Robe da chiodi

Bianco De Staël

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È passato da Christie’s a Londra questo neanche tanto piccolo De Staël (Marsiglia sotto la neve, 1954, 59×81 cm). La neve più il mare danno un senso di paradiso. Ossimori che si armonizzano. S’incastonano e non si elidono. Uno splendore attonito. Come visto da un santo cui si ottundano i sensi…

Written by giuseppefrangi

Luglio 2nd, 2008 at 1:00 pm

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Ritratti, tremendi ritratti

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C’è Andrea Doria, dipinto dal Bronzino; c’è Federico da Montefeltro, dipinto da Giusto di Gant; c’è Federico III. Elettore di Sassonia, dipinto da Dürer; c’è Raffaello, che si è fatto il ritratto con a fianco il suo maestro di scherma; c’è Camilla Gonzaga, contessa di San Secondo, immortalata dal Parmigianino; c’è il profilo senza tempo che Piero della Francesca fece a Sigismondo Malatesta. L’elenco potrebbe continuare a lungo, perché la mostra del Ritratto nel rinascimento, in questi mesi al Prado (sino al 7 settembre; poi dal 15 ottobre alla National Gallery di Londra) è certamente una sfilata impressionante di capolavori. Ma è anche un incontro, un vis à vis con un’infinità di personaggi che hanno, poco o tanto, cambiato la storia.
Ricordo l’impressione ricevuta entrando a Palazzo Venezia, a Roma, in occasione della recente stupenda mostra di Sebastiano del Piombo. Nel grande salone dove erano stati raccolti i ritratti del grande pittore (tra gli altri spiccava anche lì un Andrea Doria), si aveva l’impressione prepotente di aver a che fare con uomini che tenevano il mondo nel pugno. Il ritratto nel Rinascimento aveva proprio questa funzione di rappresentazione non tanto di un ruolo quanto di una capacità di dominare la storia. Non era pensato a memoria dei posteri, era un’operazione pensata strategicamente per consolidare l’egemonia e la gloria presente. Così restava poco o nessuno spazio per l’intimismo e la psicologia; il ritratto non era mai un fatto privato, era un’operazione scopertamente pubblica. Tutti dovevano vedere, tutti dovevano sapere. Lo stesso Filippo II, con quel suo carattere ombroso e introverso, con quel volto un po’ troppo flaccido, passato attarverso il pennello e le tele di Tiziano si trasfigura in una sagoma inscalfibile, acquisice una saldezza che intimoriva e riempiva di meraviglia. Il ritratto, nel Rinascimento, è quindi una sorta di consacrazione.
Ma alla mostra di Madrid c’è un piccolo, straordinario capolavoro che sembra andare in controtendenza. E’ un gioiello arrivato da Bruges, dipinto dal più grande pittore fiammingo del 1400, Jan Van Eyck, e rappresenta la moglie dell’artista. Evidentemente si tratta di un quadro privato: la donna, Margaretha, guarda fissa “nell’obiettivo”, cioè negli occhi del marito che la sta dipingendo. Sembra che intrattenga con lui un dialogo esclusivo, che sguardi estreni non siano stati neppure messi nel conto. Ma è davvero così?
Margaretha in quel 1439 aveva 33 anni, anche se obiettivamente ne dimostra qualcuno di più. È vestita con eleganza un po’ troppo sontuosa per essere una ricca borghese delle fiorentissime Fiandre di quegli anni. Ha l’abito bordato di pelliccia, che era un requisito tipico della nobiltà. Tipico, ma evidentemente non più esclusivo. Quel che più colpisce l’occhio è però quell’elaboratissimo copricapo che Van Eyck dipinge con la minuzia implacabile di un miniatore. Tanta è la precisione che verrebbe la tentazione di guardare quei particolari attraverso un microscopio per sorprendere almeno qualche sbavatura. Se lo si osserva con attenzione, si scopre che l’arricciatura di quel velo è fatta di ben sette strati e che Van Eyck l’ha dipinto con una determinazione, quasi volesse ostentare un simbolo. Dovevano essere ben rari veli di quella ricchezza: così alla fine viene il dubbio che quel ritratto così intimo, abbia, come tutti gli altri capolavori che lo circondano nelle sale del Prado, un’identica funzione: rendere pubblico uno status conquistato. Il più grande pittore fiammingo non era più semplicemente un iscritto alla corporazione di un pur nobile mestiere. Era un mattatore del suo tempo. Un protagonista. Un borghese capace di guardare lontano e consapevole di avere il mondo ai suoi piedi. Per questo tutti dovevano guardare, contare e ammirare i stette veli del copricapo di sua moglie Margaretha.
Scritto per Monsieur

Written by giuseppefrangi

Luglio 1st, 2008 at 10:18 pm

Il veloce Schifano

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Recensione di Marco Meneguzzo alla mostra di Roma. «Il pittore romano incarna davvero tutte le virtù e tutti i vizi dell’arte italiana con una continuità istintiva che potrebbe risalire comodamente a Giotto, un tratto distintivo che la rende unica. Velocità, composizione, superficie, “fare grande”, eclettismo della fantasia e rispetto dello strumento – più ancora del linguaggio – che si è scelto: in una frase la scelta della bellezza, comunque».

«Aggiungendo immagini ad immagini, correndo in avanti rispetto a quelle. Dimostrava che la pittura era ancora “più veloce” più disinvolta, più intelligentemente leggera di qualsiasi altra immagine: la pittura diventava l’umanizzazione dell’immagine. E questo, appunto, senza rifugiarsi in nessuna torre d’avorio, senza rivendicare nessun tipo di “qualità” intrinseca alla pittura, magari derivata dalla sua mobilità di natali (natali della pittura, ovviamente…), ma semplicemente indicandone, con l’esempio, l’umanità».

Written by giuseppefrangi

Giugno 24th, 2008 at 9:48 pm

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Numeri primi

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Con L.D. a parlare di Donatello. Ha due idee molto giuste. Donatello è un numero primo dell’arte, di quelli che non hanno dividendi. Non è la somma di nessun precedente. Poi ancora: Donatello alla sagrestia vecchia di San Lorenzo è come un Jimi Hendrix della scultura.

Written by giuseppefrangi

Giugno 16th, 2008 at 9:39 pm

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Senza carne

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Timothy Verdon intervistato da Avvenire. Il problema è indicato nell’incapacità di mettere a tema la Resurrezione. In realtà è un falso problema. È una fregola clericale. La Resurrezione sta anche nella rappresentazione di un fiore. E se non è così, non sta. Piuttosto si elude la questione: la Chiesa è senza carne. È venuta meno sull’ingranaggio dell’Incarnazione come aveva visto Péguy. Scarnificata è approdata all’oleografia, quale sia il soggetto che rappresenta. O la tenerezza si genera dalla carne, o è solo sentimentalismo.

Written by giuseppefrangi

Giugno 11th, 2008 at 6:06 pm

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Michelangelo bestiale

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Firenze, 2 giugno. Visita alla Laurenziana. Quando si entra nel vestibolo sembra di calarsi in una pentola a pressione. Manca il respiro tanta è l’energia compressa che assedia quell’ambiente. L’esterno è rovesciato in un interno: spinge ma non ha spazio attorno. Apre sul chiuso. Le mensole ad altezza d’uomo sono come lingue di draghi pronte a scattare. La scala invade l’ambiente come una colata lavica incontenibile. È architettura fisica. Una belva tenuta alla catena.

Ancora Michelangelo a casa Buonarroti: l’allaccio di braccia della Battaglia dei Centauri (opera di M. 15enne) è un poderoso farsi carne del marmo

Vista la mostra sul Volto di M. Modesta. Da ricordare il disegno di Van Dyck.

Vista la Mostra di Vincenzo Danti, nel “bargelico museo”. La Salomé di bronzo che si scarta dal teatro della decapitazione è notevole. Notevole anche il frontale del carnefice, con gli occhi satanici perforati nel bronzo.

Written by giuseppefrangi

Giugno 3rd, 2008 at 10:53 pm

Alberti o Mondrian?

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Dalla cover di un nuovo libro di Electa (Massimo Bulgarelli , Leon Battista Aberti 1404-1472 Architettura e storia) questo particolare della facciata di Palazzo Rucellai. La possanza del quadrato e il boogie-woogie del bugnato piatto. Meraviglie di un genio leggero.

Written by giuseppefrangi

Maggio 28th, 2008 at 3:54 pm

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Rossi e Agostino

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Da l’Autobiografia scientifica di Aldo Rossi.

«… pensavo che l’ultimo progetto, come l’ultima città conosciuta, come l’ultima relazione umana, fosse la ricerca della felicità identificando poi la felicità come una sorta di pace e poteva essere una felicità d’inquietudine ardita ma sempre definitiva. Per questo ogni presa di coscienza delle cose si confondeva con il gusto di poterle abbandonare, di una sorta di libertà che sta nell’esperienza, come un passaggio obbligato perché le cose avessero la loro misura. Da sempre pensavo al passo di S.Agostino ” Signore Dio, poiché tutto ci hai fornito, donaci la pace, la pace del riposo, la pace del sabato, la pace senza tramonto. Tutta questa stupenda armonia di cose assai buone, una volta colmata la sua misura, è destinata a passare. Esse ebbero un mattino e una sera.” Ma è certo che il compimento andava oltre l’architettura e ogni cosa è soltanto la premessa di ciò che vogliamo fare. »

Written by giuseppefrangi

Maggio 27th, 2008 at 10:31 pm

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Baconiana/1

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Ultime battute dell’intervista con Michael Archimbaud (aprile 1992, pochi giorni prima della morte).

«L’importante per un pittore è dipingere e basta» «Dipingere ad ogni costo» «Sì, anche dei falsi, pur di dipingere».

«Sì, preferisco sempre che le mie tele siano incorniciate e sotto vetro. È un’idea di oggi quella secondo cui i quadri non vanno incorniciati, ma ho l’impressione che, in relazione a ciò che è la pittura, si tratti di un’idea falsa. La cornice è una cosa artificiale, e viene messa apposta per rafforzare l’aspetto artificiale della pittura. Più l’artificio delle tele che si realizzano è evidente, più vale questa consuetudine e più la tela ha possibilità di funzionare, di mostrare qualcosa. Può sembrare paradossale, ma in arte è un fatto indubitabile: si raggiunge uno scopo attraverso l’impiego massimo di artificio, e si riesce a creare qualcosa di autentico quanto più l’artifico è evidente».

Written by giuseppefrangi

Maggio 27th, 2008 at 10:28 pm

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Morte allo stile

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Su Casabella 766 una lezione di Le Corbusier 1938.

«E ora, amico, ti prego di tenere aperti gli occhi. Hai gli occhi aperti? Sei stato educato a tenere gli occhi aperti? Li tieni continuamente e utilmente aperti? Che cosa guardi quando esci per una passeggiata? … Ora che mi sono rivolto al tuo senso dell’onestà vorrei inculcare a te come a tutti gli studenti di architettira, l’odio per lo “stilismo da tavolo da disegno” che consiste nel coprire un foglio di carta con immagini attraenti “stili“ o “ordini“ – questa è moda. L’architettura invece è spazio, larghezza, profondità, altezza, volume e circolazione. Architettura è una concezione della mente. La devi concepire nella tua testa ad occhi chiusi. Solo così puoi prendere cisione del tuo progetto».

«Tu non sai nulla degli “ordini“ nè dello “stile 1925” e se ti colgo a disegnare nello “stile 1925″, ti pesto sulle orecchie. Non devi essere uno stilista. Tu articoli, pianifichi – nient’altro».

Written by giuseppefrangi

Maggio 23rd, 2008 at 9:10 pm

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