Robe da chiodi

Archive for the ‘moderni’ Category

Vastità americane

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Vista in agosto la mostra di James Turrell a Villa Panza a Varese. Tutta costruita per spiegare l’immenso progetto del Roden Crater, presso Flagstaff in Arizona. Dal punto di vista della sensibilità è distante anni luce, perché di uno spiritualismo senza più corpo. Ma alcune ammissioni è giusto farle.

Punto primo. Fa impressione riscontrare come l’arte americana abbia ereditato la vocazione a pensare in grande. In America esplodono le dimensioni, non solo per esibizionismo, ma per un bisogno di “andare oltre“ connaturato all’opera. Ha cominciato Pollock, gli altri sono andati dietro. L’arte non è più un giochino, esorbita, esce dalle misure. Nessuno nel 900 in Europa ha spinto in questa direzione. Eppure nella storia europea l’andare oltre la misura è stata una spinta sempre presente: pensa all’enormità della Sistina, ai metri di tela nera sopra gli ultimi Caravaggio, alla forza centrifuga della scultura di Bernini. Ma anche alle galoppate di Tiepolo… O agli esorbitanti crocifissi di Cimabue. Ora questa eredità sembra tutta americana. Turrell prende un cratere nel desero e ci costruisce nei decenni la sua opera (nella foto Akpha space. Lo skyspace).

Punto secondo. L’arte americana si misura sistematicamente con l’assoluto. Non è di tutti, ma accade con una frequenza che fa impressione. E’ un assoluto disincarnato, senza volto: ma questa è caratteristica americana o è non è invece perché l’uomo ha perso la grammatica dell’assoluto? Non sa più dargi nome e faccia (come del resto aveva detto Péguy)? L’arte americana ci dice che oggi il sacro è aniconico (Dan Flavin alla Chiesa Rossa di Milano). Che chi lo vuole rappresentare cade sistematicamente nell’illustrazione patetica. Le Corbu a La Tourette mette solo uncrocifisso minimo sull’immensa parete bianche. Il resto è solo luce. C’est tout. E Matisse è più evocativo nei papier decoupèe che nella Via Crucis di Saint Paul de Vence.

A proposito. A Londra viene ricomposto il ciclo Seagram di Rothko. Immensità, più assoluto (anche se nero). Ma Rothko in più ha anche il senso (a volte colossale) della struttura. Ha ancora un corpo. Per questo è il più grande.

Written by giuseppefrangi

Settembre 16th, 2008 at 10:21 pm

Segantini pittore caparbio

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In visita a Saint Moritz al museo Segantini. C’è molto 800, nel mondo di riferimento e nella grevità della pittura. È inchiavardato al pezzo di secolo senza luce. Ma è bella l’ostinazione con cui cerca di uscire dall’angolo senza rinunciare a se stesso. Per intercettare la luce deve fare un percorso infinito, come gli alpigiani di quelle montagne. Ma non alza mai bandiera bianca. Alla fine la caparbietà lo premia, anche se la sua è una luce alla fine più mentale che naturale. È artificio: il che per un pittore con la vocazione alla natura come lui è un bel paradosso. (nella foto la Nuvola alla Fautrier, nel cielo dell’ultima tela del Trittico alpino, la Morte)

È pittore che carica di troppa responsabilità la sua pittura. Vince per ostinazione, non per grazia (vedi l’infinità conmtrollata delle linne di colore). E non sempre è un bel vincere.

Ha l’abilità del grande impaginatore. Figure sempre al centro, architetture di arabeschi che reggono le immagini. Montagne mentali, sempre in skyline lineare e orizzontale.

Due note da ricordare: era apolide, in qaunto nato in terra d’Austria, spedito a Milano ed emigrato in Svizzera. A Milano era passato per il Marchiondi (prima che il Marchiondi fosse quel colossale cubo di cemento)

Written by giuseppefrangi

Agosto 5th, 2008 at 9:24 pm

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Bianco De Staël

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È passato da Christie’s a Londra questo neanche tanto piccolo De Staël (Marsiglia sotto la neve, 1954, 59×81 cm). La neve più il mare danno un senso di paradiso. Ossimori che si armonizzano. S’incastonano e non si elidono. Uno splendore attonito. Come visto da un santo cui si ottundano i sensi…

Written by giuseppefrangi

Luglio 2nd, 2008 at 1:00 pm

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Senza carne

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Timothy Verdon intervistato da Avvenire. Il problema è indicato nell’incapacità di mettere a tema la Resurrezione. In realtà è un falso problema. È una fregola clericale. La Resurrezione sta anche nella rappresentazione di un fiore. E se non è così, non sta. Piuttosto si elude la questione: la Chiesa è senza carne. È venuta meno sull’ingranaggio dell’Incarnazione come aveva visto Péguy. Scarnificata è approdata all’oleografia, quale sia il soggetto che rappresenta. O la tenerezza si genera dalla carne, o è solo sentimentalismo.

Written by giuseppefrangi

Giugno 11th, 2008 at 6:06 pm

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Baconiana/1

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Ultime battute dell’intervista con Michael Archimbaud (aprile 1992, pochi giorni prima della morte).

«L’importante per un pittore è dipingere e basta» «Dipingere ad ogni costo» «Sì, anche dei falsi, pur di dipingere».

«Sì, preferisco sempre che le mie tele siano incorniciate e sotto vetro. È un’idea di oggi quella secondo cui i quadri non vanno incorniciati, ma ho l’impressione che, in relazione a ciò che è la pittura, si tratti di un’idea falsa. La cornice è una cosa artificiale, e viene messa apposta per rafforzare l’aspetto artificiale della pittura. Più l’artificio delle tele che si realizzano è evidente, più vale questa consuetudine e più la tela ha possibilità di funzionare, di mostrare qualcosa. Può sembrare paradossale, ma in arte è un fatto indubitabile: si raggiunge uno scopo attraverso l’impiego massimo di artificio, e si riesce a creare qualcosa di autentico quanto più l’artifico è evidente».

Written by giuseppefrangi

Maggio 27th, 2008 at 10:28 pm

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Francesi beceri

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Traces du Sacre è la mostra aperta al Pompidou per esplorare con estrema scontatezza un tema che brucia le dita. Per Le Monde è una questione in lenta e implacabile estinzione. Il percorso è tutto storicizzato, e a parte qualche formula efficace (Risonanze dell’arcaico per Pollock e Beuys), non ci si discosta dall’assolutamente prevedibile. Un tema così imbrigliato in uno schema è un tema assolutamente inerte. Meglio lasciar perdere. Piuttosto, nella personalissima classifica dei pittori che si sono avventurati oltranzisticamente sul terreno, vedo: 1. Bacon; 2. Yves Klein; 3. Rothko; 4. Dan Flavin; 5. Fontana; 6.Warhol; 7. Barnett Newman… Lista in fieri. Su Giacometti ci devo pensare. Comunque tendenzialmente la figura è in fuga. L’espressione di un’adesione religiosa passa per vie fragili, che non reggono l’impatto con le immagini. C’è bisogno di non detto. Di non dichiarato. Solo così ri-sbuca. Forse…

Solo Bacon fa certamente eccezione. Anche il Matisse ultimo è felice, ma ha una patina un po’ clericale. È sacro molto voluto. E il sacro quando arriva su comanda ha sempre un che di loffio. Meglio il paradiso della Danza… O la finestra aperta sul cielo di Nizza: di nuovo paradiso.

Poi c’è il coté esoterico e alchemico. Lì la lista è infinita.

Written by giuseppefrangi

Maggio 20th, 2008 at 10:54 pm

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Bacon 86milioni

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Record per il Trittico di Bacon (1976) a New York. Ne prendo un particolare. Difficile per B. sottrarsi al destino di “cristicità“.

Altra frase: «La gente tende ad offesa dai fatti o da quella che una volta veniva chiamata verità».

«Vogliamo qualcosa di nuovo. Non un realismo illustrativo, ma un realismo che scaturisca dall’invenzione di un modo effettivamente nuovo di bloccare la realtà in qualcosa di completamente arbitrario».

Written by giuseppefrangi

Maggio 16th, 2008 at 4:41 pm

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Le rondini di Milano

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Tre mostre, un paradosso. Fabio Novembre alla Besana è un magnifico involucro praticamente senza sostanza. L’allestimento è la sostanza. Esalta, dopo l’anticamera buia, lo spazio della Rotonda. Il lungo serpentone nero s’avvita tra le colonne e s’arrampica sino alla volta. A Palazzo Reale, per Balla e Canova, i rapporti si rovesciano: allestimenti da fiera di paese, per due rassegne che non mancano di capolavori. Balla è satto sistemato su pareti di truciolato appena rese decoroe da una lucidatura. Soprattutto le pareti hanno un andamento leggermente obliquo come fossero quelle di una nave da crociera. Soffitti ribassati grazie a teli bianchi tirati da un lato all’altro: effetto mare anche qui (allestimento firmato da Daniela Volpi). Per Canova basamenti di simil cartapesta con la pretesa di imitare i fastigi degli ambienti degli zar (persino il bookshop è allestito con grotteschi banconi in stile neoclassico). Gli ambienti delabré e polverosi del povero Palazzo reale milanese decisamente non reggono il gioco. Meglio quando gli ambienti si fanno nudi e lasciano venire a galla il coté cimiteriale di questa scultura (allestimento Roberto Peregalli e Laura Sartori Rimini).

Su Balla si deve tornare. Il movimento diventa arabesco: trova la chiave giusta Maurizio Cecchetti nella recensione (Avvenire). Come gli arabeschi delle rondini che Balla ricama. Le rondini che Novembre fa volare sulle volta della Besana.

Written by giuseppefrangi

Maggio 1st, 2008 at 9:27 pm

Per cominciare

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Giovedì 24, terza visita alla mostra di Bacon, con Julian e i suoi amici. Fa compagnia la sua voce che dalla sala del filmato deborda nelle sale. Voce chiassosa, sguaiata da pub. La stessa voce che ha inciso sul nastro di david Sylvester questo pensiero: «Per me il mistero del dipingere oggi è il modo in cui rendere l’apparenza. So che può essere illustrata,so che può essere fotografata. Ma come può essere resa in modo da catturare il suo mistero dentro al mistero della sua fattura?»

Written by giuseppefrangi

Aprile 27th, 2008 at 9:17 pm

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