Robe da chiodi

Archive for the ‘design’ Category

Da Albini a Ponti, l’Italia delle geniali cose da poco

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In questi giorni bazzicando qua e là per il Salone del mobile, mi sono seduto su una sdraio larga e ospitale disegnata da Vico Magistretti (foto sotto), sull’agile Superleggera di Gio Ponti, su una seggiola anche lei leggerissima di Chiavari che un gruppo di ragazzi appassionati ha deciso di rilanciare ( foto sopra; andate a vederla anche sul sito www.segnoitaliano.it). Poi ho rivisto il Veliero di Franco Albini, rimesso in catalogo da Cassina (foto sotto). L’ho rivisto collocato in un contesto simil casa, restare aereo e sospeso, seppur carico di libri. Cose geniali, che non temono di esser anche cose da poco. Cose semplici e leggere, che mettono di buon umore. A Venezia il 20 riaprono il negozio Olivetti disegnato da Scarpa restaurato: leggendo l’articolo di Fulvio Irace che lo annuncio, scopro che ha una dimensione di 20 metri di profondità per solo 5 di larghezza. Dalle foto me ne ero fatto idea di uno spazio fluido e senza ristrettezze: magie di Scarpa. È vero, è un pezzo di magnifica archeologia, visto che la realtà produttiva che aveva fatto essere quel gioiello è stata spazzata via. Ma è pur sempre un altro sintomo di un’Italia che non vuole perdersi.

Sono spezzoni di un’Italia magnifica, che sapeva trovare risposte alte a questioni banali. Anche Koolhaas ne ha parlato alla biennale per la democrazia di Torino, ha avuto parole di elogio per l’architettura italiana di primo Novecento, facendo coraggiosamente riferimento anche all’architettura della stagione fascista. Ha elogiato l’indistinto tipico di certe aree urbane della prima metà del Novecento, dove tutto era aperto, «anche la possibilità di avventura», in confronto agli spazi urbani superorganizzati di oggi, dove «ogni metro è occupato da un’opera d’arte, ogni percorso è definito, dove niente può più avvenire. Angosciante».

Written by gfrangi

Aprile 18th, 2011 at 8:01 am

Se Mendini e la Triennale conquistano il New York Times

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È una bella notizia di fine anno il riconoscimento che il New York Times ha dato al museo del Design della Triennale nell’allestimento di Alessandro Mendini, come miglior mostra dell’anno nell’ambito del design. È bella perché del tutto meritata in quanto la mostra di Mendini è stata concepita fuori da tutte le logiche da conventicola. È una mostra democratica nel senso vero della parola, nel senso che riguarda la vita di tutti, che ci risparmia complicate alchimie interpretative ed è fruibile davvero da tutti. Soprattutto è una mostra fatta con amore verso l’Italia, con stima appassionata nei suoi valori, nella sua energia, nelle sue capacità creative. In un’intervista concessa in occasione di questo riconoscimento a Repubblica, Mendini ha detto che in particola questa mostra consacra non tanto chi immagina oggetti di design ma chi li produce. Perché il mondo è pieno di buoni designer, ma se non ci fossero le aziende italiane capaci di rendere realtà le loro idee, resterebbero solo sogni o aspirazioni irrealizzabili. In Mendini e nella sua mostra si ritrova quella moralità tutta italiana che declina il bello e l’utile evitando la spettacolarizzazione. Ed è un’Italia che continua a vivere e produrre, nonostante le tante cassandre travestite da intellettuali.

Written by gfrangi

Gennaio 2nd, 2011 at 10:52 pm

C’è Gio Ponti a sorpresa nei sotterranei della Borsa

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A Milano, in Palazzo Mezzanotte (lì per il primo giorno di quotazione di Vita spa: una partenza sprint), nella sala sotterranea, appena sopra i resti, sepolti nel vetro del teatro romano, c’è una sorpresa: tutti i pilastri sono ricoperti di ceramiche disegnate da Gio Ponti e realizzate da Richard Ginori. Altro gioiello, scaturito con quella naturalezza che fa grande l’Italia degli Anni 30. Ci sono tanti motivi decorativi tracciati su piastrelle quadrate. E poi una decina di grandi figure femminili, venditrici serene: figure spiazzanti del mercato nel palazzo del mercato azionario. Sono elementi decorativi, senza nessuna prosopopea: messi lì per rasserenare gli sguardi

Proprio l’altra settimana su Casa Amica era uscito un sevizio su un altro gioiello di Gio Ponti, in questo caso anni 50: gli uffici Alitalia di New York, rivestiti con ceramiche di Melotti, tutto di un azzurro raggrumato…

Written by gfrangi

Ottobre 22nd, 2010 at 9:35 pm

Viva il non-museo del design

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Il Museo del Design, alla Triennale di Milano, si è rinnovato per la terza volta, come accade ogni anno in vista del Salone del Mobile: un’idea giusta e azzeccata di Davide Rampello, perché il design se museificato è finito (il Moma da questo punto di vista ha solo da imparare…). Il design è un organismo vivo e anche quando viene storicizzato resta con quelle caratteristiche. E non basta una semplice turnazione degli oggetti, ci vuole un’idea espositiva su misura. La Triennale ha pensato alla formula di affidare ogni anno un museo “effimero” a grandi nomi del design: quest’anno è toccato ad Alessandro Mendini.

Mendini ha ruotato il suo museo sull’idea di presentare 800 oggetti che hanno fatto la storia e il vissuto del nostro quotidiano dal dopoguerra a noi. Un’idea semplice, molto orizzontale, che elimina l’alto e il basso, le differenze tra oggetti di serie A e di serie B. Con il design questo si può fare, senza fare nessuna demagogia: perché la genialità di un oggetto può scendere dall’intelligenza del suo creatore, ma può anche salire dal  basso per l’energia anche estetica che gli ha dato una consuetudine condivisa. Il percorso segue la meravigliosa struttura del palazzo di Muzio, e gli oggetti sono appoggiati a in basso come su delle isole in cui sono stati raccolti e radunati secondo un flusso impercettibile ma ben ragionato (le didascalie sono su leggii ai quattro angoli di ciascuna isola e sono l’unico  elemento difficoltoso dell’allestimento di Pierre Charpin: un semplice volantino ai visitatori non sarebbe stato meglio?). Si inizia con la poesia di Catullo in cui è la nave del poeta a raccontare ciò di cui è fatta (primo testo di critica del design della storia: così viene presenatata). E si finisce con l’Italia alla rovescia, icona di Fabro. In mezzo un flusso di 800 oggetti che si richiamano l’un l’altro. La serie di statue di Sant’Antonio con il Bambino, realizzate dal miglior laboratorio artigianale, è affiancata ad una serie parallela di cavatappi Lagostina, in piedi e abraccia aperte. «Quali cose siamo» è il titolo che Mendini ha dato al suo “museo”. Ed è un titolo azzecatissimo (c’è il vestito dentro il quale navigava Totò, ma c’è pure il bastone del pastore Guglielmo, bergamasco…). Viva il design orizzontale. E viva questa Milano sempre viva…

Sito in allestimento del Museo

E qui invece una sorprendente Babele, idea con cui si chiude la mostra.

Written by giuseppefrangi

Marzo 28th, 2010 at 2:23 pm

Brera 200 anni, senza gas

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Si riprende.

200 anni di Brera. Tanta gente in coda. E il solito scalone assediato dai cantieri, il solito disordine nel cortile, i soliti progetti fermi da 40 anni, la solita penuria di risorse. Una domanda sbarazzina: ma quando l’Alfa ha chiamato un suo modello Brera (nella foto: niente da dire sul design, c’è dell’arte…) ha pagato qualche royalties o la cultura italiana è tutta sul mercato a costo zero? Se qualcuno ne sa me lo dica.

alfa-romeo_brera_01

Written by giuseppefrangi

Agosto 28th, 2009 at 12:11 pm

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Le rondini di Milano

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Tre mostre, un paradosso. Fabio Novembre alla Besana è un magnifico involucro praticamente senza sostanza. L’allestimento è la sostanza. Esalta, dopo l’anticamera buia, lo spazio della Rotonda. Il lungo serpentone nero s’avvita tra le colonne e s’arrampica sino alla volta. A Palazzo Reale, per Balla e Canova, i rapporti si rovesciano: allestimenti da fiera di paese, per due rassegne che non mancano di capolavori. Balla è satto sistemato su pareti di truciolato appena rese decoroe da una lucidatura. Soprattutto le pareti hanno un andamento leggermente obliquo come fossero quelle di una nave da crociera. Soffitti ribassati grazie a teli bianchi tirati da un lato all’altro: effetto mare anche qui (allestimento firmato da Daniela Volpi). Per Canova basamenti di simil cartapesta con la pretesa di imitare i fastigi degli ambienti degli zar (persino il bookshop è allestito con grotteschi banconi in stile neoclassico). Gli ambienti delabré e polverosi del povero Palazzo reale milanese decisamente non reggono il gioco. Meglio quando gli ambienti si fanno nudi e lasciano venire a galla il coté cimiteriale di questa scultura (allestimento Roberto Peregalli e Laura Sartori Rimini).

Su Balla si deve tornare. Il movimento diventa arabesco: trova la chiave giusta Maurizio Cecchetti nella recensione (Avvenire). Come gli arabeschi delle rondini che Balla ricama. Le rondini che Novembre fa volare sulle volta della Besana.

Written by giuseppefrangi

Maggio 1st, 2008 at 9:27 pm