Robe da chiodi

Soutine incendia la pagina di Foster Wallace

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«Non so chi è Soutine». Dice così il protagonista di un racconto che sembra un incendio di Foster Wallace Chiesa fatta senza le mani. Soutine è evocato d’improvviso, con un riferimento lasciato lì un po’ incomprensibile, a sorpresa. Ne si capisce la ragione una pagina più avanti quando Wallace dà immagini alle visioni del protagonista, Giorno. «Anche le pennellate del lavoro meglio sognato si possono vedere come ritmi. Il dipinto di questo giorno svela i suoi ritmi contro un terreno dove la luce è soggetta agli influssi del vento… È un terreno dove momenti di calma si alternano a raffiche di luce. Dove gli spazi aperti lampeggiano come nervi malati e alberi chini pendono con un’aura vischiosa che si dispone ad appiccicare un fuoco fluorescente all’erba, dove fascine di lice si accatastano alla base delle staccionate, dei muri, e ondeggiano e rifulgono. Gli orli aguzzi della torre campanaria frangono le raffiche in spettri prismatici».

Sembra davvero una parafrasi di un’opera di Soutine. Cui fa da contraltare nelle pagine successive una lezione sussiegosa di uno strano prete avvizzito sulla Veduta di Delft di Vermeer, «finestre sopra interni dove ogni conflitto è stato risolto». Contestualizza con una punta di cattiveria Wallace: «…legge in tono monotono di come le particolari pennellate di un olandese ammazzano il tempo a Delft. Teste pettinate con cura si voltano obliquamente a guardare l’angolo delle lancette scintillanti dell’orologio . La famigerata eternità delle lezioni del gesuita». Wallace sta dalla parte di Soutine…

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Gennaio 2nd, 2011 at 10:54 pm

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Se Mendini e la Triennale conquistano il New York Times

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È una bella notizia di fine anno il riconoscimento che il New York Times ha dato al museo del Design della Triennale nell’allestimento di Alessandro Mendini, come miglior mostra dell’anno nell’ambito del design. È bella perché del tutto meritata in quanto la mostra di Mendini è stata concepita fuori da tutte le logiche da conventicola. È una mostra democratica nel senso vero della parola, nel senso che riguarda la vita di tutti, che ci risparmia complicate alchimie interpretative ed è fruibile davvero da tutti. Soprattutto è una mostra fatta con amore verso l’Italia, con stima appassionata nei suoi valori, nella sua energia, nelle sue capacità creative. In un’intervista concessa in occasione di questo riconoscimento a Repubblica, Mendini ha detto che in particola questa mostra consacra non tanto chi immagina oggetti di design ma chi li produce. Perché il mondo è pieno di buoni designer, ma se non ci fossero le aziende italiane capaci di rendere realtà le loro idee, resterebbero solo sogni o aspirazioni irrealizzabili. In Mendini e nella sua mostra si ritrova quella moralità tutta italiana che declina il bello e l’utile evitando la spettacolarizzazione. Ed è un’Italia che continua a vivere e produrre, nonostante le tante cassandre travestite da intellettuali.

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Gennaio 2nd, 2011 at 10:52 pm

Arbasino al Museo del Novecento: dove sono Testori e Mulas?

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Alberto Arbasino si è messo in coda per vedere anche lui il museo del Novecento. E ne ha fatto una recensione che, come sempre è un concentrato di brillante e malinconica intelligenza,  per Repubblica. Lo sguardo di Arbasino coglie le occasioni riacciuffate con questo progetto e quelle irrimediabilmente perse per il ritardo con cui Milano è approdata al suo museo (tutti i Boccioni scappati in America e Londra). I quadri in lui suscitano sempre un rimando immediato al rapporto con le persone («Quanti amici perduti») che li hanno realizzati, ad amicizie, a consonanze, «come rivedendo gli artisti accanto alle opere o accanto a un caffè». Bello anche il riferimento a «quell’estremo sommo ghiribizzo milanese: il neon già alla Triennale di Lucio Fontana… emblema di una Milano splendidamente vissuta e poi piuttosto malandata».

Tra le righe sottolineati anche i “vuoti”, cioè le assenze che pesano. Arbasino insiste su due: «non ci sono i grandi importanti disegni di Gianni Testori (a Milano!)». E poi: «Ugo Mulas, qui assente perché gli aeroplani degli sponsor sì, ma la fotografia benché insigne invece no». (il riferimento è allo sponsor Finmeccanica, davvero piuttosto invasivo).

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Dicembre 22nd, 2010 at 9:27 am

Buon Natale (a sopresa) con Dalì

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Un po’ controvoglia ho scritto anche della mostra di Dalì a Milano. Brutta mostra già in partenza, ora anche più brutta perché saccagnata dalle migliaia di visitatori che l’hanno presa d’assalto. Ma è almeno è stata l’occasione per riaprire qualche libro su Dalì, scoprirmi meno indifferente a lui e lasciarmi sorprendere da qualche immagine che non avevo messo nel conto: sono gli acquerelli realizzati per illustrare la Bibbia realizzati nel 1964. Tutti di una semplicità che non ti aspetti. Come se il suo estro vulcanico avesse voluto prendersi una pausa. Questa Madonna che stringe il bambino nella sua nuvola azzurra è un’immagine tenera per questo Natale 2011.

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Dicembre 20th, 2010 at 10:28 pm

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La critica disarmata. Bentornati a Carla Lonzi

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È tornato finalmente in libreria Autoritratto di Carla Lonzi (la casa editrice et al. sta ripubblicando tutti i suoi testi, in edizioni sobrie, molto nello spirtio del tempo…; su amazon.it lo trovate al 30% di sconto). Un libro affascinante da me letto in fotocopie, che precorre tanto modo non di fare critica ma di essere critica di oggi. Ma nella Lonzi cerca sempre un riscontro di verità umana, di coincidenza tra l’avventura dell’artista e la sua (notate il titolo del libro al singolare: tanti incontri con artisti per cercare di capire se stessa). Nella belle pagine che Alias le ha dedicato sabato scorso Barbara Cinelli parla di «una personalità critica volontariamente “disarmata”, per un’innata vocazione piuttosto alla condivisione delle cose accadute, che non alla loro notomizzazione». E poi ancora: «si manifesta la felice cancellazione di ogni ideologia, intellettualismo o schieramento, e l’emergere, in una assoluta purezza, dell’adesione alle avventure individuali, che colloca la definizione del linguaggio visivo in una zona di esistenza piuttosto che di decifrazione storica». Una libertà tutta femminile, nei confronti della quale appaiono del tutto truci i tentativi maschili di imbrigliare l’arte in ragionamenti teorici (c’era Argan al suo opposto).

Belle due considerazioni di Carla Lonzi riportate nela pagine di Alias. La prima: «L’arte diventa il plus valore che la società attribuisce alle operazioni di chi crede in se stesso». La seconda (sul falso mito dell’India negli anni 70): «…se ne vanno per avere dei ragionamenti un po’ di spiritualità… qui ci sono gli artisti: possibile che la cultura ttanto è riuscita a fare che… uno non riesca a meditare sul lavoro di un artista e trarne delle conseguenze… C’è stato Duchamp… se uno ci medita ce n’è abbastsnza… non occorre che vada in India, mi spiego?». Si spiega, si spiega…

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Dicembre 15th, 2010 at 11:04 pm

Dieci immagini indimenticabili del mio 2010

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Premetto: l’immagine più bella del mio 2010 è il cielo di Tiepolo di Würzburg. Seguono le due sculture con la Chiesa e la Sinagoga nella Cattedrale di Bamberga. Ma qui ho scelto cose più transitorie, o da poco riaffiorate. Ci sarebbero anche gli affreschi di Gaudenzio riemersi sul muro la Cappella dei Magi a Varallo, ma, per quanto lo adori, due volte Gaudenzio sarebbe suonato come partigianeria…

1.  La Nascita di Maria di Gaudenzio riscoperta alla mostra del Rinascimento nelle terre ticinesi. Tempera spoglia, di una circolarità che ci tiene dentro tutti. Nessuno si può sentire escluso.

2. Lucio Fontana al Museo del Novecento. Un’apoteosi moderna (la porta del Duomo gli era stata rifiutata: ora torna al suo posto,  davanti al suo Duomo)

3.  La sala finale della mostra di Giacometti a Saint-Paul de Vence. I grandi bronzi, les Femmes de Venise… Che folla di anime tese…

4.  Il bacio di Frér Luc al Cristo della Flagellazione di Caravaggio nel film Gli Uomini di Dio. Basta una scena così per capire le ragioni delle immagini,

5.   La croce di Giotto a Ognissanti. Il restauro ha restituito il lapislazzulo, un bagliore che presente la resurrezione

6.  La sequenza degli Adda di Morlotti alla mostra di Lecco. Ben 11, tutti insieme. Più che l’informale, l’amore per la struttura segreta delle forme. Acqua e sponde sembrano si fanno smalti

7.  La sala dei nudi di Lucien Freud alla mostra di Parigi. Potente, ridondante, cellulosico. Carne che si fa pittura.

8. Il Lotto visto da vicino. A Bergamo il restauro dell’angelo sublime di Ponteranica. Lo vedi sottile, piatto, come un ritaglio gotico. Sembra fatto d’aria. Dipinto in un palpito.

9.  Cattelan a Piazza Affari. Lui che doveva essere l’incursore da toccata e fuga, s’insedia un poì come un classico pur con il suo gesto iconoclasta.

10.   Beato Angelico con gli occhi di Didi Huberman. Non c’è pennellata che non risponda ad una logica ben razionale. Tornare a San Marco dopo aver letto Huberman è tutto un altro sguardo.

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Dicembre 9th, 2010 at 11:00 pm

Il museo “rinascimentoso” del Novecento

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È un bel colpo d’ala il Museo del Novecento a Milano (qui le foto). Un museo tutto italiano, per nulla spocchioso, un po’ “rinascimentoso” (nel senso di stile Rinascente, che sta dall’altra parte della piazza e che non a caso ha chiamato artisti ad arredare le sue vetrine per questo Natale 2010) con tutte quelle scale mobili, quelle luci sparate, quel variare degli intonaci ai muri, e quel muoversi degli ambienti pensati per non tener sempre desta l’attenzione. Per non parlare di quegli espositori e supporti così spavaldamente plasticosi (del resto il progetto è di Italo Rota, designer di alberghi di lusso). I puristi forse arricceranno il naso, ma questa mi sembra una sfida vinta in nome di Boccioni (pensare che tutti questi meravigliosi Boccioni se sono stati in deposito per vent’anni…), Morandi, Sironi, Fontana, De Chirico, Marini, Melotti, Manzoni per citare quelli che lasciano più il segno.

E poi c’è lo spettacolo di quel che si vede aldilà delle grandi vetrate: una Milano stupenda e finalmente ripulita da troppe superfetazioni (ieri sera le vetrate di Foppa del Duomo si accendevano illuminate da dentro…). Ma tutto ci sta: è un museo che sa un po’ di festa, un’allegra apologia dello spirito migliore della città, che culmina nel grande neon danzante di Fontana, guizzo di felicità davanti alla bellezza delle pietre respiranti del Duomo.

È buona cosa poi che a dirigere il museo non ci sia uno dei soliti guru-curatori, ma una funzionaria ostinata, che dopo anni di precariato ha colto l’occasione della vita con passione. Se possiamo fare un appunto a Marina Pugliese, ci sono quelle sale troppo larghe (anche nella scelta degli artisti, a volte) verso la fine, che contrastano con quelle troppo stipate dell’inizio del percorso (la serie straordinaria di Boccioni avrebbe meritato più enfasi: è il vero tesoro del museo).

L’arco teso tra Boccioni e Fontana, prima sala e ultima del percorso dentro l’Arengario (poi si entra in Palazzo Reale), è un arco esaltante. C’è una dimensione comune di persone che scorazzano per la realtà, che, senza nessuna prosopopea, mettono sul piatto invenzioni epocali, con l’aria di far semplicemente della normalissima routine. La novità svuotata di enfasi. Boccioni e Fontana non guradano dentro, ma guardano fuori, anche quando uno dei due dipinge gli Stati d’animo. L’idea germinale di opera che entra nello spazio di Boccioni diventa idea compiuta nel concetto spazioale di Fontana. In un caso e nell’altro c’è una certezza di fondo: l’affidabilità dello spazio, che non è affatto un vuoto ma un “diversamente pieno”

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Dicembre 6th, 2010 at 11:27 pm

Lo spasmodico Van Gogh

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Ho scritto per gli amici di 30Giorni un ragionamento sulla mostra di Van Gogh a Roma. Mostra non banale, per quanto macchiata dai dubbi sull’autenticità di uno dei quadri esposti. La mostra nel titolo annuncia una riflessione sulla visione che Van Gogh aveva del paesaggio attorno a sé. Una chiave interssante, perché ci porta dentro quella straordinaria capaxità di dilatazione dello sguardo e dell’orizzonte che Van Gogh avea come connaturato. Il mondo sembra allargarsi sulla sua tela, divaricarsi come se ogni volta si trattasse di un parto. Il disegno (un vero capolavoro) che vedete qui sopra, datato 1884, è emblematico di quello che tento di dire. C’è una visione come miniaturizzata, che però corre a dilatarsi, che prende un respiro immenso. L’attenzione al filo d’erba, è tutt’uno con l’attrazione ansiosa, direi spasmodica verso un illimite. È in questa spola dal dettaglio all’infinito, che si scatena l’energia della pittura di Van Gogh.

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Dicembre 1st, 2010 at 1:59 pm

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Buoni e cattivi pensieri domenicali. Giacometti, Tiziano e Morlotti

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Giacometti disegnava con gli occhi. Ho letto questo ricordo di Diego Giacometti sulla morte del fratello Alberto, nel libro di George Did-Huberman Il cubo e il volto: «Ho visto morire Alberto, ero al suo capezzale, gli tenevo la mano, Alberto mi guardava o meglio scrutava i contorni del mio viso, mi disegnava con gli occhi come lui faceva e trasponeva in disegno tutto quello che guardava». Bellissimo. Anche in quel momento estremo Giacometti non scappa dal suo destino.

Parossismi giornalistici. Oggi il domenicale del Sole dedica ben tre pagine a una mostra che definire mostra è davvero uno sproposito: è l’appuntamento ormai consueto che Milano per Natale propone a Palazzo Marino con un’opera singola. Dopo Caravaggio e Leonardo quest’anno è il turno di Tiziano con La donna che si specchia. Il quadro arriva dal Louvre, è un bel quadro ma certo non una delle opere memorabili del genio veneziano. Chiaramente le tre pagine sono pubblicità redazionale, con lo sponsor che viene allo scoperto nell’articolo finale. Ma tant’è: i lettori hanno la sensazione di avere davanti un appuntamento immancabile… E si metteranno tutti in coda… Notate bene, che lo stesso quadro di Leonardo arrivato lo scorso anno dal Louvre (il San Giovannino con il dito alzato, meglio noto come il “pollastrone”, secondo la memorabile definizione di Gadda), è in mostra in queste settimane al Bargello (dove vengono presentati gli stupendi bronzi del Battistero di Rustici che nessuno se ne sia accorto.

Sia gloria a Morlotti. Ieri visita guidata alla mostra di Lecco. Che dimostra di tenere straordinariamente nel suo dispositivo capace di riaccendere gli spazi di quella che fu per 20 anni la casa di Alessandro. L’apice della mostra è nella sequenza degli 11 Adda di Morlotti. Sono quadri in cui per una specie di stato di grazia l’informe del naturalismo si coagula in immagini di una chiarezza folgorante. Una chiarezza che si fa via via più netta man mano che Morlotti avanzava nelle sue mediazioni. Negli ultimi il colore si consolida come si trattasse di tasselli di smalti e di pietre preziose. L’affondo nel magma naturale produce una riemersione tutta splendore e lucidità. Non c’era miglior modo di rendere omaggio a Morlotti  a 100 dalla nacita. Non perdetela!

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Novembre 28th, 2010 at 8:55 pm

Piovono Caravaggi

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La febbre dei nuovi caravaggi non conosce pace. Tra pochi giorni apre ad Amsterdam, alla Rembrandt huis, una mostra in cui verrà presentato un San Giovannino disteso, in collezione privata di Monaco, che era stato attribuito a Caravaggio da Peter Robb. Il quadro secondo gli organizzatori della mostra Bert Treffres e Guus van den Hout, sarebbe uno dei due San Giovanni che secondo il Bellori Caravaggio si era portato con sé nell’ultimo disgraziatissimo viaggio. Difficile giudicare. Certo il manto non sembra dipinto dall’ultimo Caravaggio… (qui un po’ di notizie)

Maurizio Marini invece pubblica in volume La prima Medusa, resa nota già nel 2003. A sostenere la sua attribuzione scende in campo anche Mina Gregori che firma con lui il libro (in uscita nel 2011). Questa è dipinta su legno di fico, mentre l’originale degli Uffizi è su legno di pioppo. Ha anche una firma nel sangue (come quella molto più tarda nel San Giovanni Decollato di Malta): «Michel A. f.» . La firma di Malta invece, venuta alla luce con il restauro del 1955, è «f. michelA», dove la “f” viene intesa per frater (Caravaggio era in quei mesi nell’ordine gerosolimitano). Staremo a vedere. Occhi esperti propendono per l’ipotesi che sia una copia.

Written by gfrangi

Novembre 26th, 2010 at 1:27 pm