Mi è piaciuto il titolo che Michelangelo Pistoletto ha voluto dare alla sua mostra aperta al Maxxi: Da uno a molti. È un titolo che custodisce bene il nocciolo dell’opera dell’artista biellese: l’idea che l’arte non sia un fatto individuale ma collettivo. Che l’esito dell’opera sia nella coscienza che sviluppa in chi la guarda. In un’onda di consapevolezza allargata. L’idea della Città dell’arte fondata a Biella nasce dentro questa scia. C’è un qualcosa di utopico che assegna all’arte un compito che ho qualche dubbio le appartenga: quello di aggiustare, o quanto meno di riparare, il mondo. Di guidarlo verso un Terzo Paradiso. Bonito Oliva per rendere l’idea, nella recensione su Repubblica ha voluto strafare: «Aleggia su tutti noi, a conferma, il nuovo segno dell’infinito per il Terzo Paradiso (dopo l’Eden naturale e quello tecnologico) costellazione protettiva e simbolica di un futuro migliore che solo l’arte può assicurare, garantendo l’impellenza di un insostituibile valore: la coesistenza delle differenze». …guardiamoci dall’arte che presume di assicurarci un futuro migliore… sa subito di arte di regime, anche se a volte non è immediato identificare e di quale regime si tratti…
Pistoletto non è certo questo. È un artista di una grande e speiazzante intelligenza e e di straordinaria raffinatezza stilistica. E forse quel titolo, che pure è bello, lo imprigiona un po’ dentro questo meccanicismo messianico. O forse è un po’ difensivo: come se evidenziasse il bisogno di legittimare moralmente il proprio essere artista.
(Mi vien da pensare che i titoli di un altro grande italiano funzionavano esattamente al contrario. Mi riferisco a quelli magistrali di Schifano, che erano come dei tuffi al cuore; palla avanti e via a correre… Io sono infantile, Tuttestelle, Tutto, Compagni compagni, Verde fisico, Perdita d’occhio, Venezioso, Quadri mai visti).
Nell’immagine, un’opera di Pistoletto presneta al Maxxi, Rosa bruciata (1965)