Robe da chiodi

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Dieci sguardi che mi fanno innamorare di Milano

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Hanno chiesto a Giuliano Pisapia i dieci luoghi di Milano che ama di più. L’outing devo dire è deludente: un po’ scontato e troppo politicamente corrette nelle sue scelte. L’amico no name mi sfida a scoprire le mie carte. Lo faccio volentieri, consapevole di avere un debole: più che i luoghi amo le architetture che li plasmano. Più che luoghi sono punti di vista sulla città, omaggio a quegli architetti che hanno saputo esprimere un’idea così alta, moderna e civile di città. (e manca all’appello uno di questi luoghi, di cui conservo ancora il sapore e l’odore – per via della gomma bullonata: la banchina del Metro 1 alla stazione Duomo, con le linee perfette di Albini e l’helvetica di Bob Noorda. Un vero capolavoro di eleganza in dimensione quotidiana. Tutto saccheggiato. Ci resta solo la foto di Ugo Mulas).
1. Lo stadio di San Siro visto da via San Giusto, con in primo piano la stecca a somma perfetta di quadrati di Figini Pollini e dietro l’immenso vascone di tanti trionfi.
2. Il grattacielo Pirelli visto di spigolo
3. Il Duomo visto da dietro, nel punto in cui via Larga sfiora piazza Fontana.
4. L’uscita da Milano su viale Scarampo con i grandi trapezi di vetro di Gino Valle sulla sinistra. Un frammento metropolitano meraviglioso se avete la fortuna di passare di lì nel pieno di un tramonto.
5. Vialba, dove la strada curva tra il campo Bariviera Tadini e le case di Franco Albini.
6. Corso Italia nel punto in cui irrompe la prua bianca del palazzo di Luigi Moretti.
7. Il chiostro grande della Statale, stando nell’angolo, dove si vede la torre Velasca spuntar sopra i tetti del
Filarete.
8. Il sagrato della Madonna dei Poveri a Baggio.
9. Il porticato di Aldo Rossi al complesso Monte Amiata al Gallaratese.
10. La sala firmata BBPR del Castello, nello snodo che nasconde la Pietà Rondanini alla tomba di Gaston de Foix.
11. Mi permetto di sforare: piazza degli Affari, esaltata nelle sue line dall’innesto della mano di Cattelan.

Written by gfrangi

Maggio 27th, 2011 at 8:57 am

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Una riscoperta in periferia: il gioiello umile di Figini Pollini

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Che ne dite della facciata di questa chiesa? Per me è stata una scoperta, perché su tanti libri di architettura del 900 avevo visto immagini della stessa chiesa, ma solo dell’interno, per via delle grandi soluzioni che Figini e Pollini avevano escogitato. La chiesa è quella della Madonna dei Poveri a Baggio. Anno 1956. Una chiesa che sorgeva in mezzo alle case minime abitate allora dagli immigrati arrivati dal Sud (la media era di 60mila arrivi all’anno!). Questa chiesa nella sua disarmante semplicità si adegua al contesto, è “dei Poveri” nel nome e nella concezione. Mi hanno colpito l’equilibrio di tutti i rapporti, gli inserti di laterizio come tocco di bellezza svuotata di ogni enfasi, la solennità che pur nella sua radicale sobrietà la chiesa riesce a darsi. È una chiesa che sussurra la sua presenza nel tessuto della periferia. Sono un ammiratore, anzi, di più, sono un fans, del razionalismo esatto ma pacato di Figini e Pollini. Un razionalismo che non ha mai nulla di astratto né di intellettualistico. Penso che la facciata degli stabilimenti Olivetti ad Ivrea sia una delle cose più belle e umanamente civili del 900 italiano. Qui si confermano, con meno mezzi a disposizione. Ma con un’intelligente comprensione della funzione dell’edificio: che è quello di riuscire a raccordare la dimensione della povertà a quella della bellezza.

Da qui due riflessioni. Primo, qui c’è un suggerimento interessante a chi deve mettersi a progettare chiese oggi. Lo definirei un approccio affettivo. Sentire il luogo, il contesto; aver presente il volto di chi la frequenta; e i santi che la popoleranno. Una sorta di umile processo preliminare di osmosi.

Secondo, qui c’è lo spirito migliore di Milano. Un razionalismo ragionevole. Una bellezza con i piedi per terra. Una modernità inclusiva del meglio del passato (dovreste vedere il grigliato di mattoni che sul retro chiude l’abside). Di questo c’è da essere grati a Montini, che si era preso i rischi della modernità, suggerendo discretamente una strada da percorrere.

Un grazie agli amici di 30Giorni che mi hanno dato l’occasione di approfondire questa storia…

Written by gfrangi

Aprile 21st, 2011 at 8:31 am