Robe da chiodi

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Piero, Burri e le gite scolastiche

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Reduce da una due giorni tra Arezzo e Città di Castello, tiro queste conclusioni: c’è una continuità ben visibile tra Piero e Burri. La tenda della Madonna del Parto torna tale e quale come movimento nelle lamiere che Burri ha messo in testata al capannone 3 dei Seccatoi del Tabacco. E il senso della terra sereno e inglobante anche il più alto dei cieli è di Piero come di Burri. Questo per dire che sulla rotta Arezzo – Città di Castello si capisce cosa sia l’Italia: la vastità profonda e tersa dei cieli di Piero, il senso di pacificazione profonda tra l’uomo, il luogo e l’eterno che trapassa da Piero a Burri. È una dimensione poetico-umana-intellettuale che non ha paragoni. Longhi ci aveva visto giusto, assegnando a Piero lo snodo decisivo di tutta la cultura figurativa italiana.

Da qui una conclusione molto pragmatica. Mio figlio andrà in viaggio scolastico a Budapest. Frotte di altri studenti stanno partendo per Barcellona, Parigi o Praga. Fosse per me metterei come obbligo che le gite scolastiche liceali abbiano solo mete italiane, e in partiicolare che una volta nei cinque anni facciano rotta su Arezzo e Città di Castello. Una volta che quelle immagini sono entrate nella testa e nella memoria dei ragazzi qualcosa di buono certamente sviluppano (è da secoli che funziona così…)

Infine: non andate ad Arezzo per la mostra di Della Robbia: c’è pochissimo di Luca e tanto, troppo della bottega di mestieranti che ne discendono. Occasione buttata.

Written by giuseppefrangi

Marzo 9th, 2009 at 12:21 pm

Luca Della Robbia, vero iperrealista

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della-robbiaAlla mostra su Della Robbia in corso ad Arezzo è presente anche questa sculturina (28 x 20 cm) che proviene dal museo Filangieri di Napoli. Probabilmente si tratta di un frammento della tomba di Pietro d’Aragona, realizzata tra 1444 e 1445, per la chiesa napoletana di San Pietro Martire. Tomba, vista, descritta e ammirata dal Vasari. La testa di giovinetto era forse un medaglione decorativo ad altorilievo realizzato nel momento più alto di Luca Della Robbia, vicino come date al capolavoro di della Visistazione di Pistoia. Che cosa dire davanti a questa testa? Che sembra una cosa senza tempo. O meglio di ogni tempo. Potrebbe essere un figlio dei volti di El Fayumm, o un cugino dei sepolti vivi dalla lava di Pompei; o un fratello di quel volto che, che come racconta Plinio, Butades plasmò nell’argilla per venire incontro al desiderio della figlia innamorata («quibus pater eius inpressa argilla typum fecit et cum ceteris fictilibus induratum igni proposuit»). O, invece potrebbe essere qualcuno di assolutamente contemporaneo, con quel volto da giovane modello e quella capigliatura sportiva e soprattutto con quello sguardo venato da un inguaribile senso di spaesamento. È un capolavoro come raggelato nel biancore della ceramica invetriata di Luca. Ma insieme è un condensato impressionante di sentimenti (tristezza, angoscia sottile, timore – tremore della propria stessa bellezza, senso di un vuoto davanti). Mi viene una domanda: perché l’iperrealismo del 900 non è mai riuscito a sfiorare questi livelli? Che cosa gli è mancato? Forse proprio questa capacità di lasciarsi affascinare dall’umano. Di guardare all’umano in rapporto con l’eterno. Come diceva Vasari, Luca «faceva l’opere di terre quasi eterne».

Ultimo pensiero. Luca Della Robbia con la platealità dei suoi bianchi e azzurri sempre perfettamente ritagliati e con la replicabilità quasi seriale dei suoi modelli potrebbe essere il primo artista pop della storia. È vero che non si inventa mai niente e che quel che conta è andare più in fondo e con passo nuovo sulla strada che qualcun altro ha già senz’altro intrapreso.

Written by giuseppefrangi

Marzo 1st, 2009 at 12:44 pm