Robe da chiodi

Archive for the ‘Giovanni Testori’ tag

Novara meritava bene un Elogio

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Non perdetevi questa mostra nello scenario stupendo della navata di San Gaudenzio a Novara. Un omaggio a Testori che testorianamente lievitato in quanclosa che è molto più che un omaggio. Si entra sotto la cupola a siringa dell’Antonelli, in quel transetto anche lui un po’ acuminato. Una parete nera con tenda al centro “copre“ lo spettacolo della navata barocca dove ai Tanzio, Gaudenzio e Morazzone (tutti qui di stanza), si sono aggiunte su delle quinte nere altri 14 quadri appena restaurati, con alcune assolute soprese (primo tra tutti il Matrimonio mistico di santa Caterina di Gaudenzio). Aggiungo solo un pensiero: è bellissima la coralità dell’insieme. Si sente che sono pittori in famiglia tra di loro, che parlano una stessa lingua, che stanno bene insieme. Nel senso che insieme diventano più belli, prendono più corpo, aumentano di peso specifico. La Lombardia è cultura plurale, e qui lo si tocca con mano. Uno rimanda all’altro e nessuno esce dimunito dalla presenza di qaudri oggettivamente più belli. Il 18 maggio appuntamento da non perdere con Giovanni Agosti e Giovanni Romano in mostra a presentare il libro – catalogo.

Testori nel 1962 aveva pubblicato un meraviglioso (meraviglioso anche come oggetto) libro Elogio dell’arte novarese. Dopo aver visto la mostra si constata che mai titolo fu più pertinente (e non è un discorso di qualità, ma di tenuta umana, di omogeneità cultural sentimentale)

Written by giuseppefrangi

Marzo 24th, 2009 at 11:55 pm

Gaudenzio, la pittura come una carezza

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gaudenziookGaudenzio, Gaudenzio: questo volto è davvero difficile da dimenticare. È un particolare della pala di Guadenzio Ferrari, conservata nel Duomo di Novara ma che è rinata sorprendemente con il restauro realizzato per la mostra che si apre il 19 marzo prossimo alla Basilica di San Gaudenzio, sempre a Novara (qui i particolari). La Pala è un Matrimonio mistico di Santa Caterina, e secondo Rossana Sacchi che ha scritto la scheda in catalogo, è da datare intorno al 1527. Due riflessioni attorno a questa volto Madonna: difficile parlare del suo autore come di un minore. Qui siamo ad un’intensità espressiva che può essere solo nelle corde di un grande. È un Gaudenzio correggesco, ma rispetto a Correggio il sublime di Gaudenzio non è mai autoreferenziale. Questa Madonna ha lo sguardo puntato verso un qualcosa (il Bambino) ed è la tensione sentimentale che questo rapporto determina a strutturarne l’espressione. È un sublime che si genera dentro un rapporto, che nasce da uno scambio. Questo volto vibra di commozione in ogni cellula e dissemina una dolcezza che invade anche il cuore piuttosto disilluso di un uomo d’oggi. Non credo di esagerare, ma la carne di questa Madonna è una carne “bambina”.

Ci aveva visto Testori, citato nella scheda del catalogo: «la qualità umana della materia di Gaudenzio […], quel suo incarnar le figure piano, piano, come al tepore d’una continua carezza».

Written by giuseppefrangi

Marzo 12th, 2009 at 8:09 pm

Michelangelo non ripete

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ITALY-ART-MICHELANGELO-CRUCIFIXÈ la ragione più che plausibile con cui un personaggio autorevole mi spiega perché il Crocifisso comperato dallo stato italiano ed esposto in questi giorni alla Camera non può essere di Michelangelo. Il Crocifisso resta bellissimo, il tempo è quello (ultimo scorcio di ‘400), ma la mano non è quella. L’idea di “ripetersi” è radicalmente estranea a Michelangelo. Non è tipo da tornare mai sui suoi passi: lo dice a chiare lettere il catalogo della sua opera. Ma lo dice ancor più chiaramente la sua tempestosa natura artistica. Michelangelo è uomo da idee uniche: nessuno lo è più di lui, neppure Leonardo che bissa la Vergine delle Rocce. È un incontentabile, che non conclude. Perché il concludere è un diminuire. E uno che non conclude come può ripetersi?

Post scriptum. Comunque è bellissimo. E mi richiama questo breve passaggio da Passio Laetitiae et Felicitatis, di Testori (è Felicita, davanti al Crocifisso in cui ha riconosciuto immedisimato il fratello morto): «Sarà stato che quella medesima lux o luse dava a quella carna statuaria la tenerezza d’una carna viventa o viva fin a pochissimi minuti prima…».

Written by giuseppefrangi

Gennaio 14th, 2009 at 12:23 am

Macugnaga in gloria

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Ogni volta che mi capita di metter piede nella Parrocchiale di Macugnaga, paese alle pendici del Rosa, con qualche centinaio di abitanti, mi viene lo stesso pensiero: perché mai la gente di qui trecento anni fa ha sentito il bisogno di fare una chiesa così maestosa? E dove ha scovato le risorse per tirarla in piedi? Facendo un mero discorso economico, si può pensare che il budget di questa Parrocchiale fosse più o meno pari al pil prodotto dal villaggio. Perché mettere tutte le proprie ricchezze in un bene collettivo ma non destinato a scopo utilitaristico? E che fatica avranno fatto a protar su da fondovalle quelle colonne torrili di marmo nero per gli altari di fondo? E come avranno retto le impalcature alzate ai 20 e passa metri della volta nell’inverno non certo tenero di Macugnaga? E non c’era neppure l’ambizione di apparire, di far girare per le valli e le contrade il nome del paese capace di una simile impresa. C’era un qualcos’altro che oggi sfugge, o quanto meno che ci è radicalmente estraneo. Un qualcosa che ha a che vedere con l’idea che si ha del nostro destino, io penso. Ma ogni cvolta che il 31 dicembre, dopo la messa della sera, sotto quelle volte ascolto il Te Deum di ringraziamento in latino, mi sembra di percepire il senso ultimo di tutto questo. Un qualcosa che ha che fare con la gratitudine e con la gloria.

Comunque la Parrocchiale di Santa Maria Assunta venne iniziata a Macugnaga nel 1709, conclusa una decina di anni dopo. Ha una grande abside e una navata unica con sei cappelle laterali. Venne costruita pur in presenza di un’altra bellissima chiesa, bassa e montana, di origini trecentesche, tutt’ora esistente. Tra le cose belle, c’è l’aquila-basilisco dell’Apocalisse, che regge il pulpito e che accese la fantasia e il cuore di Giovanni Testori.
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Written by giuseppefrangi

Gennaio 10th, 2009 at 3:09 pm

La sperdutezza di Schifano

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«Così dai teleri di Schifano che l’ansia verso un impossibile paradiso della felicità (e dell’innocenza) fa parer simili a grandi aquiloni che nessuna stanchezza e nessuna tempesta riescono ad abbattere, ancorché vi si leggano, qua e là, strappi e ferite…
… Ma perché tacere che Schifano con queste sue opere, sembra aver superato e con un solo balzo il “bric e brac” psico-letteral-pittorico della transavanguardia, lasciandolo a tanti chilometri di distanza da farlo sembrare vecchio e, quel che è peggio, assolutamente inservibile anche quale semplice provocazione?».

Così Giovanni Testori, sul Corriere del 7 novembre 1982. Alla Rotonda della Besana, nella mostra “Giovani pittori e scultori italiani”, Schifano esponeva, invitato da Achille Bonito Oliva, due grandi tele che oggi vengono riproposte nell’esposizione del decennale dalla morte, che dopo essere stata Roma è approdata a Milano (Parcheggio, 1982; e Ballerini, 1982)
Il volto di Testori riaffiora, per tre volte, nel montaggio di 540 fotografie tutte catturate dalla tv, proveniente dalla collezione Massimo D’Alessandro (1993). Sono le uniche immagini che Schifano, lascia praticamente intatte, prese dall’intervista fatta poco prima della morte dello scrittore da Riccardo Bonacina. Un volto scavato, drammatico, con gli occhi sbarrati, come su un abisso, o forse gravati da un immenso senso di carità.
Cosa collega quegli occhi alle tele leggere come “aquiloni”? Bisogna scavare intorno a questo interrogativo per non cedere a letture ovvie e banali su Schifano. È un invito a sorprendere quel punto di buio, di pianto, di ansia che fa di Schifano un pittore molto più profondo e grande di quanto una vulgata un po’ ciabattona e semplicistica vuol farci credere. Per Schifano andrebbe bene un quasi-neologismo di Testori: sperdutezza. Che è la vita come somma di immensa delizia e di irriducibile malinconia.

Detto questo, è purtroppo doveroso sottolineare la mestizia dell’allestimento della mostra milanese, con quella sala di bellissimi video che sembra quella d’attesa di un dentista.

Peccato. Perché la scelta delle opere è di quelle che lasciano una scia indelebile nel cuore.

Written by giuseppefrangi

Ottobre 21st, 2008 at 11:35 pm

Appuntamento con Daniele

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Sabato 18/10, ore 15, visita guidata da Cristina Terzaghi alla Certosa di Garegnano e agli affreschi di Daniele Crespi con le storie di San Bruno (e quelli di Simone Peterzano). Un’occasione da non perdere per la bellezza intatta degli affreschi e per la qualità di chi guida la visita. Sul sito dell’Associazione Testori, tutti i particolari per iscriversi.

Personalmente ho un legame quasi di sangue con questi affreschi di Daniele, essendo che sono stati l’argomento della tesi di mia mamma Lucia. Una vocazione artistica potentemente sostenuta dal grande fratello Gianni, ma poi arenatasi negli impegni famigliari… Ma il legame resta, e quel tono cronachistico e tutto in prosa di Daniele lo sento un po’ mio.

Naturalmente Gianni (Testori) su Daniele ha invece continuato a indagare. E le sue righe sono un magistrale viatico: «Da quel romanziere che tentò d’essere egli snodò i gorghi in cronaca, li spianò fino a svuotarli della loro stessa seduzione; indicò agli spettatori i piani effettivi delle vicende; enucleò le misure sociali, anziché i rapimenti mistici e spettrali delle vite dei Santi e di Cristo medesimo; rimeditò i martirii come fatti di costume; cercò di legare ogni fatto, anche i più truci, a ragioni precise e precisabili. Ma, a parte che una talquale remora languida gli rimase addosso sempre, il suo limite fu di restar legato, in quell’operazione, a una parte sola, quella della Controriforma: uno Stendhal senza la necessaria obiettività e il necessario cinismo; uno Stendhal, insomma, sconfitto. Questo è quanto si desume dalla sua opera in proposito più chiara, che è poi anche il suo capolavoro: il ciclo certosino di Garegnano, dipinto tra l’altro alla vigilia della morte (1629)».

(Come nota Davide Dall’Ombra nella sua tesi di laurea, la stessa prosa si Testori finisce con il “planare” sullo stile di Daniele: «Testori sembra adattare il suo linguaggio critico a quello che ritiene essere il temperamento del pittore: se con il Procaccini s’era fatto setoso, con Daniele si fa storico, dettagliando i rapporti di influenza sulla Spagna degli altri manieristi e i debiti del Crespi verso Zurbaràn e la pittura genovese così come Daniele fu pittore attento ai meccanismi della storia ma con tutti i limiti di un pittor cronista»).

Nella foto, la scena maestra del ciclo di Daniele, il  Risveglio dai morti di Raimondo Diocrès.

Written by giuseppefrangi

Ottobre 15th, 2008 at 1:44 pm