Geniale e corsaro questo estratto di Pasolini su Milano, ripubblicato dal Corriere (è un testo del 1961, che uscì su Paese Sera).
«… una città con una sua grandezza rosminiana confinata nei topai illusti della città. Su questa Milano – che permane, permane – si è sovrapposta prima la Milano della borghesia capitalitica fascista, più provinciale ancora, biecamente sfruttatrice, celebre per il suo cattivo gusto: e poi la Milano della borghesia neocapitalistica, con visuali europee, comprensiva della fatica degli sfruttati, e celebre per il suo buon gusto».(notazione interessante: il buon gusto indiscutibile – basta guardare quel che design, architettura e moda hanno saputo produrre a Milano: forse non c’è città che abbia prodotto tanto buon gusto al mondo – non ha contaminato i modelli di vita. Non è diventato consapevolezza profonda in grado di portare il buon gusto anche nelle relazioni, nei rapporti sociali. Così si capisce con quanta facilità oggi si svenda il patrimonio ereditato da quelle straordinarie officine del buon gusto)
«Tutti i milanesi tendono ad esser biblici, catastrofici, a fare la tragedia dal nulla, a tormentare gli altri. Sono cristiani, cattolici, controriformisti i poveri milanesi. E quindi repressi, e quindi scontenti: e ogni scontento vuole scontenti anche gli altri, detesta l’altrui libertà. Si sono buttati a capofitto nei destini del neocapitalismo, mentre a Roma si vive ancora tra i palmizi, come a Bandung. Dato che sono anch’io, in fondo, come i milanesi, vivo meglio a Roma». (Qui c’è dell’autentico astio. PPP si diverte a rigirare, da vero corsaro, il coltello nella piaga. Ma a Milano i palmizi non crescono, e non soffia neanche il ponentino. E quindi non resta che buttarsi a capofitto. Certo se Milano fosse contenta di se stessa, cioè sapesse – o avesse saputo – andare orgogliosa del proprio pragmatismo cattolico, delle proprie officine del buon gusto sarebbe tutta un’altra Milano).