Robe da chiodi

Archive for the ‘Bacon’ tag

C’è Bacon sul tavolino di Polanski

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I quattro libri sul tavolo della casa di Carnage, l’ultimo film di Polanski: Bacon (catalogo Skira), Kokoschka, Foujita, The Last Supper di Andy Warhol. Libri che appartengono a Penelope Longstreet (Jodie Foster). Su Bacon c’è anche un sinteticissimo dialogo, mentre le due protagoniste sfogliano il volume con un certo imbarazzo Pagine girate in punta di dita…). Nancy Cowen (Kate Winslet): «Orrore e magnificenza». Penelope Longstreet: «Ordine e caos». Un film con un titolo così non poteva che rendere il suo debito a Bacon: un film – carneficina che si consuma tutto dentro la stessa scatola ambientale. Ma l’attaccamento affettivo di Penelope è tutto per il libro londinese di Kokoschka, epicentro della grottesca vomitata di Nancy. Mi sembra quasi un rifugio dai precipizi baconiani…

Written by gfrangi

Ottobre 2nd, 2011 at 9:26 pm

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Hirst parla di Bacon: “Non si può non guardarlo”

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La Tate ha realizzato un filmato con Damien Hirst davanti allle Tre figure sotto la Croce di Francis Bacon. L’inglese è praticamente incompresnibile. Grazie a Cristina Barbetta che me ne ha fatta questa trascrizione

Ho incontrato Bacon per la prima volta nella libreria della galleria d’arte di Leeds.
Mi sono sempre piaciuti i suoi dipinti.
Quando ho incontrato Bacon per la prima volta stavo dipingendo ed ho quasi rinunciato a dipingere perché tutti i miei dipinti erano dei cattivi Bacon!
Il dipinto di Bacon che probabilmente mi piace di più è le Tre figure ai piedi della Croce, come in questo dipinto (Crocifissione 1965). Se lo guardi più da vicino si dissolve, è un dipinto astratto.
Ti fa pensare a quanto siamo fragili.
Questi sono probabilmente i miei dipinti preferiti di quando ero bambino: questi due: questo e questo…. La Crocifissione e …. E probabilmente la pala centrale è la più incredibile che io ricordi – Tre Studi per una Crocifissione 1962.
Penso che questi siano tutti dei grandi dipinti. Se li guardi da una certa distanza devi guardare la rappresentazione, e quando vai più vicino si dissolve, quindi sai che è la tua mente che ha creato il tutto, la mente dello spettatore, piuttosto che l’abilità dell’artista.
Questi dipinti hanno una grandissima forza, sono veramente incredibili e ti fanno pensare che siamo qui per un buon periodo di tempo, ma non per un lungo tempo.
I dipinti di Bacon sono sempre enigmatici, ti colpiscono in un modo positivo.
Ti scioccano sempre in un certo senso.
Come artista ho sempre cercato le scintille/gli inneschi universali. Gli artisti cercano sempre qualcosa che inneschi qualcosa piuttosto che un’interpretazione.
Dopo che ti sei allontanato fisicamente da un dipinto di Bacon, il dipinto rimane nella tua mente per un lungo tempo, per giorni, se non addirittura per anni.
A Bacon piaceva una mia opera, il Fly piece.
Ho cercato di fare un dipinto tridimensionale, perché ovviamente stavo pensando a Bacon.
Ho iniziato a dedicarmi alla scultura credo in relazione o in reazione con l’opera di Bacon.
Poi sono stato chiamato da questa galleria d’arte e mi hanno detto che Bacon è rimasto a guardare la mia opera (A Thousand Years 1990) per un’ora, ma non so se questo sia vero.
E poi Bacon ha detto: “Funziona” (riferito all’opera, n.d.t).
Penso che fosse un grande complimento per Bacon, che notoriamente non faceva elogi.
Amo molto il dipinto The Head 1947-1948 di Bacon.
L’ho visto la prima volta quando ero uno studente.
Mi ricordo di averlo visto e di avere notato l’orecchio. L’ho dipinto così tante volte che è diventato tridimensionale, come un vero orecchio.
Ero scioccato nel vedere che in origine un dipinto è bidimensionale, ma che può diventare tridimensionale…. e diventa un fantasma, è vivo, è morto e il dipinto ti chiama in un certo qual modo.
Non puoi guardarlo e allo stesso tempo non puoi fare a meno di guardarlo.
Penso che Bacon avesse questa visione molto scura, molto negativa del mondo.
Anch’io divento sicuramente più negativo quando guardo il mondo nel modo in cui lo guardava Bacon. Questo è il motivo per cui amo così tanto i dipinti di Bacon.
Le sue opere mi fanno pensare agli spazi che vedo negli incubi: per questo penso che sia grande.

Written by gfrangi

Settembre 12th, 2011 at 9:15 pm

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Arte contemporanea in Vaticano. A rischio di banalità…

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Oggi Il Corriere annuncia a tutta pagina, in apertura di cultura, la prossima mostra che si aprirà in Vaticano e che rappresenta un primo passo concreto dopo l’incontro tra il Papa e gli artisti avvenuto lo scorso anno. La regia è ovviamente del cardinal Ravasi, la sede espositiva l’aula Paolo VI; larga e “alta“ la lista degli artisti invitati, gran parte dei quali hanno già garantito l’invio dell’opera richiesta sul tema «Splendore della vita, bellezza della carità». Per giudicare bisogna vedere (per ora si vede solo l’opera che l’immancabile Paladino ha già preparato e che il Corriere pubblica… dèja vu). Mi fa riflettere però un passaggio dell’articolo di Vincenzo Trione: «Talvolta, pittori, scultori e fotografi – da Nitsch a Hirst, da Serrano a Cattelan – si sono limitati solo a proporre sterili esercizi blasfemi, tesi a profanare e airridiere il sacro». A parte che sui nomi avrei qualcosa da discutere (Nitsch non mi sembra per niente irridente, ad esempio), è la questione della blasemia che mi lascia davvero interdetto. Non vorrei che si etichettasse come tale ogni tentativo di uscire dalla banalità, dal generico spirtualismo, di stringere i nodi drammatici del vivere. Magari prendendosi dei rischi, magari stando borderline rispetto al buon gusto o all’accettabilità delle proprie opere. La cosa che più manca a quasi tutti i tentativi di approcciare l’arte religiosa oggi è la carne. È arte che si posiziona su una soglia nobile e condivisa e di indagine e riflessione spirituale, guardandosi dall’affondare nella questione che invece il cristianesimo ha portato dentro l’arte: il fattore della “fisicità di Dio”. Io penso che da questo punto di vista Bacon con il suo Trittico del 45 resti un paradigma vero. Un punto in cui l’irriducibilità della presenza di Cristo si palesa come scandalo. Nitsch, con tutti i limiti e le sue fissazioni, è su quella strada: e mi colpisce la sua insistenza certamente ossessiva. Anche Hirst a volte è riuscito a toccare quelle corde.
Recentemente, rileggendo il libro dei dialoghi tra Jean Guitton e Paolo VI mi sono trovato davanti a questo pensiero del grande Montini: «Questo mi ricorda una cosa: quando collaboravo (con Maurice Zundel) a una rivista, avevamo rovesciato la frase di san Giovanni: “e la carne” dicevamo con l’audacia dei giovani “si è fatta parola”. Et Caro Verbum facta est. Non tutti i teologi ci avevano capiti, e riconosco che loro critiche erano giuste, ma bisognava capire che noi volevamo solo dare una definizione dell’arte e in particolare dell’arte cristiana. La materia è divenuta parola, una parola di Dio». La questione credo sia proprio questa: che la carne si faccia (di nuovo) verbo (ricordo che Paolo VI aveva accettato un Bacon per i Musei Vaticani).

Written by gfrangi

Giugno 9th, 2011 at 8:56 am

Un autunno di mostre mostruose

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Pensavo in questi giorni, osservando i lanci stampa delle mostre che arrivano sul tavolo, che siamo nella stagione delle “mostre mostruose”. Qualche esempio: Il Potere e la Grazia, a Palazzo Venezia. Un’enigmatica indagine su ruolo e immagine dei santi patroni, in Europa. Mostra dai grandi mezzi, con qualche prestito da capogiro (arriva la tavoletta di Van Eyck da Torino, un quadro che neanche a Torino tengono espsoto sempre per preservarne le condizioni: vi pare una cosa logica?). Benché ci sia dietro Ravasi, sembra un concertone di grandi nomi che cercano disperatamente un’ultima ribalta. Ma i patroni, giganti della nostra storia, sono ormai figure drammaticamente marginalizzate nella coscienza collettiva. Meglio tentare di rappresentare il dramma di questo oblio che non la retorica dei tempi andati.

Altro esempio: la mostra pavese con la carrellata di seconde scelte del 600 spagnolo provenienti dall’Ermitage. Leggo oggi sul Corriere che la legittimazione culturale della mostra sta nel fatto che nel 1525 a Pavia si combattè la battaglia che consegnò la Lombardia alla Spagna. Dal che uno deduce che si fa una mostra sugli influssi che la cultura figurativa iberica ha avuto sull’arte lombarda del 600, ad esempio sulla cultura dei pittori pestanti. Nient’affatto. Nessun confronto, nessuna indagine sul tema. Semplice carrellata di quadri, trangolati dalle collezioni di Caterina II (l’unica cosa buona è che qualcuno almeno scoprirà che a Pavia c’è la bellissima Pinacoteca Malaspina…).

Tra le mostre malpensate temo ci sia anche quella romana su Caravaggio e Bacon, che come mi riferiscono amici autorevoli è mal allestita e penalizza il grande inglese, finito nel tritatutto della spasmodica mania caravaggesca che ormai pervade l’Italia.

Al che mi sono detto: ma se si voleva fare una mostra per mettere in rapporto Bacon con il passato c’erano almeno tre ipotesi più pertinenti e più intelligenti:

  1. Portare il ciclo dei papi urlanti di Bacon a casa loro, cioè a fianco del mitico Innocenzo X di Velazquez che ne è il prototipo ispiratore.
  2. Mettere Bacon a confronto con i disegni di corpi di Michelangelo, altro punto genetico della sua pittura.
  3. La più fascinosa: Bacon con il Crocifisso aretino di Cimabue. Nel suo studio di Londra lo teneva appeso rovesciato, per percepirne con più forza la straordinaria torsione. Non ci vuol molto a capire quanto potente sia stata quella suggestione su di lui.

A la prochaine…

Written by giuseppefrangi

Ottobre 7th, 2009 at 5:48 pm

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Mostre autunnali, di data e di fatto

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Un utile calendario sul sito di Repubblica elenca le mostre della prossima stagione. La crisi si sente: sono in gran parte cose in tono minore, che a volte sembrano rimediate per non tenere chiuse le sedi. C’è il confronto Bacon Caravaggio alla Borghese, ma mi sembra più una cosa per fare qualche fuoco d’artificio nel segno degli artisti da scandalo, che una cosa convinta. Rischia di essere uno schematismo facile, che ostruisce la comprensione dell’uno e dell’altro. Hopper a Milano è una mostra quasi da centro commerciale: del resto è stata lanciata in stile centro commerciale, con quei patetici manifesti con le foto dei fans dell’artista americano, attaccati in giro per la città. A Roma a Palazzo Venezia, per una mostra insulsa intitolata il Potere e la Grazia spostano addirittura il Van Eyck di Palazzo Madama a Torino: auguriamoci che sia solo un falso annuncio.

Provo a segnare le mostre che non perderei. 1. I disegni di Michelangelo architetto a Roma, ai Musei Capitolini. Se n’era vista una tre anni fa a Vicenza. C’è di mezzo il Museo Buonarroti. Sarà seria. 2. Calder a Palazzo dell Esposizioni: non lo amo, nella sua leggerezza un po’ gratuita ma s’ha da vedere. Mi confermerò nell’idea che in Melotti c’è infinitamente più poesia. 3. Gli Sforza a Vigevano. Non ne so molto, ma quanto meno è l’occasione per tornare dopo tanto tempo in una delle piazze più belle d’Italia. 4. Sarebbe poi bello andare sul Pollino a vedere le grandi installazioni di Kapoor, Penone e Höller. Ma ci van troppi chilometri.

Written by giuseppefrangi

Settembre 3rd, 2009 at 5:36 pm

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Piccolo ragionamento scandaloso su Francis Bacon

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Mi è capitato recentemente di proporre in termini forse poco canonici, un caso Bacon: quest’anno del resto è anche il centenario dalla nascita.

Il punto di partenza è questo: non si deve restare ostaggio di uno sguardo reattivo, che finisce ovviamente con il privilegiare l’aspetto “orrorifico” della sua opera. Il focus drammatico e se si vuole, anche blasfemo, di Bacon esiste. Ma è un errore restarne soggiogati. A dispetto dell’intensità a volte folgorante delle sue tele, Bacon ha bisogno, da parte nostra, di uno sguardo calmo e controllato. Tutto il suo processo creativo obbedisce a una scommessa, a una sfida drammatica più volte ribadita, con molta lucidità, nelle sue interviste: voler andare oltre l’apparenza e approdare «a un più profondo senso dell’immagine». Bacon vuole sfuggire dalla mera illustrazione della realtà, per agganciare un livello più profondo e più «acuto»: acuto nel senso di voler rapportare, nell’immagine, la realtà al suo senso. Per fare questo, il suo primo atto, è quello di agganciarsi a immagini già così forti e strutturate dentro la storia delle arti figurative. Sono immagini che lui percepisce come degli archetipi, come dei punti genetici. Per questo si appoggia all’Innocenzo X di Velazquez e poi alla Crocifissione di Cimabue, che, com’è noto, teneva, nel suo studio rovesciata.

Bacon non è il primo artista del 900 che riscopre l’iconografia della Crocifissione, ma in tanti casi anche celebri, si era trattata di una riscoperta quasi per forza d’inerzia: in un secolo ferito da cicli di inaudita violenza dell’uomo sull’uomo, la Crocifissione è diventata un’immagine simbolo, quasi per necessità: l’unica immagine in grado di dare rappresentazione adeguata di tanta crudeltà. Ma la Crocifissione ridotta a metafora dell’attualità storica e sganciata dal nesso con il destino dell’uomo nella sua integralità, è una Crocifissione depotenziata. E la riprova se ne ha osservando come nessuno, da Nolde a Picasso, abbia saputo fare un salto di coscienza formale affrontando questa immagine cruciale. Per tutti si è trattato semplicemente di un cambiar soggetto, senza muovere ne è forma né stile.

crucify3baconCon Bacon invece avviene un processo opposto (nell’immagine il pannello di destra di Tre studi per una Crocifissione, 1962). La sua Crocifissione (o le sue figure ai piedi della Croce) parte da un punto genetico del passato per esplodere in modo clamoroso nel presente. E in quel punto genetico c’è la parte che mancava al resto del 900: cioè il nesso tra la Crocifissione e il destino dell’uomo. O, più precisamente, con il mistero dell’uomo, cioé quell’inscindibile nodo che lega la bellezza della carne alla sua finitezza ( e la connessa domanda di eterno). La Crocifissione in Bacon cessa di essere metafora e torna ad essere corpo presente. Con tutto lo scandalo che l’uscir di metafora porta con sé. Con Bacon, volenti o nolenti, Cristo torna ad essere un fatto vero, assolutamente e brutalmente reale. Torna a ingombrare la storia dell’arte dopo decenni o forse mezzi secoli di astinenza. Che poi quelle immagini possano risultare sconvenienti da mettere in Chiesa è tutto un altro discorso e anche comprensibile. Però liquidarle dalla coscienza resta uno scandalo.
Per tutto questo sono assolutamente convinto che le Tre figure ai piedi della Croce (19439 con tutte le innovazioni formali che porta sul proscenio della storia dell’arte, siano l’opera cardine del 900.

Written by giuseppefrangi

Maggio 17th, 2009 at 6:31 pm

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Baconiana/1

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Ultime battute dell’intervista con Michael Archimbaud (aprile 1992, pochi giorni prima della morte).

«L’importante per un pittore è dipingere e basta» «Dipingere ad ogni costo» «Sì, anche dei falsi, pur di dipingere».

«Sì, preferisco sempre che le mie tele siano incorniciate e sotto vetro. È un’idea di oggi quella secondo cui i quadri non vanno incorniciati, ma ho l’impressione che, in relazione a ciò che è la pittura, si tratti di un’idea falsa. La cornice è una cosa artificiale, e viene messa apposta per rafforzare l’aspetto artificiale della pittura. Più l’artificio delle tele che si realizzano è evidente, più vale questa consuetudine e più la tela ha possibilità di funzionare, di mostrare qualcosa. Può sembrare paradossale, ma in arte è un fatto indubitabile: si raggiunge uno scopo attraverso l’impiego massimo di artificio, e si riesce a creare qualcosa di autentico quanto più l’artifico è evidente».

Written by giuseppefrangi

Maggio 27th, 2008 at 10:28 pm

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Bacon 86milioni

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Record per il Trittico di Bacon (1976) a New York. Ne prendo un particolare. Difficile per B. sottrarsi al destino di “cristicità“.

Altra frase: «La gente tende ad offesa dai fatti o da quella che una volta veniva chiamata verità».

«Vogliamo qualcosa di nuovo. Non un realismo illustrativo, ma un realismo che scaturisca dall’invenzione di un modo effettivamente nuovo di bloccare la realtà in qualcosa di completamente arbitrario».

Written by giuseppefrangi

Maggio 16th, 2008 at 4:41 pm

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Per cominciare

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Giovedì 24, terza visita alla mostra di Bacon, con Julian e i suoi amici. Fa compagnia la sua voce che dalla sala del filmato deborda nelle sale. Voce chiassosa, sguaiata da pub. La stessa voce che ha inciso sul nastro di david Sylvester questo pensiero: «Per me il mistero del dipingere oggi è il modo in cui rendere l’apparenza. So che può essere illustrata,so che può essere fotografata. Ma come può essere resa in modo da catturare il suo mistero dentro al mistero della sua fattura?»

Written by giuseppefrangi

Aprile 27th, 2008 at 9:17 pm

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