Robe da chiodi

Archive for the ‘architettura’ Category

Nuove chiese: Montini chiedeva solo commozione

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Si parla ancora di nuove chiese, per via di una mostra che Casabella ha annunciato per il prossimo marzo a Milano. Il Corriere l’annuncia presentando tre edifici che hanno fatto discutere. Uno, quello di Mauro Galantino a Modena, si è addirittura preso una reprimenda da Paolo Portoghesi con un articolo sull’Osservatore Romano. Non voglio entrare nel merito: di per sé non mi sembra un brutto edificio anche se riconoscerlo come chiesa ce ne vuole. Ma in questi giorni, riesplorando il piano chiese del grande cardinal Montini, mi sono imbattuto in un suo discorso del 1963 che colpisce profondamente. Montini chiede perdono al suo grande predecessore San Carlo, per essersi disimpegnato dalle sue “precisazioni così impegnative” in nome di un esperimento della libertà concesso agli artisti. «Vi è stato detto: fate quello che volete! Solo vi domandiamo che questa vostra arte realmente e degnamente ci serva, che sia funzionale, che la possiamo capire, che ci offra un aiuto, che dica una parola vera e che il popolo ne abbia una commozione sacra, religiosa. Siate veramente in comunicazione e in sintonia con il culto e con la spiritualità cristiana; e dopo fate quel che volete! Dite quel che volete, artisti purché – ripeto – ci sia questo innesto fra il vostro linguaggio e il mio, fra la mia liturgia e la vostra espressione».

Ecco: il fattore commozione. Oggi mi pare sia stato rimpiazzato dal fattore emozione (cioè da effetti speciali). Mi pare che con questo semplice richiamo che non limitava in nulla la libertà Montini abbia dato un criterio chiaro. Me ne sono reso conto scoprendo una delle tante chiese messe in cantiere durante quegli anni: è quella di Enrico Castiglioni, a Prospiano, frazione di Gorla Minore (1962). Semplice, sorprendente, molto contemporanea, pur custodendo fedele memoria del romanico lombardo.

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Febbraio 10th, 2011 at 10:27 pm

La cappelletta senza santi di Mies van der Rohe

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Ho scoperto che anche Mies van der Rohe progettò una chiesa. O meglio una cappella, quella del Campus IIT di Chicago (1949-52). È creazione “miesiana” pura, luogo di un’assenza più che di una presenza. Misuratissima, ma un po’ glaciale (del resto è il destino dei luoghi religiosi che non sono intitolati a nessuno. Non hanno un santo che li abiti). Un po’ funerea, per dirla tutta. Ma la paginetta con cui l’architetto accompagnò questa sua creazione ha uno spunto bellissimo: «Troppo spesso noi pensiamo all’architettura in termini spettacolari. In quella cappella non c’è nulla di spettacolare. Non si intendeva che fosse spettacolare. Si intendeva che fosse semplice, e infatti è semplice. Ma nella sua semplicità non è rozza, al contrario, è nobile e nella sua piccolezza è grande – di fatto è monumentale. Non avrei costruito la cappella in modo diverso anche se avessi avuto un milione di dollari a disposizione» (1953).

In un’altra pagina van der Rohe fa l’elogio di un grande architetto di chiese tedesco Rudolf Schwarz. Ho visto tante chiese sue su internet. Molto interessante. E interssante il titolo del libro che scrisse: The Church Incarnate. Un titolo che evidenzia una precisa idea architettonica. Qui sotto, la chiesa di St Bonifatius ad Aachen.

Written by gfrangi

Novembre 18th, 2010 at 8:00 pm

Belle chiese di oggi. Ecco le fotine richieste…

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Le Corbusier, la chiesa del Convento di La Turette

Gio Ponti, la Concattedrale di Taranto (1964-70)

Steven Holl, Cappella di Sant’Ignazio, Seattle (qui altre foto)

Ignazio Gardella, Sant’Enrico, San Donato (1963)

Carlo Scarpa, San Giovanni Battista a Fiorenzuola

Gustavo Pulizer Finali, Santa Barbara, Arsia (1943)

Alvar Aalto, Chiesa di Santa Maria Assunta, Riola (1966) (qui altre foto)

Written by gfrangi

Novembre 15th, 2010 at 7:50 pm

Belle chiese di oggi. Ecco un elenco

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L’amico Luca mi sfida ad un’ennesima classifica: quella delle più belle chiese moderne, secondo me naturalmente. Premetto che quelle meritevoli sono tante, sicuramente più di quelle che si potrebbero contare nell’ottocento, e che alcune le ho viste solo per fotografia. Seconda premessa, tengo fuori gara la Sagrada Familia, per motivi che sono semplici: troppe le suggestioni che entrano in gioco, troppo diverso l’impegno che la sua costruzione ha comportato.

Secondo: non amo le chiese a vela, quelle con spirali che sembrano coni di panna risucchiati verso il cielo; quelle con gli spazi pensati per produrre suggestioni a man bassa. Tra queste ci sono quelle di Mario Botta, compresa la prima, quella di Mogno, in Valle Maggia, che di per sé non è affatto una brutta architettura. Non amo le chiese di Michelucci, architetture troppo incerte tra eccitazione e passatismo (molto meglio la stazione di Santa Maria Novella…). Mi scuso per le tante mancanze dovute a non sufficiente conoscenza… (sarò grato se integrerete)

Non è una classifica, è un elenco, anche se la tentazione di dire che la chiesa del convento di La Turette sia la più bella è tentazione forte (Le Corbu). Ecco le altre: Alvaro Siza, chiesa di Marco de Canaves, Oporto; Figini Pollini, chiesa Madonna dei Poveri, Milano; Gio Ponti, Concattedrale di Taranto; Alvar Alto, chiesa di Riolo; Le Corbu, Ronchamp; Gardella, Sant’Enrico, a San Donato; Carlo Scarpa, San Giovanni Battista a Fiorenzuola; Steven Holl, cappella di sant’Ignazio, Seattle. Poi ci sono due commoventi chiese della stagione. “fascio e martello” (le città costruite dal fascismo)): la Santa Barbara di Arsia (in Istria) di Gustavo Pulizer Finali, e la chiesa parrocchiale di Segezia (Foggia), con la facciata dolecemente traforata. Ma ho visto solo foto di esterni. Ma perché non citare Santa Maria Rossa di Muzio a Milano, con quella sua volta a botte, oggi delicatamente accarezzata dalle luci di Dan Flavin?

La chiesa più bella forse è una che non è mai stata costruita: è la chiesa di San Carlo alla Barona a Milano di Aldo Rossi. Restano disegni e un modellino. Rossa di mattoni lombardi, struttura da fabbrica ma con grande statue stile san Carlone in facciata. Un colpo al cuore…

Written by gfrangi

Novembre 10th, 2010 at 7:30 pm

Perché la Sagrada Familia ha pilastri a forma di alberi

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Domenica 7 novembre, è stata la giornata attesa da 128 anni della consacrazione della Sagrada Familla a Barcellona. L’aspetto che si vede dalle immagini televisive ha qualcosa di inedito: un biancore e una luminosità che non avevo messo nel conto. Nelle colonne che si alzano come giunchi snelli di un’immaginaria foresta c’è questa idea di architettura come forma vegetale che Gaudì aveva tenuto sempre come punto fermo: «La colonna è come un fusto, il tronco di un albero; il tetto è come la montagna, con i suoi crinali e i pendii; la volta è una caverna a sezione parabolica; i terrapieni più resistenti dei precipizi della montagna formano architravi e medaglioni sopra punti in cui gli strati deboli sono stati erosi».

Mi colpisce anche un altro fatto, anomalo rispetto alla concezione e all’opera di Gaudì: manca del tutto la policromia («La natura non ci offre nessun oggetto in monocromia… Per questa ragione dobbiamo colorare tutto, o in parte, ogni elemento architettonico», aveva scritto). La Sagrada è come un’architettura parlante, con la sua foresta di simboli, cerca un’iterazione mistica con il visitatore-fedele. Una specie di gigantesco rebus religioso, che oggi affascina proprio per questa sua componente di mistero. Il successo di Gaudì va ben aldilà del magnetismo religioso che esercita. Io credo che abbia a che vedere con lo straordinaria attrattiva che la fantasy esercita sull’uomo d’oggi. Forse è per questo che senza negarne la grandezza, non mi riesce di amarlo (mi è più immediato amare il Gaudì policromo e laico della case o del parco Guell).

C’è anche una motivazione più culturale: la Sagrada Familia chiude Gaudì in un limbo del tutto estraneo ai percorsi della storia. Non è così. Gaudì è invece dentro il flusso della storia. Emerge da una sensibilità estetica liberty. Con una caratteristica: mentre il liberty è riduzione dell’architettura al momento decorativo, invece Gaudì fa una scommessa straordinaria: fare di quella grammatica presa dalla natura da decorazione a struttura. Per questo i suoi pilastri sono come alberi.

Written by gfrangi

Novembre 8th, 2010 at 11:28 am

Architetture d’aria. Gli spazi più belli del mondo

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Domenica a messa a Santa Maria delle Grazie, davanti alla tribuna attribuita a Bramante (vi pioveva dentro…). Qui si capisce come la bellezza di un’architettura sia data dallo spazio che crea. Questo è uno dei più begli spazi che io abbia visto. Arnaldo Bruschi nel suo libro su Bramante lo descrive bene: «(uno spazio) reso tangibile e quasi immateriale: una massa d’aria, un fluido luminoso e luminoso in movimento che dà forma agli involucri e li allontana in profondità». E ancora (ma a proposito del progetto di San Pietro): «Gli spazi sono come il risultato di uno scavo». Tra me mi ero detto: mi sembra aria che si solidifica. Alla Tribuna del Bramante, avverti la consisetnza ordinata di un’aria luminosa. E un’enormità che non schiaccia. La grande architettura è proprio questo: non vedi ciò che la costituisce, vedi lo spazio che sa generare. Lo tocchi con mano. Non pensi neanche ai muri ma al luogo che hanno fatto essere.

È il grande limite degli archistar: di loro vedi e ammiri i muri, quanto allo sapzio ti colpiscono solo con gli effetti speciali. Mancanza di vera energia mentale.

Mi sono anche chiesto quali siano gli spazi che più mi sono rimasti nella testa. Azzardo un elenco in ordine sparso che andrò aggiornando.

1. Il Pantheon; 2. La basilica di Massenzio; 3. Il vestibolo della Laurenziana; 4. La cupola di Santa Maria del Fiore; 5. La Sagrestia vecchia di San Lorenzo; 6. Sant’Andrea a Mantova; 7. San Lorenzo a Milano; 8. Santa Maria delle Carceri a Prato (Sangallo); 9. L’atrio di Villa Poiana di Palladio; 10. La Chiesa del Redentore di Palladio. 11. Juvarra, La cappella di Sant’Uberto a Venaria Reale.

E voi che ne dite?

Written by gfrangi

Novembre 2nd, 2010 at 10:58 pm

Basilico, Michelucci e la città-corpo

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Dice Gabriele Basilico in una bella intervista di presentazione della nuova mostra dedicata alle fotografie su Istanbul, aperta a Milano alle Stelline. Che cos’è una città? «Un’entità organica in movimento. Una dilatazione del nostro corpo. Qui sta il problema di Milano: come ha scritto Carlo Guglielmi, presidente di Fontana Arte, Milano è una città che non è più amata. Essere amata vuol dire prendersene cura, invece è come se il nostro corpo non ci appartenesse più, fosse un’intrusione».

Questa visione della città mi ha fatto venire alla mente un episodio che mi avevano raccontato alcuni amici, laureati in architettura. Quando erano studenti, negli anni 70, avevano chiesto a Giovanni Michelucci, il grande architetto fiorentino che aveva realizzato tra l’altro la Stazione di Santa Maria Novella, di guidarli in una visita di Siena. Michelucci accettò. Quando i ragazzi arrivarono a piazza del Campo, invece di iniziare con le spiegazioni disse loro di vivere la piazza per un’ora come meglio credevano, giocando o anche sdraiandosi sul selciato.  Finita l’ora li radunò e senza aggiungere parole li accompagnò a vedere la maestà di Duccio. Anche qui nessuna parola, ma una sola raccomandazione: guardatela, fissate bene l’oro della Maestà. Alla fine disse: «Ecco, adesso conoscete Siena».

Mi piacciono queste  due posizioni. Perché ci dicono che tutti gli infiniti discorsi sulle città, belle o brutte che siano,  non considerano il presupposto essenziale che le città  sono prolungamenti del nostro corpo.  Comunque sia non ci sono estranee. Non prendetela per una bella idea morale. Questa è un’idea del tutto architettonica.

Written by gfrangi

Settembre 17th, 2010 at 5:18 pm

Pedregulho, la bellezza destinata al quotidiano

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Riflettevo leggendo le cronache dalla Biennale architettura (premetto che la curatrice 2010, Kazuyo Sejima mi sta simpatica a pelle: sobria, goffa e poco mediatica): tutto il problema dell’architettura di oggi si esaurisce nell’opposizione tra soluzioni iperspettacolari da archistar, e soluzioni micro per rispondere alla domanda di un inquilino borghese à la page che vuole sentirsi la coscienza pulita (quindi sensibile all’abitare eco sostenibile). Quella che manca è un’idea della casa per noi, uomini comuni: popolo si sarebbe detto una volta. C’è architettura e pensiero architettonico per tutti tranne che per noi.

I motivi sono vari. Primo, perché manca una capacità di sguardo e quindi d’amore per la gente comune. La persona comune non interessa se non come destinataria di sogni non realizzabili, che tutt’al più ne ingolfano l’immaginario. Secondo, perché anche in architettura l’apparenza prevale sulla consistenza reale. Terzo, perché non ci sono grandi idee in giro e ce la si cava con gli effetti speciali, nel macro come nel micro.

Per questo mi ha colpito un servizio apparso sull’ultimo numero di Casabella (sfogliatelo anche online) che racconta e illustra la grande esperienza del Pedregulho di Rio de Janeiro, progettato da Affonso Eduardo Reidy (1946-1958). Un complesso enorme, costruito per accogliere centinaia di famiglie, dotato di tutti i servizi e gli spazi comuni per rendere vivibile la vita, seppur dentro una dimensione di massa. Disse il suo progettista: «Bisogna ottenere non soltanto il comfort ma anche la bellezza indispensabile a qualsiasi vita umana decente» (e si inventò quei semplici ballatoi – loggiati, con pareti di mattone forato a diverse geometrie: bellezza declinata con semplicità).

Inutile dire che Eduardo Reidy tenne una corrispondenza fittissima con Le Corbusier, che negli stessi anno e con le stesse preoccupazioni stava costruendo la sua Unité d’habitation a Marsiglia. Architettura come monumento alla vita quotidiana.

Written by gfrangi

Agosto 31st, 2010 at 7:09 am

Indovina di chi è la Torre Velasca

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In un’intervista davvero insulsa pubblicata il 2 giugno dal Corriere a Zaha Hadid, in visita a Milano al cantiere Citylife, l’archistar dice di amare di Milano, la Torre Velasca di “Gio Ponti”. Ora, d’accordo che lo status di archistar legittima a dire qualsiasi cosa, ma un minimo di storia dell’architettura si può pur sempre esigerla. La Torre Velasca è firmata BBPR, dove la “P” sta per Peressutti e non certo per Ponti. E la cultura di BBPR è molto diversa da quella di Ponti: sono le due polarità di una straordinaria stagione della storia recente dell’architettura. Quindi la confusione, come l’ignoranza, è grande. Ed è grande anche nella redazione del Corriere, dove nelle pagine milanesi la considerazione della Hadid è stata ripresa pari pari, senza nemmeno fare una verifica su Wikipedia. E per colmo è stata anche enfatizzata da un sommario.

Written by giuseppefrangi

Giugno 3rd, 2010 at 9:30 pm

Gio Ponti come Ettore Spalletti

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Ieri un po’ per caso sono capitato a Milano davanti alla chiesa di San Luca costruita da Gio Ponti. È in una posizione molto defilata, zona via Porpora. Non è su una piazza, ha un lotto non grande in mezzo a condomini dai sei piani in su. Insomma una chiesa mangiata dalla città. Ponti ha dovuto lavorare con pochi mezzi e pochi spazi. Ha innalzato il piano della chiesa per fare stare sotto tutte le strutture di servizio, ha pensato una pianta elemenare a capanna che si annuncia nella facciata, di una semplicità straordinariamente accogliente: infatti è leggermente convessa e arretrata di pochi metri e protetta da una tettoia a capanna che scende a chiudere anche i lati. Devo dire che poche chiese del 900 mi ha subito comunicato l’idea di essere “semplicemente” chiesa, senza nessun sovraccarico di altri significati. Anche l’interno è semplice  (a parte il presbiterio rifatto e un po’ pasticciato, stile marmi levigati): con le fasce bianche e azzurre della grande parete absidale, su cui domina un semplice crocifisso in legno di olmo. Una cosa un po’ francescana e un po’ neo romanica senza passatismi (del romanico a fasce di Pisa). Ma quello che più sorprende è la grande volta della chiesa dipinta tutta di un azzurro intensissimo. Una volta color Madonna. Sembra un Ettore Spalletti ante litteram (qui trovate un po’ di foto).

Written by giuseppefrangi

Gennaio 17th, 2010 at 5:56 pm

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