angelo di Lotto è tornato a volare. Lo si può vedere, a restauro concluso, il sabato e la domenica  sino al 17 ottobre alla sede del Credito Bergamasco, in Largo Porta Nuova, in centro a Bergamo. Insieme al polittico di Ponteranica, si vedono la Pala di San Bernardino e la Trinità di Sant’Alessandro.

I primi due in particolare sono capolavori per i quali l’aggettivo sublime non è pronunciato invano. Mi dicono che il fondo dell’angelo, sempre visto nero, è diventato di una tonalità terra che fa esplodere con ancor più forza i rosa folli del manto. Ci sarebbe da ragionarci, su quest’angelo (1525 circa; la foto è prerestauro). È la prima volta che un’Annunciazione viene raccontata non come rapimento estatico, o abisso contemplativo, ma anche nella sua portata di sensualità. C’è l’aspetto conturbante della vita che imprevedibilimente, in un istante, s’innesta e comincia. Testori (che scrisse uno degli articoli più belli nella sua militanza al Corriere della Sera su quest’angelo: scaricatelo qui L’angelo di Lotto) l’avrebbe detta “sperdutezza”.

PS: al piano basso della banca, c’è l’installazione by my brother. Un dilagare di glicini.  Il titolo è pertinente e fa quasi da legante: Divina.

Written by gfrangi

Ottobre 1st, 2010 at 8:02 am

Per favore, non togliete la mano di Cattelan da Piazza Affari

10 comments

Ha una forza iconica impressionante la mano mozzata di Maurizio Cattelan in piazza Affari a Milano (qui una foto). Sistemata su un plinto alto almeno una decina di metri, disegnato con sapienza in armonia con i motivi architettonici della piazza, ha una semplicità e insieme un’energia che dialettizza con gli spazi un po’ metafisici della piazza. Non si pensa al significato ironico del monumento, ma si resta sorpresi dallo spiazzamento che provoca, dal corto circuito di quel marmo bianco, come di una classicità resa monca. Cattelan dimostra una grande capacità di regia dello spazio; ne sente lo spirito, ne interpreta gli equilibri, li metabolizza e li scavalca senza umiliarli.

Una bella piazza, disegnata con la sapienza architettonica che l’Italia degli anni 30 aveva ancora connaturata nel suo Dna, diventa in tutto e per tutto una piazza contemporanea. Energia di oggi calata dentro un pezzo di tessuto di storia che è nostra storia.

Per favore, non togliete Cattelan da quella piazza.

(Cattelan ha avuto poi l’intelligenza di proporre una sfida: sa la scultura se ne va, lasciate il plinto, come base per altri che vogliano accettare la sfida di mettere le loro opere in mezzo alla piazza. Come sulla colonna di Trafalgar Square a Londra. Almeno questa sfida raccogliamola!)

Written by gfrangi

Settembre 26th, 2010 at 11:25 am

Posted in art today

Tagged with ,

Warhol come uno spettro

2 comments

Nel catalogo della mostra dedicata all’ultimo decennio di Andy Warhol (che Maria mi ha gentilmente portato da NY), ad un certo punto compare l’infilata degli autoritratti “atomici” del 1996. Warhol li aveva fatti nel 1986, un anno prima di morire, su commissione del gallerista londinese Anthony D’Offay per una mostra nel suo spazio. Warhol si fece fotografare da Benjamin Liu, con una posa ispirata ai cappelli rasta di Basquiat. In realtà la posa è di una drammaticità da resa dei conti finali, con la bocca semiaperta e i capelli che s’impennano sulla testa come per un fremito apocalittico. D’Offay volle quadri a taglio più stretto, senza il gioco dei capelli e con  l’epicentro sullo sguardo e la bocca aperta. Warhol, in mostra, girava ossessionato. «La stanza era piena dei peggiori quadri che tu abbia visto di te stesso», disse. Finita la mostra (era agosto) continuò la serie prendendo tutta la fotografia. Lo sguardo è quello, ma i capelli accennano a un moto ascensionale che comunica un senso di mistero: come quello di un’anima che se ne va, in alto…

Ma è un’anima chiamata a una drammatica collutazione come dimostrano i due ultimi quadri della serie, che non avevo mai visto (sono conservati a Pittsburg). Qui il volto si riduce, naviga  nello spazio vuoto della tela, che è molto più piccola (quadrato, 35 cm di lato, contro i 2 metri e passa delle versioni precedenti; la scanzione qui sotto è parziale: la rilegatura catalogo non permette di prendere tutto lo spazio vuoto attorno) Spariscono anche i colori. Resta solo un bianco nero terrificante come quello di uno scalpo indiano.  Sembra davvero la scena finale di un film, che va a sfumare. Lasciando lo spettatore nell’incubo. Difficile vedere delle immagini di tale intensità premonitrice di morte. È un Warhol che toglie il fiato.  Un fantasma che non lascia scampo a tutta la beata ideologia warholiana. Il 22 febbraio 1987 Warhol moriva.



Written by gfrangi

Settembre 21st, 2010 at 10:29 pm

Basilico, Michelucci e la città-corpo

one comment

Dice Gabriele Basilico in una bella intervista di presentazione della nuova mostra dedicata alle fotografie su Istanbul, aperta a Milano alle Stelline. Che cos’è una città? «Un’entità organica in movimento. Una dilatazione del nostro corpo. Qui sta il problema di Milano: come ha scritto Carlo Guglielmi, presidente di Fontana Arte, Milano è una città che non è più amata. Essere amata vuol dire prendersene cura, invece è come se il nostro corpo non ci appartenesse più, fosse un’intrusione».

Questa visione della città mi ha fatto venire alla mente un episodio che mi avevano raccontato alcuni amici, laureati in architettura. Quando erano studenti, negli anni 70, avevano chiesto a Giovanni Michelucci, il grande architetto fiorentino che aveva realizzato tra l’altro la Stazione di Santa Maria Novella, di guidarli in una visita di Siena. Michelucci accettò. Quando i ragazzi arrivarono a piazza del Campo, invece di iniziare con le spiegazioni disse loro di vivere la piazza per un’ora come meglio credevano, giocando o anche sdraiandosi sul selciato.  Finita l’ora li radunò e senza aggiungere parole li accompagnò a vedere la maestà di Duccio. Anche qui nessuna parola, ma una sola raccomandazione: guardatela, fissate bene l’oro della Maestà. Alla fine disse: «Ecco, adesso conoscete Siena».

Mi piacciono queste  due posizioni. Perché ci dicono che tutti gli infiniti discorsi sulle città, belle o brutte che siano,  non considerano il presupposto essenziale che le città  sono prolungamenti del nostro corpo.  Comunque sia non ci sono estranee. Non prendetela per una bella idea morale. Questa è un’idea del tutto architettonica.

Written by gfrangi

Settembre 17th, 2010 at 5:18 pm

Cattelan, il bambino che sono io

3 comments

Bellissima l’intervista di Francesca Bonazzoli a Maurizio Cattelan, apparsa sul Corriere. Qui la potete leggere in integrale. Io ne ho fatto uno smontaggio a temi (così bella da chiedermi se queste parole non siano un compimento dell’opera stessa. Cioé necessarie alla loro esistenza. Comunque colpisce il venire a galla dell’anima bambina di Cattelan: questa è la sua forza)

Un trittico perfetto «Molti dei miei lavori migliori sono frutto o di errori o di situazioni come questa dove sei costretto a trasformare in positivo gli imprevisti. Alla fine le tre opere che esporrò a Palazzo Reale sono un trittico perfetto, la mia famiglia autobiografica: il padre, la madre e il figlio. Se mi fossi seduto a tavolino non mi sarebbe venuta in mente una mostra così». Ha messo in mostra la sua famiglia? «È una famiglia disfunzionale, come è stata la mia: il padre fa il Papa; la madre sostituisce il figlio in croce e il figlio non riesce a comunicare se non battendo il tamburo».

Il Papa colpito dal meteorite. «La statua di papa Wojtyla è un lavoro del 1999 che era nato in piedi, ma non mi convinceva. A una settimana dalla mostra cominciai a pensare a come distruggerlo. Alla fine mi venne l’ idea del meteorite e fu come un’ illuminazione: capii che avevo abbattuto la figura del padre. Questo è quello che sanno fare i lavori importanti: se io ho avuto un’ epifania, allora può averla anche qualcun altro». Chissà come sarà contento suo padre a leggere questa rivelazione. «A diciassette anni tentai di strangolarlo; fu allora che andai via di casa. Di giorno lavoravo otto ore, alla sera andavo a scuola: niente divertimento. Ma avevo bisogno di silenzio intorno a me: la casa era piccola e noi eravamo in troppi. È stato il cruccio di mia madre che era orfana e ha rivissuto l’ abbandono».

Il bambino che sono io. Il bambino tamburino allora è lei?  «Decisamente: non posso togliermi dalla partita. Penso di essere un caratteriale, forse da piccolo molto più di adesso. Mia mamma, presa dalla disperazione, venne a chiedermi cosa non andava. Mi ricordo mezz’ ora di silenzio dove nella mia testa c’ erano migliaia di inizi di possibili dialoghi che non hanno mai preso forma verbale. Non era solo l’ incapacità di esprimere le mie necessità, era un blocco emotivo. Io non avevo un tamburo, ma usavo il silenzio. Come ho montato il bambino nella sala delle Cariatidi è perfetto: è in alto sul cornicione, solo e distante; c’ è e non c’ è. Non è a livello delle altre figure ma è sospeso nel punto di vista esterno dello spettatore, quello che ho sempre usato nella vita».

Mia madre in croce. Dunque la donna crocifissa è sua madre, quella che non l’ ha mai baciato? «Nell’ arte la donna è la Madonna e la rappresentazione della bellezza, ma nella mia famiglia la donna era sofferenza. Quest’ opera per me non è mai nata come una crocifissione invertita, ma in questo trittico mi sento di giustificarla come la mia visione domestica femminile». Non pensa che il bambino tamburino e il Papa assieme nella sala delle Cariatidi faranno pensare agli scandali di pedofilia che hanno colpito la Chiesa? «Si possono smembrare le opere e dare anche letture di attualità. Però l’idea a monte è unire tre opere che hanno significato moltissimo per me».

Il dito medio a piazza Affari. Si aspetta polemiche come per i manichini impiccati a Milano nel 2004 che furono tolti dopo un solo giorno? «Questa ormai è una mostra certificata e già discussa sulla stampa. Quando andremo a vederla qualcuno si chiederà perché c’ è stato tanto rumore per nulla. Anche la statua della mano in fondo viene da un’ immagine classica come quella della mano di Costantino ai Musei Capitolini. Se non ci fosse stata la precedente avventura milanese sarebbe stata una mostra senza tanti problemi. Quando dicono che sono un manipolatore o un pubblicitario, io dico: voi che fate i giornali, i blog, siete i manipolatori. Io produco, sono gli altri che parlano».

50 anni con i calzoncini corti. Ma lei non era il ribelle dell’ arte? Non le dà fastidio che questa mostra arrivi, come dice lei, certificata? «Non ho mai perseguito polemiche o strategie del ribellismo. Sono felicissimo che il vicario episcopale per la Cultura della diocesi di Milano, interpellato dal Comune per non urtare la Curia, abbia visto quello che in realtà è la statua del Papa: un lavoro spirituale che parla di sofferenza. Il titolo La Nona Ora allude a quella in cui Cristo, sulla croce, chiede al Padre perché l’ ha abbandonato, ma il Papa cadente si aggrappa al crocifisso. Certe cose hanno bisogno di tempo per essere digerite. Forse dieci anni non sono ancora abbastanza». Il 21 settembre compirà cinquant’ anni. Un bilancio? «Mi sento ancora con i calzoncini corti, come se fossi cresciuto durante l’ ultima notte. Sono il primo a essere sorpreso di essere arrivato qui integro».

Written by gfrangi

Settembre 14th, 2010 at 7:35 am