Si è conclusa una bellissima edizione di Giorni Felici a Casa Testori, molto vitale, con un un filo preciso e sottile (non invasivo, mai prevaricante) che legava una stanza all’altra, o meglio che lanciava continui rimandi da una stanza all’altra, grazie al lavoro davvero prezioso di Marta Cereda. La prima notazione da fare riguarda la profondità di intuizione poetica che si coglie in tanti giovani presenti. Sono intuizioni non messe in preventivo, perché non ti aspetti da una parte una propensione a toccare certi temi e dall’altra una tale maturità nell’affrontarli. Per dire, s’è vista molta riflessione sul dolore, sul limite, sulle ferite. Ma la modalità di questa riflessione aveva spesso la forza di proporre punti di fuga, di non restare ostaggi del tema senza mai evaderne neppure un centimetro. Mi riferisco in particolare alla installazione di Elisabetta Falanga, 28 anni, ma anche al video proiettato nelle cantine di Fatima Bianchi, stessa età. Due riflessioni che vertono su mondi interni (la famiglia: quindi straordinariamente coerenti con il luogo, una casa, Casa Testori) perciò che hanno un’intimità come orizzonte, che non pretendono di andare oltre, ma che proprio per questo bisogno di mettersi con delicatezza in mostra, di diventare fatto pubblico che chiede di essere condiviso e partecipato, si sono dati una “forma” che per me sarà difficile dimenticare.
C’è come una capacità di inserirsi tra le linee. Di far parlare interstizi esperienzali dimenticati. Di essere espliciti restando impliciti. Nell’installazione di Elisabetta Falanga lo spazio schiacciato della stanza documenta la compressione del dolore, un peso che si allunga su tutti gli oggetti che sono come un bagaglio da cui non ci si può sgravare. Ma sopra l’orizzonte della terra (una lastra di vetro taglia tutta la stanza a 1,50 di altezza ed è tutta coperta di terra), annuncia ancora un mondo, ancora una possibilità che gli affetti del mondo si sotto possano permeare il mondo che verrà. La terra sopra la testa non è solo un peso, ma è anche un orizzonte (non a caso il titolo è L’altro livello della terra).
Anche Fatima Bianchi indaga su un mondo interno, circoscritto, chiuso. È l’attesa del figlio e fratello che lascia orfana una domenica come tutte le altre. C’è silenzio, rotto solo dal ticchettio del tempo, che non è però assillo. C’è un consumarsi calmo delle immagini intime sulle screpolature del muro. Ma soprattutto c’è la breccia della luce del faro di Brunate, proiettato sul muro opposto, che sposta il baricentro là dove ci sono le lettere del fratello nella cassetta, lì da leggere per tutti. Un fatto intimo, privato diventa fatto nostro. Una ferita viene portata con delicatezza e tanta poesia a condivisione comune. Così la vita grazie all’arte non si chiude in sé e si libera dalla trincea. Ma è anche la vita che detta una grammatica inedita all’arte, in cui la pazienza torna ad avere voce in capitolo.
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Giorni Felici, la profondità dei giovani
Maffezzoni, ispirarsi (con ironia) a Dalì
L’amico Mauro Maffezzoni, uno degli artisti presenti con grande successo alla prima edizione di Giorni felici, mi manda la fotografia di questo suo quadro appena realizzato. È una Crocifissione, ispirata dal modello di Dalì. Non amo le opere sacre dell’artista spagnolo, perché mi sembra riducano tutto a una saga di fantascienza. Crocifissi spaziali, con effetti in 3D. Cristi extraterrestri. Ma Maffezzoni approccia quell’immagine in modo intelligente e senza complessi. Con uno sguardo curioso e libero, riduce gli aspetti irrazionali del prototipo (quell’energia centrifuga che fa del crocifisso quasi un’astronave), e riporta tutto a una dimensione colloquiale e domestica. Così il dialogo tra il santo (che qui è inginocchiato) e il crocifisso torna a diventare un dialogo verosimile. E non un’impossibile visione. Mi piace proporre questo quadro (100 x 80 le sue dimensioni), perché dimostra come affrontando un soggetto sacro in modo libero, con un’affezione di fondo e senza intellettualismi possano generarsi immagini belle e giuste come questa.
I sei jolly di Giorni Felici
Non dovrei parlarne perché sono in piccola parte parte in causa. Ma la passione e l’entusiasmo sono contagiosi e quindi rompo la convenzione. Ma Giorni Felici a Casa Testori quest’anno ha una carica di energia che va al di là del previsto. Mi sono chiesto il perché e me ne sono venute queste spiegazioni.
1. Il luogo. Ovvio, è bellissimo ma insieme assolutamente normale, con quell’affaccio su strada e ferrovia. È un luogo di sutura tra la vita di ogni giorno e la discese in profondità che gli artisti per destino affrontano con il loro lavoro.
2. Il fatto di essere casa. Addomestica i linguaggi. Quello che fuori di qui può apparire imprendibile o addirittura scostante, invece si presta (si china…) a essere decifrato e poi interpretato con la sensibilità di ciascuno.
3. Le stanze. Gli spazi bene definiti e separati, con i corridoi lasciati liberi, esaltano le individualità senza spegnere la corrente di scambio da una stanza all’altra.
4. Le donne. C’è una triade di presenze a Giorni Felici 2010, che secondo me marca in modo decisivo tutta la mostra. È quella formata da Julia Krahn, Pippa Bacca e Rossella Roli. Lo marca perché tutt’e tre mettono a nudo la vita con una sincerità e una poesia a cui è difficile resistere. Arrivano al cuore, ciascuna per strade sue. Per due di loro poi la presenza in una casa in cui s’era consumato il rapporto tra Testori e sua mamma, è stato proprio questo tema a esplodere. La doppia foto di Julia e le valigie, che contengono e raccontano pezzi di vita, di Rossella Roli, scavano sui rapporti con le rispettive madri. Un modo con cui un tema, che è di sempre, torna a galla usando la spericolatezza dei linguaggi contemporanei. (…e il Verdi che scopre il suo coté femminile, tutto in rosa, sulle scale, sembra mettersi in scia)
5. Il blocco dei grandi. C’è un’altra triade che sfonda. È quella formata da Enzo Cucchi, Armin Linke e Gianni Dessì. Nelle loro stanze Giorni Felici assume lo spessore e la tenuta quasi da sale da museo. Si è avverte, una strutturazione mentale, un peso specifico diverso, senza che ciò alteri l’equilibrio dell’insieme. C’è una tensione verso la grandezza, che a Testori, come tensione, certamente apparteneva. A loro va aggiunto il grande tocco di classe e simpatia di Alessandro Mendini. La sua stanza è un gioiello felice, con quella giostra di forme e di colori che danno allegria senza frastornare. Non ci si muoverebbe più da lì
6. Il pendolarismo alla rovescia. L’energia attrattiva della Casa chiama “fuori” il pubblico dalla città. È un fatto non scontato. Perché è molto raro che Milano senta bisogno di uscire dal suo territorio, specie se in gioco c’è una materia, l’arte contemporanea, che in città spunta fuori dappertutto. La Casa rappresenta una riscossa del territorio, retrocesso in genere a backstage della città. Il fatto che la chiesa di vetro fotografata da Linke sia lì ad appena un paio di chilometri, capolavoro con oltre 50 anni di vissuto sulle spalle, rende ancora più chiara questa voglia di scombinare gli stereotipi. Non si tratta più di consolare con belle cose un territorio, ma di riaffermarne con orgoglio, la vitalità e l’energia. Direbbe Aldo Bonomi, che questa è la rivincita della città infinita.
Date un occhio qui per farvi un’idea
L'arte contemporanea, questione di millimetri
È stato un successo che ci ha un po’ travolto quello di Giorni Felici: oltre 2mila persone a casa Testori, in una settimana. È bello veder la gente uscire contenta dopo aver visto opere che se viste in un museo avrebbero suscitato perplessità o rifiuto. Invece la casa crea un clima diverso, induce ad atteggiamenti più pazienti, spinge tutti a capire o ad essere curiosi. Così le persone compiono tutto il percorso, attente a non saltare nesuna sala e lasciano commenti soddisfatti sul libro dei visitatori. Nessuno contesta un attrito tra la struttura assolutamente normale del contenitore (una casa che più casa non si può) e il contenuto di molte stanze, ardito, spiazzante, a volte fisicamente conciliante con l’idea che quella possa essere usata come casa. Questo deve far pensare: la chiusura all’arte contemporanea non è detreminata dalle opere, ma dalla pretenziosità un po’ elitaria con cui le si presenta. Alla sfida delle normalità, l’arte contemporanea trova spazi inattesi di dialogo con un pubblico molto più ampio.
Dialogo significa punti di contatto reali. Un aneddoto: a un acquirente di due dittici iperminimalisti di Christiane Beer, l’artista tedesca che oggi lavora a Milano (ha sue opere nella nuova Bocconi) ho chiesto come mai avesse scelto proprio quelle opere così “mute”. Lui mi ha spiegato di fare un lavoro in cui una frazione di millimetro decide o meno la riuscita del lavoro stesso. «E la Beer è una che ha capito quanto sia assolutamente decisiva la frazione di millimetro». Meglio di qualsiasi analisi critica.
Felici questi Giorni Felici
È decollato Giorni Felici a Casa Testori a Novate. Un’esperienza insolita e entusiasmante di incontri e di contaminazioni. 22 artisti, a ciascuno una stanza. La casa, il brutalismo della ferrovia davanti alle finestre, a pochi metri, la sorpresa del giardino smagliante di verde alle spalle. È un luogo potente e insieme liberante. Speriamo di ripeterlo.
Ogni artista ha motivato la sua presenza e il so lavoro con brevi note, spesso suggestive. Mi hano colpito quelle di Andrea Bianconi, che occupa la veranda al piano terra, e quella di Paolo Rosa di Studio Azzurro che ha portato il video dei Due Lai testoriani in una stanza invasa dall’oro.
Chi non vuole perdere Giorni felici qui trova i dettagli.
Nella foto: la Farfalla smagliante di rosso di Riccardo Gavazzi.
La Stanza è un’esplorazione della mia personale geografia, è un cammino nella mia mente. È il semaforo che si trova nella mia mente, la legge a cui tutti dobbiamo sottostare, l’uccello che si trova sopra la mia testa. Utilizzo centinaia di uccelli freccia in volo, di tessuto, carta e rete metallica, tra libertà e vincolo, per portarmi e portarti da qualche parte sconosciuta. Continue sovrapposizioni, costruzioni e decostruzioni.
Immagino il mio cervello, claustrofobico e complesso, come una grande voliera. Ballerei per ore in questa stanza.
Andrea Bianconi
Le riprese di questo video nascono curiosamente per una esigenza di casting. Eravamo all’inizio della preparazione del nostro film “Il Mnemonista” e ci siamo sempre immaginati Sandro Lombardi come naturale interprete.
Sandro lo conoscevamo dai tempi dei Magazzini Criminali, c’eravamo sfiorati molte volte anche per dei lavori comuni, e non ci siamo mai staccati dall’idea che il personaggio principale di quel progetto che da tempo coltivavamo non potesse essere che lui.
La rappresentazione dei Due Lai al Piccolo Teatro di Milano era dunqu l’occasione, dopo il suo assenso al progetto, di avvicinarsi al suo mondo: sperimentare il suo viso, la sua voce, penetrare attraverso i suoi gesti nella visionaria interpretazione.
L’occhio della telecamera perlustrava le espressioni più impercettibili, indagava ogni potenzialità, ogni battito di poesia. Tutto pensando al nostro film, ritagliando la sua immagin unicamente dentro la nostra scena immaginata.
Di Testori, di questo Testori, non ci eravamo ancora accorti. Ma fu proprio Sandro a renderci inevitabile quest’incontro. La sua trasfigurazione non poteva prescindere da que testo, non poteva che indurci ad ascoltare le parole, a scivolare dentro quegli accostamenti esplosivi, ad apprezzar la straordinaria immaginazione che prendeva forma. Grazie Sandro per averci introdotto a lui e per la tua impagabile prova nel Mnemonista.
Piacere Testori di averti conosciuto così.
Studio Azzurro
Qui un filmato sulla mostra e l’articolo di Francesca Bonazzoli sul Corriere