Robe da chiodi

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Le Croci dipinte, ovvero dipingere sulla croce

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La mostra sulle Croci dipinte di Perugia è una di quelle mostre che stimola molti pensieri, dettati dalla pregnanza del percorso che viene ricostruito e proposto. Il tema è semplice e chiaro: lo sviluppo nel mondo francescano, subito dopo la morte del santo, del motivo delle grandi Croci dipinte il cui prototipo è quella perduta di Giunta Pisano commissionata nel 1236 per la Basilica Superiore di Assisi. Quella Croce la possiamo vedere ripresa, per uno straordinario gioco di rimandi, nella scena dell’Accertamento delle Stimmate dipinta da Giotto negli affreschi della navata della stessa Basilica. Le Croci dipinte (che si rifanno alla croce di San Damiano, fondamentale nella biografia di Francesco) mi sembrano formidabili nella loro portata “concettuale”. Infatti è potente l’idea che il supporto della pittura corrisponda nella sua forma con l’oggetto della scena che vi viene rappresentata. È così potente da determinare anche una sorta di tipologia architettonica, che viene replicata tantissime volte nelle chiese francescane, riuscendo ad attutire anche i cedimenti che la pittura a volte mostra, quando al lavoro sono maestri minori.
Viste in sequenza è proprio la stabilità di quella struttura, sedimentata in una forma perfetta nelle sue linee di forza, che potrebbe essere anche vista come pianta-tipo per un edificio ecclesiastico.
Questa stabilità concettuale apre poi le porte ad un inedito realismo nella resa della Crocifissione. Con Francesco si affaccia la figura del “Christus patiens”, quindi carico di sofferenza anche fisica. Tutto corrisponde ad una fattualità, proprio come era accaduto con l’idea del presepe a Greccio. Ed è una fattualità che crea uno stile, perché la forza architettonica della struttura determina di riflesso una tipologia per la costruzione dell’immagine: il motivo dell’inarcamento del corpo di Cristo è l’architrave di questa tipologia. Un motivo in cui coincidono realismo, forza intellettuale e dolcezza. Come recita il titolo del bel saggio in catalogo di Emanuele Zappasodi, “La Croce dipinta in Umbria al tempo di Giunta e Giotto, tra eleganze dolorose e coinvolgimento emotivo”.

Nell’immagine, Croce del Maestro di San Francesco

Written by gfrangi

Gennaio 15th, 2017 at 10:30 pm

Toccata e fuga nell’Italia bollente/4. Assisi e le sue donne

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giotto donne

Non ci tornavo addirittura da prima del terremoto 1997. Basilica tenuta benissimo, tolte alcune orrende inserzioni contemporanee (il gigantesco crocefisso che copre la Crocifissione gemella a quella di Cimabue nella Basilica superiore). Il primo strappo emotivo lo spetimento davanti alla Deposizione di Lorenzetti, uno di quei vertici toccati i quali un artista si può considerare sazio per tutta la vita, come quei record del mondo ottenuti oltre i propri limiti per un incrocio di condizioni assolutamente uniche (e irripetibili). Lo snodarsi del corpo di Cristo, allungato su tutto lo spazio a disposizione è una di quelle invenzioni che non ti levi più dalla testa.
Nella Basilica Superiore le ferite del terremoto sono dure a vedersi, ma con il libro di Serena Romano tra le mani, è straordinario constatare dal vivo capire come i due riquadri con le storie di Isacco diano un’accelerata che è rottura drastica con lo schema che funzionava sino al riquadro a fianco. È un linguaggio quasi shakespiriano che improvvisamente irrompe, con una ricchezza di sottolineature drammatiche precise e già straordinariamente moderne (basti il particolare di Rachele che si volta e viene presa di spalle, per non assistere allo spodestamento di Esaù di cui è stata per altro la regista; Giacobbe, un po’ pavido, invece se la fila e spunta aldiqua della scatola spaziale prevista). Se è Giotto, certo è un esordio con grancassa.
Sotto, Giotto (e che se non uno di quella statura?) gioca a bucare lo spazio, a costruire scatole una via l’altra, a creare prospettive che scappano, che si rovesciano, che sfondano anche in verticale. Un fuoco di invenzioni controllate con la massima saldezza di polso. Mai un’incertezza, mai una soluzione lasciata nell’ambiguità: il lato destro della navata è uno dei più grandi e affascinanti film che la storia dell’arte ci abbia lasciato.
Assisi, fuori è città in ordine, con le insegne dei negozi giustamente tenute incassate e i profili delle vie tenuti quindi puliti (basta un criterio elementare come questo per garantire la tenuta di un contesto).
Insieme a Francesco è sepolta anche Jacopa dei Settesoli, l’amica perugina a cui aveva chiesto di arrivare e portare i suoi biscotti quando era in punto di morte. Ci sarebbe stata bene anche Chiara, che come ben si sa Francesco non aveva problemi a mixare i generi. Invece Chiara è sotto la sua basilica, in una cripta sciaguratamente ristrutturata, con gusto e soluzioni da far accapponar la pelle: persino quella straordinaria texture che spunta ovunque ad Assisi (una vera metafora della città) a partire dalla Basilica Inferiore, con il quadrato rosso fasciato da cornice bianca che raddoppia il quadrato stesso, viene adulterata con rotazioni e sfumature di sapore new age. Peccato, la grande, libera, appassionata Chiara (per capirla basta vederla nella scena del funerale di Francesco: donna che corre ad abbracciare il corpo dell’amico santo), Chiara non meritava questo.
(E vi risparmio quel che hanno fatto nel chiostro di Santa Maria Degli Angeli, con le lunettone affidate a un pittore che ha trasposto le immagini del kolossal, dove Chiara diventa una sciatta eroina di una mediocre saga mediovaleggiante)

Written by gfrangi

Agosto 17th, 2013 at 10:42 am

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