Non dovrei parlarne perché sono in piccola parte parte in causa. Ma la passione e l’entusiasmo sono contagiosi e quindi rompo la convenzione. Ma Giorni Felici a Casa Testori quest’anno ha una carica di energia che va al di là del previsto. Mi sono chiesto il perché e me ne sono venute queste spiegazioni.
1. Il luogo. Ovvio, è bellissimo ma insieme assolutamente normale, con quell’affaccio su strada e ferrovia. È un luogo di sutura tra la vita di ogni giorno e la discese in profondità che gli artisti per destino affrontano con il loro lavoro.
2. Il fatto di essere casa. Addomestica i linguaggi. Quello che fuori di qui può apparire imprendibile o addirittura scostante, invece si presta (si china…) a essere decifrato e poi interpretato con la sensibilità di ciascuno.
3. Le stanze. Gli spazi bene definiti e separati, con i corridoi lasciati liberi, esaltano le individualità senza spegnere la corrente di scambio da una stanza all’altra.
4. Le donne. C’è una triade di presenze a Giorni Felici 2010, che secondo me marca in modo decisivo tutta la mostra. È quella formata da Julia Krahn, Pippa Bacca e Rossella Roli. Lo marca perché tutt’e tre mettono a nudo la vita con una sincerità e una poesia a cui è difficile resistere. Arrivano al cuore, ciascuna per strade sue. Per due di loro poi la presenza in una casa in cui s’era consumato il rapporto tra Testori e sua mamma, è stato proprio questo tema a esplodere. La doppia foto di Julia e le valigie, che contengono e raccontano pezzi di vita, di Rossella Roli, scavano sui rapporti con le rispettive madri. Un modo con cui un tema, che è di sempre, torna a galla usando la spericolatezza dei linguaggi contemporanei. (…e il Verdi che scopre il suo coté femminile, tutto in rosa, sulle scale, sembra mettersi in scia)
5. Il blocco dei grandi. C’è un’altra triade che sfonda. È quella formata da Enzo Cucchi, Armin Linke e Gianni Dessì. Nelle loro stanze Giorni Felici assume lo spessore e la tenuta quasi da sale da museo. Si è avverte, una strutturazione mentale, un peso specifico diverso, senza che ciò alteri l’equilibrio dell’insieme. C’è una tensione verso la grandezza, che a Testori, come tensione, certamente apparteneva. A loro va aggiunto il grande tocco di classe e simpatia di Alessandro Mendini. La sua stanza è un gioiello felice, con quella giostra di forme e di colori che danno allegria senza frastornare. Non ci si muoverebbe più da lì
6. Il pendolarismo alla rovescia. L’energia attrattiva della Casa chiama “fuori” il pubblico dalla città. È un fatto non scontato. Perché è molto raro che Milano senta bisogno di uscire dal suo territorio, specie se in gioco c’è una materia, l’arte contemporanea, che in città spunta fuori dappertutto. La Casa rappresenta una riscossa del territorio, retrocesso in genere a backstage della città. Il fatto che la chiesa di vetro fotografata da Linke sia lì ad appena un paio di chilometri, capolavoro con oltre 50 anni di vissuto sulle spalle, rende ancora più chiara questa voglia di scombinare gli stereotipi. Non si tratta più di consolare con belle cose un territorio, ma di riaffermarne con orgoglio, la vitalità e l’energia. Direbbe Aldo Bonomi, che questa è la rivincita della città infinita.
Date un occhio qui per farvi un’idea