Coincidenze: mentre tornano in edicola i Classici dell’arte con il volumetto su Tiziano, in una bancarella ho trovato l’analogo volumetto, anno 1968, editore Sansoni, collana i Diamanti dell’arte, dedicato a Tiziano. Il testo era firmato Alessandro Ballarin. Mi ha incuriosito e l’ho comperato perché è così raro poter leggere testi di questo critico appartato. È un testo di assoluta ortodossia longhiana, ma mi ha colpito per l’intensità e l’intelligenza con cui approccia l’ultimo Tiziano, cioè uno dei momenti più grandi di tutta la storie dell’arte. Ballarin parla di un processo di “espiazione”. «Nelle opere degli ultimi anni non si può dire che forme ispirate al concetto di bellezza classica non siano più reperibili… Esse appaiono, se non sempre, in più di un caso, come recupero cosciente e allora nella forma più paradigmatica, per essere espiate, per un atto di più esplicita espiazione». Intuizione profonda che rende ragione della straordinaria temperie drammatica di quella stagione di Tiziano. «Il dio Termine fuggì dalle cose…», aveva scritto evocativamente Longhi. E nell’espiazione si sperimenta una più profonda conoscenza del mistero della realtà. Tiziano non spiritualizza, non evade, ma al contrario entra ancor di più nel fuoco, nel midollo della realtà.
grazie Giuseppe, grazie Ballarin, grazie Tziano
paola
27 Gen 11 at 11:41 am edit_comment_link(__('Edit', 'sandbox'), ' ', ''); ?>