Oggi il Corriere pubblica una nuova puntatata della telenovela monumento a Wojtyla: il Vaticano ha tirato fuori dal cassetto un disegno siglato R (quella di Oliviero Rainaldi), che sarebbe il progetto approvato oltretevere. Ravasi si era molto esposto su questo progetto spiegando come «possa manifestare eloquentemente sia la grande statura spirituale e culturale dell’amto Pontefice». Dal che comunicava il suo «parere del tutto favorevole e positivo per l’opera del maestro Rinaldi». Nel disegno – bozzetto si vede un papa in atteggiamento molto più paterno, con la testa chinata in basso a guardare quindi le persone. Ed era più chiaro il gesto del braccio che apriva il mantello. Un’idea senza infamia e senza lode, ma certamente più accomodante.
Archive for the ‘Gianfranco Ravasi’ tag
Caccia al tabernacolo nelle chiese moderne
La Stampa dà un resoconto di una lectio magistralis del cardinal Ravasi alla facoltà di Architettura di Roma che diventa un po’ un atto di accusa verso troppe chiese costruite come «sale per congressi». Ravasi parla di «opacità, inospitalità, dispersione». (c’era un giudizio stupemndo di Giò Ponti per questo tipo di chiese: “le chiese Pinocchio”). In appoggio due interviste a Botta e Fuksas. Mi colpiva come l’unica preoccupazioone dei due fosse di tipo meditativo-spiritualistico. La Chiesa come luogo che facilita la preghiera. Ma ci si dimentica che la Chiesa è innanzitutto il luogo di una presenza: quella di Cristo nel Tabernacolo. Il resto discende tutto da lì. Invece avete notato che per ragioni (o scuse: la sicurezza) le più varie il tabernacolo dalle chiese moderne quasi scompare, mimetizzato nelle strutture? Davvero chiese Pinocchio… Ci vorrebbe un san Carlo, che quando venne nominato a Milano, sbaraccò il Duomo e impose quel grande ciborio, disegnato da Tibaldi, visibile da ogni parte della Cattedrale.
Padiglione vaticano alla Biennale? C’è chi aveva già svelato il mistero
Oggi Pier Luigi Panza sul Corriere dedica un articolo sull’annunciato padiglione Vaticano alla Biennale 2011. Cerca risposte ma non ne trova, anche se sui primi programmi il Padiglione non compare. Avrebnbe dovuto leggersi il Blog di Luca Fiore per trovare la risposta che cercava. Tutto rinviato al 2013. Il neo cardinale Gianfranco Ravasi autorevolmente dixit (peccato, se ci è permesso un commento…)
Benvenuto il Papa alla Biennale
Chiude una Biennale che ha stabilito un record assoluto di visitatori: prima del weekend finale erano oltre 360mila. Una media giornaliera di 2199, una punta record nel weekend del 17 ottobre con i 10mila sfiorati. Chiude nel giorno della Madonna della Salute, e per questo ai veneziani è riservato un biglietto di 2 euro. La chiusura della Biennale s’incrocia con un altro fatto significativo: l’incontro tra il Papa con gli artisti nella cappela Sistina. Dieci anni fa c’era stata la lettera di Giovanni Paolo II agli artisti, 25 anni fa l’incontro con Paolo VI. Oggi le cose sono ovviamente cambiate, e quel residuo plotoncino di artisti in qualche modo considerati “cattolici” si è assottigliato, nei numeri e ancor più nel protagonismo delle proposte. Per cui la cosa interessante dell’incontro è una presenza vasta e rappresentativa di artisti (in particolare per le arti figurative), che dimostra come ci sia interesse a riprendere un rapporto. In secondo luogo l’altra notizia è che il Vaticano si affaccerà sulla scena della prossima Biennale 2011 con un suo Padiglione, come accade a tutt gli stati. Lo ha annunciato Gianfranco Ravasi, “ministro” della cultura del Papa: «Convocheremo non più di dieci artisti, da tutti i continenti del mondo, e consegneremo loro, come libera base tematica, i primi undici capitoli della Genesi da leggere. Contengono i temi fondamentali dell’essere e dell’esistere: la creazione, la coppia, l’amore, il male, la violenza, l’oppressione dei popoli, il diluvio universale. E non escludo anche di convocare artisti non credenti, perché il nostro scopo non é quello di produrre arte liturgica». Staremo a vedere, con grande curiosità.
Un pensierino finale: la chiesa è stata la più grande committente di prodotti artistici mai apparsa sulla scena della storia. Con la sua committenza e la sua convinzione nella potenza positiva delle immagini, ha fatto esistere dei capolavori assoluti. Ha accettato, a volte con un po’ di scuotimenti interni, anche processi di rinnovamento radicale (Giotto, Donatello, Caravaggio…). Questo per dire che il nesso tra chiesa e arte è un nesso potentemente propagandistico, nel senso positivi del termine (la Chiesa o è visibile o non è). L’arte è mezzo per portare tra gli uomini l’esperienza reale dell’Incarnazione e, di conseguenza, il senso visibile della bellezza e della vittoria. Speriamo che ci vengano risparmiate quindi le vie introspettive, le premure per il dialogo, i cencelli dello spirito… Bisogna osare, altrimenti è meglio un bel padiglione Vaticano vuoto…
Beuys in Vaticano (se ci fosse stato Ravasi)
Gianfranco Ravasi, da pochi mesi “ministro” della cultura vaticana, è un uomo intelligente e non affetto da clericalismo. In un’intervista rilasciata alla Frankfurter Allgemeine Zeitung (e pubblicata questo mese dal Giornale dell’arte) affronta in modo finalmente coraggioso il tema del rapporto tra la chiesa e l’arte moderna. Bacchetta severamente il sin troppo sbandierato nuovo Lezionario in cui sono state inserite opere di Paladino e Chia («artisti validi ma persino i loro lavori sono parsi privi di ispirazione»). Dice Ravasi: «…Forse allora è la chiesa ad aver perso contatto con la creatività». «L’arte contemporanea deve essere presente nei nuovi spazi delle chiese. Ci vorranno anni per dar vita a un nuovo gusto, ma da qualche parte bisognerà pur cominciare». Come esempio di questa incapacità di comprendere quel che di nuovo si presenta sulla scena del mondo Ravasi cita la piccola Crocifissione di Joseph Beuys, del 1963. «La Chiesa avrebbe dovuta acquistarla negli anni 60, sarebbe stata un grande segnale».
La Crocifissione (nella foto) si compone di due flaconi già usati per la conservazione del plasma, vuoti, posati su blocchetti di legno: rappresentano San Giovanni e Maria ai piedi della croce. Nel mezzo un altro pezzo di legno, verticale con una croce rossa in alto. Dissacrante? Non direi. Sofferente, piuttosto. Della sofferenza di un artista che cerca di rappresentare un’immagine sulla quale è incardinata la storia (non solo quella dell’arte), e si trova tra le mani solo questi poveri resti ancora pregnanti di un significato.
Grazie quindi a Ravasi per aver sollevato la grande questione. Ora guardiamoci da chi dice di avere soluzioni in tasca. Su una materia così bisogna procedere, senza enfasi, tentativamente. L’importante è procedere, e prendersi dei rischi. E tenere gli occhi (e anche le porte: quelle delle chiese) aperti.
Post scriptum: l’importante è invece lasciar fuori dalla porta la retorica della presunte, periodiche rinascite del sacro. E lasciar fuori dalla porta anche le “elemosine” di quegli artisti che regalano qualche soggetto sacro per vanità. Meglio il balbettio anche ambiguo di un Beuys. Almeno lui si gioca con le sue domande e l’asprezza dolorosa del suo sguardo.