Robe da chiodi

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Piccolo ragionamento scandaloso su Francis Bacon

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Mi è capitato recentemente di proporre in termini forse poco canonici, un caso Bacon: quest’anno del resto è anche il centenario dalla nascita.

Il punto di partenza è questo: non si deve restare ostaggio di uno sguardo reattivo, che finisce ovviamente con il privilegiare l’aspetto “orrorifico” della sua opera. Il focus drammatico e se si vuole, anche blasfemo, di Bacon esiste. Ma è un errore restarne soggiogati. A dispetto dell’intensità a volte folgorante delle sue tele, Bacon ha bisogno, da parte nostra, di uno sguardo calmo e controllato. Tutto il suo processo creativo obbedisce a una scommessa, a una sfida drammatica più volte ribadita, con molta lucidità, nelle sue interviste: voler andare oltre l’apparenza e approdare «a un più profondo senso dell’immagine». Bacon vuole sfuggire dalla mera illustrazione della realtà, per agganciare un livello più profondo e più «acuto»: acuto nel senso di voler rapportare, nell’immagine, la realtà al suo senso. Per fare questo, il suo primo atto, è quello di agganciarsi a immagini già così forti e strutturate dentro la storia delle arti figurative. Sono immagini che lui percepisce come degli archetipi, come dei punti genetici. Per questo si appoggia all’Innocenzo X di Velazquez e poi alla Crocifissione di Cimabue, che, com’è noto, teneva, nel suo studio rovesciata.

Bacon non è il primo artista del 900 che riscopre l’iconografia della Crocifissione, ma in tanti casi anche celebri, si era trattata di una riscoperta quasi per forza d’inerzia: in un secolo ferito da cicli di inaudita violenza dell’uomo sull’uomo, la Crocifissione è diventata un’immagine simbolo, quasi per necessità: l’unica immagine in grado di dare rappresentazione adeguata di tanta crudeltà. Ma la Crocifissione ridotta a metafora dell’attualità storica e sganciata dal nesso con il destino dell’uomo nella sua integralità, è una Crocifissione depotenziata. E la riprova se ne ha osservando come nessuno, da Nolde a Picasso, abbia saputo fare un salto di coscienza formale affrontando questa immagine cruciale. Per tutti si è trattato semplicemente di un cambiar soggetto, senza muovere ne è forma né stile.

crucify3baconCon Bacon invece avviene un processo opposto (nell’immagine il pannello di destra di Tre studi per una Crocifissione, 1962). La sua Crocifissione (o le sue figure ai piedi della Croce) parte da un punto genetico del passato per esplodere in modo clamoroso nel presente. E in quel punto genetico c’è la parte che mancava al resto del 900: cioè il nesso tra la Crocifissione e il destino dell’uomo. O, più precisamente, con il mistero dell’uomo, cioé quell’inscindibile nodo che lega la bellezza della carne alla sua finitezza ( e la connessa domanda di eterno). La Crocifissione in Bacon cessa di essere metafora e torna ad essere corpo presente. Con tutto lo scandalo che l’uscir di metafora porta con sé. Con Bacon, volenti o nolenti, Cristo torna ad essere un fatto vero, assolutamente e brutalmente reale. Torna a ingombrare la storia dell’arte dopo decenni o forse mezzi secoli di astinenza. Che poi quelle immagini possano risultare sconvenienti da mettere in Chiesa è tutto un altro discorso e anche comprensibile. Però liquidarle dalla coscienza resta uno scandalo.
Per tutto questo sono assolutamente convinto che le Tre figure ai piedi della Croce (19439 con tutte le innovazioni formali che porta sul proscenio della storia dell’arte, siano l’opera cardine del 900.

Written by giuseppefrangi

Maggio 17th, 2009 at 6:31 pm

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Nolde, Rouault e Cristo

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Bella la doppia pagina di Alias, l’inserto del sabato del Manifesto, con le recensioni alle due mostre parigine di Emile Nolde e di Georges Rouault. Due artisti paralleli, morto l’uno nel 1957 l’altro un anno dopo. Trait d’union (sottolineato anche dalla scelta dell’immagine di Nolde messa in pagina; Rouault dal canto suo fa subito effetto “Chartres” con qualsiasi soggetto), è una propensione molto più esplicita e costante in Rouault, all’arte sacra. Nolde dipinse un ciclo famoso negli anni 10, oggi presentato nella sua completezza in un’intera sala alla rassegna parigina. Come sottolinea giustamente Federico De Melis, «nella sua brutale immediatezza quello di Nolde si qualifica come un cristianesimo non solo troppo luterano, ma frammischiato, diremmo, a qualche veleno di paganesimo nordico». «Un modo tutto soggettivistico e fantastico di vivere la sfera religiosa» che indusse Romano Guardini a escludere che l’espressionismo di Nolde «così sganciato dall’oggettività, storica ma anche scritturale, della verità rivelata possa in qualche modo rivelarla».

Opposto invece il film di Rouault, cui, come spiega invece Roberto Andreotti, Parigi ha reso un quasi imbarazzato omaggio. La mostra al Beaubourg, appena chiusa, era nascosta e poco pubblicizzata, mentre ora ne è aperta un’altra in una sede più defilata, la Pinacothèque de Paris. Scrive Andreotti: «Una figurazione come la sua, che sfida la permanenza del Sacro proprio sul ring della crisi novecentesca – indicare una “salvezza per l’uomo moderno” avrebbe detto Charles Moeller – non è solo un “esercizio spirituale privato”, ma s’impone dialetticamente come una drammatica ricerca della Rappresentazione». Ed è bello anche il riferimento all’omelia pronunciata al funerale di Rouault dall’abate Maurice Morel. Riferendosi alle vetrate di Chartres, disse: «Egli ne possedeva la giovialità e la gravità, ma insieme anche il pudore e la franchezza, in una parola la fede».

Quella di Rouault è stata forse l’ultima esperienza in cui la rappresentazione del sacro è riuscita ad approdare, con strazio e fatica, alla figurazione. Dopo di che è subentrata una sorta di assordante afonia. Bacon escluso, ma quella è tutta un’altra storia (nel senso che Bacon non ha mai pensato di appendere un suo quadro in una chiesa).


Written by giuseppefrangi

Ottobre 14th, 2008 at 3:03 pm