In visita a Saint Moritz al museo Segantini. C’è molto 800, nel mondo di riferimento e nella grevità della pittura. È inchiavardato al pezzo di secolo senza luce. Ma è bella l’ostinazione con cui cerca di uscire dall’angolo senza rinunciare a se stesso. Per intercettare la luce deve fare un percorso infinito, come gli alpigiani di quelle montagne. Ma non alza mai bandiera bianca. Alla fine la caparbietà lo premia, anche se la sua è una luce alla fine più mentale che naturale. È artificio: il che per un pittore con la vocazione alla natura come lui è un bel paradosso. (nella foto la Nuvola alla Fautrier, nel cielo dell’ultima tela del Trittico alpino, la Morte)
È pittore che carica di troppa responsabilità la sua pittura. Vince per ostinazione, non per grazia (vedi l’infinità conmtrollata delle linne di colore). E non sempre è un bel vincere.
Ha l’abilità del grande impaginatore. Figure sempre al centro, architetture di arabeschi che reggono le immagini. Montagne mentali, sempre in skyline lineare e orizzontale.
Due note da ricordare: era apolide, in qaunto nato in terra d’Austria, spedito a Milano ed emigrato in Svizzera. A Milano era passato per il Marchiondi (prima che il Marchiondi fosse quel colossale cubo di cemento)