Robe da chiodi

Archive for the ‘moderni’ Category

I quadri per me più belli del mondo (il gioco continua)

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Se la Resurrezione di Lazzaro di Caravaggio è (per me) il più bel quadro del mondo, chi segue a ruota? Ecco una mia personalssima classifica, suscettibile di essere modificata già domattina (metto qualche paletto e sto alla lettera: solo quadri e non affreschi né sculture; un quadro solo per ogni artista)

1. La Resurrezione di Lazzaro di Caravaggio

2. Tiziano, Paolo III con i nipoti

3. Velàzquez, L’Innocenzo X

4. Antonello da Messina, L’Annunciata (quella di Palermo)

5. Ven Eyck, Madonna del Canonico Van der Paele (o l’Adamo ed Eva della pala di Gand)

6. Rembrandt, Il Figliol prodigo

7. Raffaello, Madonna con il Bambino (la Madonna tempi di Monaco)

8. Bellini, La Pietà (quella di Brera)

9. Bacon, Tre figure ai piedi della Croce

10. Moretto, Cristo sulla scala del pretorio

Mi accorgo che le assenze sono troppe, che il gioco non tiene, che nei primi dieci ce ne dovrebbero stare almeno, almeno altri 20 (la Flagellazione di Piero, Grünewald di Colmar, l’utlima Sainte-Victoire di Cézanne, l’uomo alla finestra di Matisse, La Crocifissione di Masaccio, Giotto di santa Mari Novella, l’Altdorfer di Monaco, la Gallerani di Leonardo, il Cristo di Mantegna, la Veduta di Delft…). Eppure c’è un filo conduttore in questa decina attorno al quale montare altri pensieri. Che la classifica aiuta a precisare le idee. Per esempio io tiro per una pittura come senso del corpo. Per una pittura che cerca la carne, che s’attacca alla carne, o si fonde con la carne (vedi Rembrandt). Vista così la classifica mi può convincere. E Moretto, messo lì a sorpresa ci sta tutto, con il suo Cristo sconfinatamente triste dalla carne grigia. Andiamo avanti. E chi vuole dica la sua.

Written by giuseppefrangi

Febbraio 26th, 2009 at 8:45 pm

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La rana “peteresca" di Kippenberger

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kippenberger_dw_kul_177402gNon so cosa dire sul caso della Rana crocifissa che mesi fa suscitò un caso al nuovo Museion di Bolzano. A naso mi sembrava un provocazione abbastanza gratuita. Ma il rispetto per l’autore, Martin Kippenberger, l’artista tedesco morto poco più che quarantenne nel 1997, mi suggeriva di essere cauto nelle reazioni. Oggi Kippenberger è al centro di una retrospettiva al Moma e per l’occasione Angela Vettese ha riscoperto un neologismo dell’artista. «Tutto quello che gli appariva prono al sistema lo bollava sotto il buffo suffisso “peter” suscettibile di essere declinato. Peteresca o peterante era tutta quell’arte che veniva concepita per vendere ma anche per entrare nelle riviste comme il faut». Se Kippenbeger ce lo perdona, possiamo pensare che la sua rana avesse un che di peteresco. Non per colpa sua quanto di chi ha pensato che il suo posto potesse essere in un museo pubblico…

Comunque complimenti a Martin per quel geniale neologismo. Da tenere a mente.

Written by giuseppefrangi

Febbraio 25th, 2009 at 12:23 am

Nostri fratelli futuristi

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Vista alla mostra del futurismo a Milano. Il percorso è un po’ claustrofobico, la selezione delle opere per quanto ridondante, lascia alla fine un’impressione di stitichezza.  Eppure le prime sale lasciano balenare grandi premesse e grandi promesse. Sono gli anni in cui Boccioni e Balla (ma a sorpresa anche Carrà) sembrano schiudere il guscio, liberandosi d’incanto dalle pastoie  simboliste del divisionismo italiano. C’è un senso stupito soprattutto nei ritratti di Boccioni, in particolare quello dell’Avvocato C.M. sullo sfondo delle spiagge del Lido (1907): sembra un avventuriero della modernità, che scruta l’orizzonte con saldezza di sguardo. Così l’Autoritratto di Balla (1902), che sbuca dall’opacità ovattata dell’800 per calarsi con grande calma nella luce abbagliante del nuovo secolo. È questo fragore luminoso che colpisce. Un fragore che non ha nulla di intellettualistico né di visionario: si capisce come la genesi del futurismo si alimenti della vita della nuova Milano pulsante, quella dell’Expo 1906. Il futurismo non è arte che si mette di traverso, ma aldilà dei proclami, è arte collaborativa. È figlio di quella Milano, ma ne è anche pungolo, stimolo. Scossa continua. Non c’è mai l’altezzosità nichilista delle avanguardie. Forse è un limite. Ma a me piace che sia così. Non è un caso che chi più chi più meno approdino tutti pacifivamente alle arti applicate, disponendosi a disegnare servizi di piatti e attrezzerie domestiche: Sottsass e Mendini ringraziano.

PS: A proposito, a quando una grande mostra per Boccioni? (nella foto uno dei Boccioni in mostra. Il Bevitore, 1909. Che dire? Mi piace la dolcezza di quel personaggio affaticato, accasciato sul tavolo. Esausto di vino o esausto per una giornata di lavoro? Anche nella deflagrazione dinamica delle forme, Boccioni preserva sempre un’ultima tenerezza che fa da collante decisivo. Il futurismo è questo: un piede sulla frontiera del mondo, l’altro dentro la soglia di casa).

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Written by giuseppefrangi

Febbraio 16th, 2009 at 11:51 pm

Giovanni alias Bonvicino

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Blu più argento. Gioco incrociato tra Giovanni (mio fratello, al tempietto di san Lupo, a Bergamo, con Mt 24 25) e Alessandro Bonvicino detto il Moretto. Qui sotto, a destra il cielo delle ante di Lovere; a sinistra il cielo di San Lupo. In basso, a sinistra, il mantello della Madonna di Paitone; a destra, la terra splendente del tempo finale, sempre a san Lupo. Esprit di Lombardia, intercettato in zone profonde.

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Written by giuseppefrangi

Novembre 29th, 2008 at 7:52 pm

Le pagelle di Jean Clair

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«Tutto dipende dalla qualità. Attualmente a Parigi la mostra di Mantegna è di grande valore, mentre quella su Picasso e i maestri, concepita come un “prodotto” di lusso, come un blockbuster, non porta nessun contributo». Lo dice Jean Clair in un’intervista a Il Giornale. Condivido.

Written by giuseppefrangi

Novembre 20th, 2008 at 3:26 pm

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Barcelò, un pompier all'Onu

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onuart-foto-c2a9agusti-y-antonia-torres-3539Il caso di Miquel Barcelò, il pittore spagnolo chiamato dall’Onu ad “affrescare” la volta della Sala XX del palazzo di Ginevra dedicata ai Diritti umani, si presta a qualche utile e anche un po’ velenosa considerazione.
Primo, ci troviamo davanti a un caso palese di megalomania. Una volta di 1300 metri quadrati con Diritti umani per la quale Barcelò ha utilizzato «più di cento tonnellate di pittura prodotta con pigmenti provenienti dai quattro angoli del mondo, avvalendosi di un’attrezzatura appositamente progettata e con la collaborazione di specialisti in varie discipline, tra cui fisici delle particelle, ingegneri, architetti e restauratori di caverne preistoriche» (così spiega il comunicato di Fundaciòn Onuart, committente dell’opera).

Secondo. Dalle foto diffuse e dalla conoscenza degli ultimi anni della grande promessa della pittura spagnola (deludente ridondante la sua mostra a Lugano un paio d’anni fa), mi permetto di avanzare qualche riserva su questo soffitto grondante. È figlio di un artista un po’ tronfio che si crogiola nella sua bravura e nella retorica che gli è stata creata attorno. Insomma è di una ridondanza molto “pompieristica”.
Terzo. Barcelò è figlio del modello spagnolo, che ne ha fatto praticamente un artista di stato: non a caso è riuscito ad imporlo a un ente sovranazionale e sia il re che il primo ministro Zapatero saranno presenti per l’inaugurazione. I giornali se lo coccolano come un novello genio: il suo intervento nei titoli  è già diventato la “capila Sixitina de la Onu”. La Spagna in questo è davvero sciovinista e provinciale.
Quarto. L’Onu mette un sacco di soldi per un’opera che darà infiniti problemi di conservazione. Il bilancio finale è di oltre 20 milioni di euro. In buona parte messi dalla Spagna che li ha sottratti dai fondi destinati a interventi umanitari. Dite voi se ne valeva la pena.

Written by giuseppefrangi

Novembre 11th, 2008 at 7:04 pm

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Beuys in Vaticano (se ci fosse stato Ravasi)

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Gianfranco Ravasi, da pochi mesi “ministro” della cultura vaticana, è un uomo intelligente e non affetto da clericalismo. In un’intervista rilasciata alla Frankfurter Allgemeine Zeitung (e pubblicata questo mese dal Giornale dell’arte) affronta in modo finalmente coraggioso il tema del rapporto tra la chiesa e l’arte moderna. Bacchetta severamente il sin troppo sbandierato nuovo Lezionario in cui sono state inserite opere di Paladino e Chia («artisti validi ma persino i loro lavori sono parsi privi di ispirazione»). Dice Ravasi: «…Forse allora è la chiesa ad aver perso contatto con la creatività». «L’arte contemporanea deve essere presente nei nuovi spazi delle chiese. Ci vorranno anni per dar vita a un nuovo gusto, ma da qualche parte bisognerà pur cominciare». Come esempio di questa incapacità di comprendere quel che di nuovo si presenta sulla scena del mondo Ravasi cita la piccola Crocifissione di Joseph Beuys, del 1963. «La Chiesa avrebbe dovuta acquistarla negli anni 60, sarebbe stata un grande segnale».
beuys-crocifissioneLa Crocifissione (nella foto) si compone di due flaconi già usati per la conservazione del plasma, vuoti, posati su blocchetti di legno: rappresentano San Giovanni e Maria ai piedi della croce. Nel mezzo un altro pezzo di legno, verticale con una croce rossa in alto. Dissacrante? Non direi. Sofferente, piuttosto. Della sofferenza di un artista che cerca di rappresentare un’immagine sulla quale è incardinata la storia (non solo quella dell’arte), e si trova tra le mani solo questi poveri resti ancora pregnanti di un significato.
Grazie quindi a Ravasi per aver sollevato la grande questione. Ora guardiamoci da chi dice di avere soluzioni in tasca. Su una materia così bisogna procedere, senza enfasi, tentativamente. L’importante è procedere, e prendersi dei rischi. E tenere gli occhi (e anche le porte: quelle delle chiese) aperti.
Post scriptum: l’importante è invece lasciar fuori dalla porta la retorica della presunte, periodiche rinascite del sacro. E lasciar fuori dalla porta anche le “elemosine” di  quegli artisti che regalano qualche soggetto sacro per vanità. Meglio il balbettio anche ambiguo di un Beuys. Almeno lui si gioca con le sue domande e l’asprezza dolorosa del suo sguardo.

Written by giuseppefrangi

Novembre 9th, 2008 at 4:16 pm

Tutti in estasi per Bill Viola

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bill-viola-ocean-without-a-shore-woman1Piace, quanto piace Bill Viola il videoartista americano che sta esponendo al Palazzo delle Esposizioni di Roma. Da Repubblica ad Avvenire abbiamo letto apologie senza riserve. Viola fa tutte le cose giuste: è moderno nella scelta del mezzo espressivo, è elegante e impeccabile e quindi anche molto glamour; è naturalmente molto religioso, di una religione, come funziona oggi, ritagliata su misura. Ha una qualità formale e tecnica che rende inattaccabili le sue opere. I suoi video sono rallentati allo spasimo, perché Viola vuole stare aldilà del tempo, perché sente nel tempo una zavorra. In questo ha condizionato anche i suoi fans, che arrivano a dire che chi vuol vedere la sua mostra è meglio che butti via l’orologio (Lorenza Trucchi). È un mondo liberato dal peso di se stesso quello di Viola, come recita il titolo del video presentato all’ultma Biennale veneziana “Oceano senza una sponda” (Ocean without a shore: fatevene un’idea, per la verità molto parziale, guardandolo su Youtube; oppure accontentatevi della foto qui a sinistra). Un titolo che vuole essere una metafora di Dio. La sua è una religiosità che sfuma nel nirvana, che scioglie la fisicità portandola ai confini dell’immateriale.
Per coincidenza la sua mostra aviene in contemporanea e a poche centinaia di metri da quella di un artista da lui quanto mai amato, Giovanni Bellini. A lui Viola ha dedicato un breve scritto pubblicato da Repubblica (qui lo potete leggere in integrale). Uno scritto bello e rivelatore. in forma di lettera. Scrive Viola: «Una delle tue ultime opere è un ritratto di Cristo che ci guarda dritto negli occhi. In quel momento, solo nel tuo studio, sentivi che Dio era lì con te? Avevi l’ impressione di vederlo nel medesimo istante in cui lui vedeva te? E ora che non sei più su questa terra, che mondo vedono i tuoi occhi?». Che mondo vedono i tuoi occhi: probabilmente il programma di lavoro per lui stesso.

Detto questo, ammetto di non andare in estasi per Bill Viola. Mi sembra che sia troppo prono ai gusti del tempo. Troppo elegantemente accomodante. Troppo mistico, di una mistica patinata. Soprattutto troppo ostile alla dimensione del tempo. (Del resto non ho mai nascosto che tra Mantegna e Bellini io sono del partito di Mantegna).

Written by giuseppefrangi

Novembre 5th, 2008 at 8:53 pm

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Fontana, dove meno te lo aspetti

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Due belle mostre intelligenti e insolite dedicate a Lucio Fontana. Una a Mendrisio, l’altra a Genova. In preparazione alla visita, ecco un pensiero su Fontana che non ti aspetti (specie riferendosi a chi lo ha avuto)

«Quando Jackson Pollock faceva colare il colore dal pennello, ci sembrava che il mondo così come lo conoscevamo fosse cambiato per sempre. Lo stesso vale per Fontana, le sue aggressioni e le sue profanazioni da un lato si possono considerare infantili atti distruttivi e dall’altro un inno alla vita, esplosioni cosmiche o danza insolite ma stupende. Con le sue traiettorie nello spazio e nel tempo, Fontana parla al bambino che è dentro di noi, ci ricorda che per quanto complicata sia la nostra vita, ci salva la bellezza che si trova dove meno ce lo aspettiamo, e questo è l’importante perché come diceva Brancusi “quando non si è più bambini si è già morti”».

Sarebbe da fare un quiz sull’autore. Ma è troppo difficile e quel riferimento a Pollock spiazza dal punto di vista generazionale. È niente meno che Damien Hirst, un artista da gossip che ha uno sguardo intelligente come pochi sull’arte. Leggete il suo Manuale per giovani artisti.

Written by giuseppefrangi

Ottobre 29th, 2008 at 9:14 pm

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Le pietre addormentate di Rauschenberg

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Così Robert Rauschenberg spiegava le sue Early Egyptians (1974; in mostra ora a Napoli, al Madre): «Cospargo le scatole di cartone di un materiale speciale come fosse colla. Poi le ricopro con due o tre strati di sabbia. Questo è così, quando pensi che siano scatole, ti sembrano pietre. Poi dopo aver pensato che sono pietre, torni alla prima impressione. Non sono pietre! Pensi di nuovo che siano scatole. Quest’ ambiguità è quello che mi piace. Poi ne dipingo il retro in modo che riflettano il colore sui muri. Come pietre che si sono addormentate dentro a un arcobaleno».

Written by giuseppefrangi

Ottobre 29th, 2008 at 1:08 am

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