Alberto Arbasino si è messo in coda per vedere anche lui il museo del Novecento. E ne ha fatto una recensione che, come sempre è un concentrato di brillante e malinconica intelligenza, per Repubblica. Lo sguardo di Arbasino coglie le occasioni riacciuffate con questo progetto e quelle irrimediabilmente perse per il ritardo con cui Milano è approdata al suo museo (tutti i Boccioni scappati in America e Londra). I quadri in lui suscitano sempre un rimando immediato al rapporto con le persone («Quanti amici perduti») che li hanno realizzati, ad amicizie, a consonanze, «come rivedendo gli artisti accanto alle opere o accanto a un caffè». Bello anche il riferimento a «quell’estremo sommo ghiribizzo milanese: il neon già alla Triennale di Lucio Fontana… emblema di una Milano splendidamente vissuta e poi piuttosto malandata».
Tra le righe sottolineati anche i “vuoti”, cioè le assenze che pesano. Arbasino insiste su due: «non ci sono i grandi importanti disegni di Gianni Testori (a Milano!)». E poi: «Ugo Mulas, qui assente perché gli aeroplani degli sponsor sì, ma la fotografia benché insigne invece no». (il riferimento è allo sponsor Finmeccanica, davvero piuttosto invasivo).