Robe da chiodi

E questo sarebbe Michelangelo?

2 comments

Un libro patacca, quello recensito da il manifesto martedì. Antonio Forcellino, autore davvero troppo prolifico, ne ha fatta un’altra delle sue: il giallo della Pietà perduta dipinta da Michelangelo e incredibilmente rintracciate in casa di un collezionista americano, ex pilota di jet militari (edito da Rizzoli; sottotitolo senza misure: Un capolavoro ritrovato di Michelangelo). A parte che ci vuole un po’ di coraggio a riconoscere Michelangelo in questa Pietà goffa, con gli angeli rincagnati, il Cristo che sembra perder per strada pezzi di corpo e la Madonna che è una caricatura di qualche sibille della Sistina; a parte questo non si vede perché rinnovare l’insistenza su Michelangelo attratto nella cerchia degli spirituali, quando non c’è autore che più di lui abbia sentito il richiamo, glorioso e drammatico della carne. Michelangelo è l’irriducibilità del corpo visibile. Che sia corpo trionfante o corpo che si smarrisce. Ma l’epicentro è sempre lì, senza esitazioni e a volte persin senza ritegno. Come dice lui stesso, in un verso meraviglioso, «Ma che poss’io, Signor, s’a me non vieni coll’usata ineffabil cortesia?».

(Ricordo una bellissima recensione di Barbara Agosti uscita qualche anno fa su Alias, inserto del manifesto, in cui le tesi di Forcellino venivano smontate e fatte a pezzi…)

Written by gfrangi

Febbraio 3rd, 2011 at 10:42 pm

Monica Vitti, le mani su Giacometti

7 comments

Dedicato a Maria Vittoria, nata oggi, perché abbia la fortuna di vivere in un’Italia di nuovo così.

Un amico sempre all’erta non ha perso il numero dell’Europeo dedicato all’arte. E gentilmente me ne ha fatto avere una copia. Tra tante cose affascinanti (che giornali i giornali di quegli anni…) l’occhio mi è caduto sull’intervista ad Alberto Giacometti, pubblicata dall’Europeo nel 1962. Era un servizio per la presenza del grande Alberto alla Biennale veneziana. C’è l’intervista, secca e allusiva come sempre era suo uso («Ogni passo degli artisti moderni è in questa direzione, in questa volontà di cogliere, di possedere qualcosa che sfugge di continuo»; «È come se la realtà fosse dietro delle tende che si cerca di strappare di continuo»). Girando le pagine sono rimasto folgorato da una foto: si vedono Monica Vitti e Michelangelo Antonioni girare tra le sculture di Giacometti. Una foto stupenda: la Vitti allunga le mani per toccare l’esile figura, Antonioni guarda nel vuoto (era Rothko del resto il suo pittore…; ne mise un’opera nell’Eclisse). Mi ha colpito lei, soprattutto: con una bellezza selvaggia, mediterranea ma già solcata da un’inquietudine libertaria. Immagini di una grande Italia, tutta esposta sulla contemporaneità ma capace di un fascino umano che conquista. E Giacometti è il collante. Sembra di sentir nel sottofondo della foto la sua voce «Ho sempre l’impressione, oppure l’illusione, di fare progressi ogni giorno. È questo che mi fa agire, come se stessi per arrivare a capire il nocciolo della vita. Continuo, pur sapendo che più mi avvicino alla“cosa”, più essa si allontana…. Il mondo mi sorprende ogni giorno di più. Diventa sempre più vasto, più meraviglioso, più inafferabile più bello».

Written by gfrangi

Febbraio 1st, 2011 at 1:01 pm

Apologia della “renzitudine”

leave a comment

Oggi si chiude la mostra di Lecco, dedicata a Testori e Manzoni. È stata un successo oltre ogni previsione (ieri è stato staccato il biglietto numero 9mila). Ma a parte questo consenso, resta la sensazione di aver realizzato una mostra risucita proprio nella sua idea di base e nel suo dispositivo. La chiave di Testori è una chiave straordinaria per entrare in Manzoni. Il legante è il legante del luogo, concepito e vissuto come punto fisico in cui il destino ti viene incontro con indicibile tenerezza. Il luogo: Lasnigo, per Testori, Lecco alla fine e sempre per Manzoni. Lui lascia Lecco ventenne, un addio per sempre. Ma quel luogo per lui resta il luogo del destino. Mi ha sempre impressionato e commosso come Manzoni rende l’impatto che Lecco ha su Renzo che torna alla fine dell’avventura, capitolo XXXVII dei Promessi Sposi (i corsivi sono miei): «Non era mai spiovuto; ma, a un certo tempo, da diluvio era diventata pioggia, e poi un’acquerugiola fine fine, cheta cheta, ugual uguale: i nuvoli alti e radi stendevano un velo non interrotto, ma leggiero e diafano; e il lume del crepuscolo fece vedere a Renzo il paese d’intorno. C’era dentro il suo; e quel che sentì, a quella vista, non si saprebbe spiegare. Altro non vi so dire, se non che que’ monti, quel Resegone vicino, il territorio di Lecco, era diventato tutto come roba sua». Tutta come roba sua: segno di un destino compiuto, di un approdo in porto, di una corrispondenza riacciuffata. Non una storia che finisce, ma una storia che può davvero cominciare… Chi non vorrebbe poter in un momento della propria vita dire quel che Manzoni fa pensare a Renzo in quell’istante?

Written by gfrangi

Gennaio 30th, 2011 at 12:49 pm

Posted in mostre

Tagged with , ,

Un lampo sull’ultimo Tiziano

one comment

Coincidenze: mentre tornano in edicola i Classici dell’arte con il volumetto su Tiziano, in una bancarella ho trovato l’analogo volumetto, anno 1968, editore Sansoni, collana i Diamanti dell’arte, dedicato a Tiziano. Il testo era firmato Alessandro Ballarin. Mi ha incuriosito e l’ho comperato perché è così raro poter leggere testi di questo critico appartato. È un testo di assoluta ortodossia longhiana, ma mi ha colpito per l’intensità e l’intelligenza con cui approccia l’ultimo Tiziano,  cioè uno dei momenti più grandi di tutta la storie dell’arte. Ballarin parla di un processo di “espiazione”. «Nelle opere degli ultimi anni non si può dire che forme ispirate al concetto di bellezza classica non siano più reperibili… Esse appaiono, se non sempre, in più di un caso, come recupero cosciente e allora nella forma più paradigmatica, per essere espiate,  per un atto di più esplicita espiazione».  Intuizione profonda che rende ragione della straordinaria temperie drammatica di quella stagione di Tiziano. «Il dio Termine fuggì dalle cose…», aveva scritto evocativamente  Longhi. E nell’espiazione si sperimenta una più profonda conoscenza del mistero della realtà. Tiziano non spiritualizza, non evade, ma al contrario entra ancor di più nel fuoco, nel midollo della realtà.

Written by gfrangi

Gennaio 26th, 2011 at 9:55 pm

Posted in Mostre

Tagged with ,

Caccia al tabernacolo nelle chiese moderne

9 comments

La Stampa dà un resoconto di una lectio magistralis del cardinal Ravasi alla facoltà di Architettura di Roma che diventa un po’ un atto di accusa verso troppe chiese costruite come «sale per congressi». Ravasi parla di «opacità, inospitalità, dispersione». (c’era un giudizio stupemndo di Giò Ponti per questo tipo di chiese: “le chiese Pinocchio”). In appoggio due interviste a Botta e Fuksas. Mi colpiva come l’unica preoccupazioone dei due fosse di tipo meditativo-spiritualistico. La Chiesa come luogo che facilita la preghiera. Ma ci si dimentica che la Chiesa è innanzitutto il luogo di una presenza: quella di Cristo nel Tabernacolo. Il resto discende tutto da lì. Invece avete notato che per ragioni (o scuse: la sicurezza) le più varie il tabernacolo dalle chiese moderne quasi scompare, mimetizzato nelle strutture? Davvero chiese Pinocchio… Ci vorrebbe un san Carlo, che quando venne nominato a Milano, sbaraccò il Duomo e impose quel grande ciborio, disegnato da Tibaldi, visibile da ogni parte della Cattedrale.

Written by gfrangi

Gennaio 22nd, 2011 at 11:42 am

Una recensione rivelatrice per Bronzino

4 comments

Federico De Melis a mio avviso è il miglior recensore di mostre in circolazione. Sabato scorso su Alias, inserto del Manifesto, ha affrontato la mostra di Bronzino a Firenze, facendo i giusti elogi ma cogliendo una forzatura: Bronzino viene letto dai curatori (Carlo Falciani e Antonio Natali)
nella chiave di pittore naturalista e portato sui terreni che da lì a poco saranno di pertinenza di Caravaggio. In catalogo viene addirittura pubblicata una suggestiva foto scattata nel laboratorio di restauro dove per un incrocio fortuito il Bacco di Caravaggio e l’Eleonora di Bronzino si sono trovati affiancati.

Il naturalismo di Bronzino nulla ha a che vedere con quello di Caravaggio, anche se questa interpretazione si poggia su un saggio di Longhi del 1927, ma è un Longhi ancora segnato, come precisa De Melis, dalle «riserve formalistiche e idealistiche di gioventù». Del resto quello straordinario Crocifisso arrivato da Nizza con fresca attribuzione al Bronzino (ce n’ė un particolare impressionante del busto di Cristo in catalogo), è di un naturalismo rarefatto, levigatissimo nelle forme. Un naturalsimo idealizzato nella sua purezza, al contrario di quello tutto piegato alla realtà del Caravaggio.  È interessante notare con quanta facilità, anche spinti dalle migliori intenzioni, oggi si appiattiscano e omologhino tutte le categorie. C’è come uno scorciamento brutale di prospettiva. Una specie di globalizzazione mentale.

Ad esempio viene meno il dato della matrice territoriale che comunque ogni artista si porta dentro. Il naturalismo di Caravaggio è diverso perché si è alimentato nel rapporto decisivo con la cultura figurativa lombarda. È un dato che già da solo ne fa terreno non raggiungibile da Bronzino. Caravaggio è fisicamente su un altro terreno. Nella prospettiva longhiana questo rapporto con la matrice territoriale non era affatto una ghettizzazione, ma una chiave di comprensione che andava tutta in profondità e che permetteva di leggere con chiarezza i flussi e gli incroci. Oggi invece che tener in debito conto i luoghi sia poco elegante. Così succede che  l’iperrealismo di Bronzino e il realismo di Caravaggio finiscano nella stessa casella.

Written by gfrangi

Gennaio 20th, 2011 at 9:24 am

Museo Novecento, tre Testori ci sarebbero…

leave a comment

Intervistata da Vita la direttrice del Museo del Novecento, Marina Pugliese, risponde alle ossrvezioni avanzate da Arbasino, riguardo le mancanze della raccolta. Sulle fotografie, da Mulas in su,  e su Testori spiega che nelle raccolte comunale non c’era niente. Su Testori in realtà non è così, perché tre suoi quadri della metà degli anni 40, sono nella Raccolta Boschi Di Stefano, che nel 1973 è stata donata al Comune e da cui per fare il Museo del Novecento sono stati prelevatii tantissimi quadri (i Fontana, i Manzoni, i Morandi, per esempio). Nel completissimo Archivio Testori curato da Camilla Mastrota, si possono vedere le tre opere, del periodo picassiano, fatte da un Testori poco più che ventenne (qui a sinistra, La bella giardiniera, 1946; le altre due, qui e qui). Certo non sono i grandi “disegni” della metà degli anni 70 che Arbasino, con l’intellogenza co che contraddistingue sempre i suoi giudizi, avrebbe voluto vedere esposti e che rappresentano una delle punte del Testori pittore. Ma la brava direttrice può comunque contare su tre opere testoriane. Chissà mai…

Sempre sul museo del Novecento: il nesso più bello è sorprendente è quello che lega Boccioni a Fontana. Un mood che attraversa il secolo all’insegna di una concezione spaziale del prodotto artistico. È un’intuizione tutta milanese, molto pragmatica, per nulla intellettualistica: quasi una volontà che l’opera venga partecipata di più, uscendo dai suoi confini. È sperimentalismo che non si chiude nel suo guscio, ma si apre a una fruizione ancora più ampia. La concezione spaziale apre spazi…

(Per questo la fotografia, dopo Fontana, ci sarebbe stata benissimo: documentazione nuova e fedele di luoghi e di spazi, con una disciplina visiva tutta milanese, da Mulas a Basilico).

Written by gfrangi

Gennaio 15th, 2011 at 11:11 am

I più e i meno di inizio 2011 (2)

3 comments

Meno. La casa del Parco (casa Tognella, 1946-53), capolavoro di Ignazio Gardella, è in restauro, fasciata dalle impalcature. Impalcature un po’ più alte del necessario. Dal figlio Jacopo scopriamo che vogliono farle un sopralzo. Autolesionismo demenziale frutto della nuova ignoranza milanese. Dopo aver distrutto la metropolitana di Albini e di Bob Noorda (un capolavoro), si mette mano anche al gioiello di Gardella… A due passi dalla Triennale: speriamo che Davide Rampello alzi un po’ la voce. C’è anche una petizione da firmare (azz.. solo 237 a oggi). E un blog sul quale tenersi informati

Più. La giunta di Milano s’è lavata le mani della mano di Maurizio Cattelan. Nel senso che ha rimandato la decisione di sei mesi, cioè alla giunta che verrà. Un buon segnale, perché Cattelan poteva finire nel tritatutto elettorale, invece l’ha scampata.

Più. Spostandosi a Roma. A pagina 210 dell’intervista al Papa uscita prima di Natale, Benedetto XVI a proposito della presunta ostiulità della chiesa verso le donne, dice che a Roma c’è una chiesa dove i quadri hanno tutti soggetti femminbili. Non dice quale. Chi sa qual è?

Meno. Ho scoperto che Paolo Portoghesi ha progettato una chiesa per il paese umbro in cui risiede, Calcata, dedicata ai Santi Cornelio e Cipriano. Si dimostra che chi costruisce belle moschee non può costruire belle chiese. L’enfasi della struttura a stella che si alza come un cappello da cuoco sembra una macchina scenica per uno spettacolo. Anche a Salerno, qualche anno fa aveva fatto ricorso a questa stanca reminiscenza borrominiana. Ma Borromini è uno di quegli autori cui è sempre pericoloso appoggiarsi… i suoi equlibri, un po’ esoterci, li conosceva solo lui…

Più (?). Ho scoperto anche che Sigmar Polke prima di morire ha realizzato delle vertate per una chiesa evangelica di Zurigo, il Grossmuenster. L’agata è l’elemento e la forma portante. Di una bellezza molto alchemica. A naso però mi sembra più grande il tentativo di Richter nella Cattedrale di Colonia.

Written by gfrangi

Gennaio 11th, 2011 at 6:29 pm

I più e i meno di inizio 2011

5 comments

Più. L’intervista di Damien Hirst a Repubblica. «Quando sei un artista affermato puoi fare quello che vuoi ma devi sta attento a non perderti perché tutti dicono che quello che fai è magnifico, e non è vero. I grandi artisti devono essere in grado di cambia, di non fermarsi mai. I miei eroi sono Francis Bacon, Willem de Kooning, Joe Stummer, gente che non si è mai arresa… L’arte riguarda l’esserci qui ed ora. Cogliere il giorno. Cercare di cogliere la parte migliore del giorno».

Meno. Al museo del 900 dopo oltre un mese di apertura e 200mila visitatori nessuno ha trovato ancora il tempo di mettere le didascalie alle sale di Marino Marini. Il successo ha dato alla testa.

Più. Il Corriere raddoppia le pagine dedicate all’arte, la domenica. Da prendere come un segnale…

Meno. L’illuminazione del Duomo di Milano (visto ieri per la prima volta) dall’interno non mi convince. Viene trasformato in una scatola magica, una visione del tutto innaturale. Oltretutto la luce dei riflettori interni bombarda le vetrate e non agevola certo la visione. Imparagonabile l’effetto, caldo, dialogante che hanno le stesse vetrate viste dall’interno con la luce per la quale sono state pensate.

Più. Carlo Bertelli sul Corriere giustamente ironizza sulla mess’in scena per la presentazione del quadro di Tiziano a palazzo Marino. Un quadro « alquanto maltrattato dai restauratori, è stato spulito… Si esce avendo sorbito la più banale immagine del Rinascimento a Venezia grazie a un filmato in cui la scena veneziana è descritta dal nostro jet set femminile».

Written by gfrangi

Gennaio 10th, 2011 at 8:42 am

Hockney, grazie dei fiori (freschi)

7 comments

David Hockney a 72 anni con spensieratezza giovanile espone a Parigi alla Fondation Pierre Bergé – Yves Saint Laurent (3, rue Léonce Reynaud, Paris 16ème) una mostra dal titolo goloso Fluers Fraîches (qui vedete un bel filmato con intervista a Hockney e immagini girate all’interno della mostra). La novità sta nel fatto che le opere Hockney le ha dipinte su iPad, con l’applicazione Brushes (scaricabile a 3,99 euro). Nella prima sala ha esposto 10 iPad e 12 iPhone sui quali scorrono i disegni. Nella seconda sala le stesse immagini scorrono su un grande schermo. L’allestimento è stato concepito da Ali Tayar, architetto newyorkese che si è ispirato allo studio di Hockney nello Yorkshire. Ne ha parlato Vincenzo Trione sul Corriere della sera. Hockney racconta della felicità di dipingere un’alba alla sei del mattino e di poterla inviare agli amici. Oppure la gioia di dipingere al volo un mazzo di fiori e poterlo regalare a chi si vuole in qualsiasi angolo della terra. Non è ancora chiaro quale possa essere il ritorno commerciale, anche se le immagini sono blindatissime. Ma il pittore non sembra farsene un problema (del resto anche questa “gratuità” è componente importante della “freschezza”). Hockney giura che uno strumento così sarebbe piaciuto a Van Gogh. In effetti i colori trattati dall’iPad hanno dwntro un’elettricità e un’energia che li sottrae a ogni china nostalgica. Sono pieni di energia e di felicità. Hockney, grazie per questi fiori freschi…

Written by gfrangi

Gennaio 8th, 2011 at 2:09 pm

Posted in mostre

Tagged with , ,