Oggi Il Corriere annuncia a tutta pagina, in apertura di cultura, la prossima mostra che si aprirà in Vaticano e che rappresenta un primo passo concreto dopo l’incontro tra il Papa e gli artisti avvenuto lo scorso anno. La regia è ovviamente del cardinal Ravasi, la sede espositiva l’aula Paolo VI; larga e “alta“ la lista degli artisti invitati, gran parte dei quali hanno già garantito l’invio dell’opera richiesta sul tema «Splendore della vita, bellezza della carità». Per giudicare bisogna vedere (per ora si vede solo l’opera che l’immancabile Paladino ha già preparato e che il Corriere pubblica… dèja vu). Mi fa riflettere però un passaggio dell’articolo di Vincenzo Trione: «Talvolta, pittori, scultori e fotografi – da Nitsch a Hirst, da Serrano a Cattelan – si sono limitati solo a proporre sterili esercizi blasfemi, tesi a profanare e airridiere il sacro». A parte che sui nomi avrei qualcosa da discutere (Nitsch non mi sembra per niente irridente, ad esempio), è la questione della blasemia che mi lascia davvero interdetto. Non vorrei che si etichettasse come tale ogni tentativo di uscire dalla banalità, dal generico spirtualismo, di stringere i nodi drammatici del vivere. Magari prendendosi dei rischi, magari stando borderline rispetto al buon gusto o all’accettabilità delle proprie opere. La cosa che più manca a quasi tutti i tentativi di approcciare l’arte religiosa oggi è la carne. È arte che si posiziona su una soglia nobile e condivisa e di indagine e riflessione spirituale, guardandosi dall’affondare nella questione che invece il cristianesimo ha portato dentro l’arte: il fattore della “fisicità di Dio”. Io penso che da questo punto di vista Bacon con il suo Trittico del 45 resti un paradigma vero. Un punto in cui l’irriducibilità della presenza di Cristo si palesa come scandalo. Nitsch, con tutti i limiti e le sue fissazioni, è su quella strada: e mi colpisce la sua insistenza certamente ossessiva. Anche Hirst a volte è riuscito a toccare quelle corde.
Recentemente, rileggendo il libro dei dialoghi tra Jean Guitton e Paolo VI mi sono trovato davanti a questo pensiero del grande Montini: «Questo mi ricorda una cosa: quando collaboravo (con Maurice Zundel) a una rivista, avevamo rovesciato la frase di san Giovanni: “e la carne” dicevamo con l’audacia dei giovani “si è fatta parola”. Et Caro Verbum facta est. Non tutti i teologi ci avevano capiti, e riconosco che loro critiche erano giuste, ma bisognava capire che noi volevamo solo dare una definizione dell’arte e in particolare dell’arte cristiana. La materia è divenuta parola, una parola di Dio». La questione credo sia proprio questa: che la carne si faccia (di nuovo) verbo (ricordo che Paolo VI aveva accettato un Bacon per i Musei Vaticani).
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Arte contemporanea in Vaticano. A rischio di banalità…
Chi si risente, Jasper Johns
Intervista di Vincenzo Trione a Jasper Johns sul Corriere della Sera. Jonhs vive appartatissimo nella sua tenuta del Connecticut. Non si concede praticamente mai alle occasioni mondane, per cui avero convinto a rispondere alle domade è stato un colpaccio. Ma a volte se un artista non parla, c’è un motivo: non è portato a scoprirsi. Così vale per Johns che risponde con precisione alle domande ma senza mai affondare. Si guarda bene di entrare in un ciclone mediatico. Segnalo questa parte della confessione: «A volte la libertà poetica può condurre al nulla. Altre volte può dischiudere nuove percezioni, nuovi modi di sentire. Gli artisti possono farsi carico di responsabilità politiche in diversi modi. Alcuni pensano che queste “preoccupazioni” non vadano espresse apertamente, ma debbano restare nella trama invisibili di quadri o sculture. Altri mostrano una totale assenza di sensibilità etica (almeno a livello conscio): ma non per questo i loro dipinti mancano di autenticità. Per quanto mi riguarda vorrei essere fuori da qualsiasi dimensione sociale. Ma è difficile: siamo immersi in un determinato mondo, e i nostri segni inevitabilmente ne risentono».
Barcelò cade (già) a pezzi
Non è passato neanche un mese dall’inaugurazione e la “Sistina” di Miquel Barcelò al palazzo Onu di ginevra cade già a pezzi. La denuncia è partita da un giornale online spagnolo, Libertad digital che ha pubblicato queste foto. Era facile essere profeti: il dilettantismo tecnicio a quanto pare è andato di pari passo con l’insensatezza dell’opera. Quello che è incredibile è la difesa ad oltranza che il Corriere fa del tentativo di Barcelò, con un articolo di Vincenzo Trione ai limiti del ridicolo. Si dice che l’artista spagnolo incarna il rifiuto degli inquadramenti, delle prospettive e delle simmetrie: «Novello Icaro, Barcelò si è bruciato nel suo sogno». Suvvia: diciamo che siamo di fronte a un artista intellettualmente modesto, con poco senso del limite e con una gigantesca quanto disastrosa autostima. Un artista che piace tanto al palazzo, che se lo coccola, come capita agli artisti di regime. Tutto qui.
Per saperne di più: Human Rights Tribune, Libertad Digital