Ho sempre guardato a Robert Rauschenberg con qualche difficoltà. Un artista di cui non coglievo bene contorni e sostanza. Un po’ a volte infastidito dail’opacità delle sue opere. La mostra di Varese, a Villa Panza, invece è come una specie di disvelamento. Rauschenberg come superamento e in un certo senso anche affondamento dell’era pop. A Varese sono esposti i Gluts, fatti rimontando rottami metallici che Rauschenberg si procurava in una discarica vicina al suo studio in Florida. Glut sta per sovrabbondanza, eccesso. Rauschenberg raccoglie le scorie, per restituirle a nuova vita. È come se l’arte dopo l’immersione unidimensionale della stagione pop, recuperasse il bisogno di una coscienza morale. C’è qualcosa di delicato, di pudico opposto alla tracotanza pop. I Gluts sono moniti contro «l’avidità rampante» (parole sue). Attraverso loro fa breccia un’idea etica che non s’era mia percepita prima e la cui onda arriva sino a noi.
Sempre parole sue: « Voglio semplicemente rappresentare le persone con le loro rovine […] Penso ai Gluts come a souvenir privi di nostalgia. Ciò che devono realmente fare è offrire alle persone l’esperienza di guardare le cose in relazione alle loro molteplici possibilità. Gli oggetti abbandonati mi fanno simpatia e così cerco di salvarne il più possibile».
Segnalo in proposito la bella intervista a Giovanna, moglie di Giuseppe Panza, uscita sul Sole.
E una galleria fotografica dei Gluts