C’era un senso di sana e giusta soddisfazione oggi a Varallo: alle 18 ha chiuso la mostra di Gaudenzio Ferrari, con un bilancio lusinghiero di 18mila visitatori che hanno staccato il biglietto per il Museo e per la visita alla parete di Santa Maria delle Grazie, salendo sull’impalcatura). Ma a parte i numeri la sensazione è quella di una mostra che è stata sentita e partecipata come poche volte accade. E forse questo è un fatto che ci dice qualcosa di Gaudenzio, anche a livello di lettura della sua opera e di lui come personaggio che ha segnato la storia di questo luogo. L’arte di Gaudenzio è un’arte impregnata da una coscienza comunitaria. Una coscienza così istintiva e così profonda, da riemergere con chiarezza agli occhi di un mondo e di una comunità che sono radicalmente diversi; che è anche culturalmente impermeabile a quelli che invece erano i punti fermi di Gaudenzio e del suo mondo. Come il successo della mostra del 1951 era servito a capire con più compiutezza di cosa consistesse la grandezza di Caravaggio (uno che portava la pittura all’oggi, come aveva scritto Longhi sottolineando ripetutamente con un corsivo quella categoria dell’“oggi”), così questa di Varallo, nel suo piccolo, ci ha dato una dimensione più compiuta della grandezza di Gaudenzio. È una grandezza che si sostiene su una inesausta propensione a generare flussi di affetto. Grandezza come energia affettiva: questo è stato Gaudenzio. Ma questo “è” Gaudenzio. Un artista che continua ad essere un collante, un suggeritore di percorsi positivi che coinvolgono tanti, in ruoli diversi (politica compresa, come dimostrano l’impegno senza riserve del sindaco di Varallo e dell’assessore regionale alla Cultura Antonella Parigi). Gaudenzio è un artista che ispira anche concordia.
Oggi alla presentazione di un altro libro di esplorazione del territorio che la mostra lasci in eredità, si respirava un clima così (“Varallo ai tempi di Gaudenzio”, a cura di Giovanni Agosti, Donata Minonzio e Jacopo Stoppa: una mappatura ad uso del turista appassionato di tutto il gaudenzianesimo a Varallo e dintorni). Antonella Parigi ha raccontato che in fase di preparazione del progetto si era rivolta anche al Sole24 ore mostre per un’eventuale partecipazione alla produzione, ma si era tirata indietro dopo aver percepito uno scetticismo di base (con previsioni negative di numeri che sono state invece ampiamente smentite nella realtà). Ha poi detto che la cultura non si può comunque misurare solo con i numeri e che una mostra non incide solo per i flussi turistici che genera. Gaudenzio i numeri li ha fatti, ma il segno che ha lasciato va molto al di là dei numeri…
Archive for the ‘varallo’ tag
Gaudenzio, final cut
Conquistati da Gaudenzio
È stata un’esperienza la due giorni gaudenziana organizzata da Casa Testori. Un’esperienza che travalica il solo conoscere e approfondire l’identità di un artista così connotato, seppur dolcemente connotato. Gaudenzio è indubbiamente un artista che chiede e suscita un’attenzione osmotica; verrebbe da dire che per capirlo non occorre vederlo, quanto abitarlo, abitare con lui. Per questo ci voleva davvero una due giorni. Altro elemento che ha dato spessore a questa esperienza è stata la convivenza, sempre sul corpo di Gaudenzio, di approcci intellettuali solo in apparenza incompatibili. La dimensione sentimentale che è certamente una chiave decisiva per entrare nella sua opera è stata alimentata e per nulla raffreddata dalla lucidità di sguardo e dall’acribia dei curatori. Per cui nulla è rimasto nel vago e insieme si è resa possibile un’immersione vera nel mondo gaudenziano. C’è un altro aspetto che ha reso speciale questa due giorni: è la costruzione in tre stazioni della mostra. Gaudenzio chiama ad un percorso, che segue la sua parabola biografica, ma che nello stesso tempo scandisce anche tre momenti poetici diversi. Tre modi diversi di declinare quella vocazione ad una dilatazione dello spazio umano della pittura (e della scultura). I sottotitoli delle singole rendono bene il senso delle tre “stazioni” del percorso: “La meglio gioventù”, “Quella che chiamano la maturità”, “Rimettersi in gioco”. Gaudenzio è un artista di pienezze, che si palesano in modi diversi a seconda dei momenti e dei contesti. Anche l’ultima “stazione” del percorso, cioè la mostra novarese dedicata al periodo milanese, quello che per tanti versi può essere letto come un declino, la pressione umana che contrassegna alcuni dipinti (il San Paolo di Lione, ad esempio) riempie lo spazio espositivo. Gaudenzio, pur nella difficoltà della situazione, resta fedele alla sua natura.
Questa adesione al fattore umano, sempre così convinta, sempre così piena di sentimento, è la cifra con cui Gaudenzio con conquista. Non è retorica che il pellegrinaggio sulle sue orme ci rende migliori…
Per concludere il percorso, oggi sono andato a Saronno, a messa sotto la cupola degli angeli. Non è esagerato dire che quando si alza la testa sembra di vedere un saggio di paradiso. E anche in questo caso è la densità umana di Gaudenzio che ci conquista, quel suo stipare lo spazio di figure, come a voler dire che c’è spazio, c’è posto per tutti… un cielo inclusivo, come era inclusiva la terra, vista dagli occhi di Gaudenzio.
Il valore dell’aggettivo per la storia dell’arte
Presentazione de Il gran teatro montano a Novate, alla biblioteca comunale, con Alberto Rollo, Davide Dall’Ombra e naturalmente Giovanni Agosti. Il tema del fare storia dell’arte oggi è stato al centro della bellissima riflessione di Agosti. Mi sono segnato questo passaggio, riscritto da miei appunti.
La ricomposizione del Polittico di Sant’Anna, dipinto da Gaudenzio tra 1508 e 1509, che Testori propone, aggiungendo agli elementi custodito alla Galleria Sabauda due pezzi che sono alla National gallery di Londra, a Testori stesso viene così, d’intuito, senza bisogno di approfondimenti né di riscontri. E nessuno poi l’ha più messa in discussione. Questo mi porta a un breve inciso: se io ho un idolo polemico è quella frase di Federico Zeri, quando sosteneva di non avere tempo di vegliare la notte per scegliere un aggettivo. È come se il problema di Longhi fosse esclusivamente un problema dannunziano; era “anche” un problema dannunziano, come lo è anche in Pier Paolo Pasolini. Invece sono convinto che certi aggettivi sono portatori di storia tanto quanto un’attribuzione. Forse anche di più.
La scrittura nei testi critici è un aspetto che mi ha sempre colpito in Testori, sin da quando ero studente; ricordo che le persone con cui studiavo non apprezzavano e non ritenevano importanti i suoi scritti d’arte. Era una cosa che mi dava disagio come credo sentisse disagio Testori rispetto allo sviluppo metodologico che nel campo degli studi di storia dell’arte aveva preso il sopravvento negli ani 70: di quella che continuo a pensare sia la migliore storia dell’arte di quegli anni, cioè quella di Paola Barocchi con il suo metodo di rileggere i testi, quella di Gianni Romano con le ricerche sui territori, o le inattuali e sontuose letture storico crtiche di Alessandro Ballarin: ebbene Testori non ha posto lì dentro, mentre sino agli anni 60 si era trovato dentro una storia dell’arte di cui lui si sente coprotagonista.
A proposito dell’apparato fotografico del Gran teatro montano. Testori aveva scelto le immagini con un intento preciso di creare una costruzione parallela rispetto al libro, che ricordiamolo, è un libro che nasce da un fallimento ammesso: averbbe voluto monografia su Gaudenzio Ferrari, non sente di non farcela e quindi pubblica una raccolta di saggi (ma può essere che tutto fosse solo un espediente letterario…) La suite di immagini di Testori è quindi una serie di foto in bianco e nero che non rappresentano una sequenza di una monografia tradizionale, ma è fatta secondo la sequenza dell’ordine delle Cappelle del Sacro Monte. Quindi non sono disposte secondo la cronologia di Gaudenzio ma secondo la cronologia del racconto evangelico. Testori aveva voluto un apparato coerentemente “sacromontano” ed è un aspetto che mi ha sempre molto colpito.
In questa nuova edizione è stato aggiunto u inserto fotografico a colori per restituire un’immagine più attuale del Sacro Monte. Ho un debole per le testatine in cima alle pagine che possono dare un surplus di senso. Da questo punto di vista sono memorabili quelle dell’Officina Ferrarese di Longhi del 1934: un modello che ha sempre informato il mio modo di lavorare. Così ho pensato che quell’esperienza potesse essere replicata anche negli inserti fotografici del nuovo teatro montano. Sono testatine apocrife con un titolo, Appunti per un poema fotografico, che è lo stesso che Pasolini aveva dato all’atlante fotografico che accompagna la Divina mimesis, la riscrittura della Divina Commedia che non portò mai a termine e che uscì poco dopo la sua morte.
(Aggiunta mia: stupende le testatine per la cappella della Crocifissione, “Il cinema italiano del 500”, e quella del buon ladrone di Gaudenzio, “Stracci,ovvero questa sera sarai con me in Paradiso”)
Epifania, il Re di Gaudenzio è come un fratello
Se c’è una cappella del Sacro Monte di Varallo che mi ha sempre colpito e commosso è quella dei Magi, all’interno del complesso della Natività. Ragionando, ho trovato alcune spiegazioni per questa “preferenza”. Innanzitutto è geniale la strategia che Gaudenzio Ferrari segue per farci partecipare all’evento: la disposizione della cappella è laterale e non frontale rispetto al visitatore. Così, entrando nel complesso, ci sorprendiamo a camminare avendo al fianco il corteo dei Magi, che sono alla nostra sinistra, divisi da noi solo dalla lunga grata-balaustra (che forse una volta neppure c’era). Siamo noi parte di quell’avvicinamento guidato dalla stella. Quel senso si essere parte viene favorito dalla festosità dell’insieme di sculture ed affreschi, che sembrano sollevare un’onda che ci avvolge. Del resto quella di Gaudenzio un’arte amorosamente espansiva, un’arte che si allarga e non sta mai in se stessa. È arte che nasce per essere condivisa. Se ne avessimo dubbi, basta aspettare, qualche passo più in là, il vero colpo di scena di Gaudenzio. Infatti, entrati nel cuore del complesso della Natività scopriremo di avere a sinistra il primo dei Magi, che arrivato alla meta si sta togliendo il turbante, e punta lo sguardo verso la grotta con Giuseppe, Maria e il Bambino, che sta alla nostra destra. Noi, insomma, siamo in mezzo al raggio di quello sguardo. Più partecipi di così…
Infine c’è l’immagine davvero memorabile di quel Re che si toglie il turbante, un insieme di dolcezza, di semplicità, di umiltà che non ne inficia la regalità. Per Gaudenzio non esiste un’umanità alta e una popolare, così anche il Re arrivato al cospetto del Bambino ha lo stesso sguardo stupito, semplice e grato del pastore (sembra addirittura di scorgere un occhio umido…). Mi viene così in mente una stupenda osservazione fatta da don Giacomo Tantardini nel corso di una Meditazione natalizia del 2006: i Magi si muovono per un semplice indizio (la stella), lo seguono, ma ad un certo punto ne perdono la traccia. E allora ricorrono allo stratagemma più umano che ci sia: domandano. Domandano dove fosse quel Bambino, domandano persino ad Erode… Naturale che una volta trovata una risposta alla domanda posta, si sia pieni di gratitudine. Forse questa è la ragione per cui quell’immagine del Re che si toglie il turbante è un’immagine che rimane così profondamente impressa nel cuore.
La politica fa man bassa al Sacro Monte di Varallo
Dal primo gennaio Elena De Filippis non è più direttrice del Sacro Monte di Varallo. Un golpe della politica (in questo caso di marca leghista) ha tolto di mezzo una figura che per la sua competenza e per la sua passione rappresentava una garanzia per un monumento affascinante e delicato come il Sacro Monte: basta vedere il recupero delle Cappelle della Natività portato a termine lo scorso anno (nell’Immagine la “nuova” cappella dei Magi). Nulla hanno contato tanti appelli, con decine e decine di firme di studiosi di tutte le appartenenze culturali e ideologiche. Nulla ha contato la lettera di tre storici e autorevoli sovrintendenti. A nulla è valsa la posizione della chiesa che sul Sacro Monte dovrebbe pure una voce in capitolo (anche se la proprietà delle cappelle è del comune di Varallo, oggi a guida leghista): i padri del santuario e i responsabili della diocesi di Novara hanno preso la parte della De Filippis, ma invano. Tra tante casi di cattiva gestione della cultura in Italia, quella del Sacro Monte poteva essere additato come caso scuola positivo, perché ha sempre saputo tenere insieme conservazione, studio, rispetto della natura religiosa del luogo e anche ricerca di nuovo pubblico. Dall’altra parte invece c’è un progetto bislacco che riduce il Sacro Monte a circo, a set da tevendite pur di poter portare su qualche pulman di turisti in più. Una visione che fa ripiombare il Sacro Monte in un orizzonte tutto provinciale, contro il lavoro fatto negli ultimi 50 anni per ridargli il posto che merita nel novero dei grandi monumenti della storia dell’arte italiana.
Personalmente, conoscendo la De Filippis, sono sempre rimasto colpito dal suo equilibrio nel tener presenti i fattori artistici, quelli conservativi e quelli devozionali. Per fare un esempio: quando a restauro concluso della cappella della Crocifissione, vero capolavoro dell’arte italiana del 500, venne deciso di chiudere l’accesso al pubblico, la De Filippis studiò un dispositivo che permetteva attarverso alcune bussole di vetro ai visitatori di entrare comunque di qualche metro nella cappella, per non perdere quel senso di partecipazione che è così importante nell’arte di Gaudenzio.Non solo, all’interno delle bussole aveva fatto disporre degli inginocchiatoi proprio per rispettare la natura religiosa del luogo e per venire incontro a chi concepisse la visita come un momento di preghiera: lì ci salgono in ugual misura appassionati e pellegrini. Una scelta che mi sembrò indicativa di una sensibilità non comune.
Ora si azzera tutto. Tra vincitori e vinti, chi esce sicuramente sconfitto è il Sacro Monte. La politica di accorpamento di tutti i Sacri Monti (l’ente regionale è stato affidato a Giacomo Gagliardini, varallino, voluto dal sindaco) è certamente una sconfitta per Varallo, Sacro Monte portato alla para degli altri. Già non capirne l’unicità è sintomo di quanto sia sbagliata questa operazione.
Ps: Intanto per far capire che non è una polemica di parte: qui c’è un elenco degli interventi attuati al sacro Monte negli anni di gestione De Filippis. Giudicate voi