«Così dai teleri di Schifano che l’ansia verso un impossibile paradiso della felicità (e dell’innocenza) fa parer simili a grandi aquiloni che nessuna stanchezza e nessuna tempesta riescono ad abbattere, ancorché vi si leggano, qua e là, strappi e ferite…
… Ma perché tacere che Schifano con queste sue opere, sembra aver superato e con un solo balzo il “bric e brac” psico-letteral-pittorico della transavanguardia, lasciandolo a tanti chilometri di distanza da farlo sembrare vecchio e, quel che è peggio, assolutamente inservibile anche quale semplice provocazione?».
Così Giovanni Testori, sul Corriere del 7 novembre 1982. Alla Rotonda della Besana, nella mostra “Giovani pittori e scultori italiani”, Schifano esponeva, invitato da Achille Bonito Oliva, due grandi tele che oggi vengono riproposte nell’esposizione del decennale dalla morte, che dopo essere stata Roma è approdata a Milano (Parcheggio, 1982; e Ballerini, 1982)
Il volto di Testori riaffiora, per tre volte, nel montaggio di 540 fotografie tutte catturate dalla tv, proveniente dalla collezione Massimo D’Alessandro (1993). Sono le uniche immagini che Schifano, lascia praticamente intatte, prese dall’intervista fatta poco prima della morte dello scrittore da Riccardo Bonacina. Un volto scavato, drammatico, con gli occhi sbarrati, come su un abisso, o forse gravati da un immenso senso di carità.
Cosa collega quegli occhi alle tele leggere come “aquiloni”? Bisogna scavare intorno a questo interrogativo per non cedere a letture ovvie e banali su Schifano. È un invito a sorprendere quel punto di buio, di pianto, di ansia che fa di Schifano un pittore molto più profondo e grande di quanto una vulgata un po’ ciabattona e semplicistica vuol farci credere. Per Schifano andrebbe bene un quasi-neologismo di Testori: sperdutezza. Che è la vita come somma di immensa delizia e di irriducibile malinconia.
Detto questo, è purtroppo doveroso sottolineare la mestizia dell’allestimento della mostra milanese, con quella sala di bellissimi video che sembra quella d’attesa di un dentista.
Peccato. Perché la scelta delle opere è di quelle che lasciano una scia indelebile nel cuore.