Un libro patacca, quello recensito da il manifesto martedì. Antonio Forcellino, autore davvero troppo prolifico, ne ha fatta un’altra delle sue: il giallo della Pietà perduta dipinta da Michelangelo e incredibilmente rintracciate in casa di un collezionista americano, ex pilota di jet militari (edito da Rizzoli; sottotitolo senza misure: Un capolavoro ritrovato di Michelangelo). A parte che ci vuole un po’ di coraggio a riconoscere Michelangelo in questa Pietà goffa, con gli angeli rincagnati, il Cristo che sembra perder per strada pezzi di corpo e la Madonna che è una caricatura di qualche sibille della Sistina; a parte questo non si vede perché rinnovare l’insistenza su Michelangelo attratto nella cerchia degli spirituali, quando non c’è autore che più di lui abbia sentito il richiamo, glorioso e drammatico della carne. Michelangelo è l’irriducibilità del corpo visibile. Che sia corpo trionfante o corpo che si smarrisce. Ma l’epicentro è sempre lì, senza esitazioni e a volte persin senza ritegno. Come dice lui stesso, in un verso meraviglioso, «Ma che poss’io, Signor, s’a me non vieni coll’usata ineffabil cortesia?».
(Ricordo una bellissima recensione di Barbara Agosti uscita qualche anno fa su Alias, inserto del manifesto, in cui le tesi di Forcellino venivano smontate e fatte a pezzi…)