Sabato 12 interessantissima visita con Andrea Dall’Asta agli interventi di arte contemporanea in San Fedele. Interessante innanzitutto che un intervento così si generi in una chiesa gesuita, quindi in un insieme architettonico che fonda la sua tipologia su una griglia concettuale molto precisa e ragionata. L’idea dell’aula unica che rivoluziona il rapporto con il sacro, togliendolo dalla misteriosità gotica e dall’intellettualismo rinascimentale, obbliga a una coerenza logica dell’insieme. Così anche gli interventi di arte contemporanea si sono trovati a muoversi dentro una griglia che li costringeva a misurarsi con il contesto e indicava una strada da percorrere o una situazione da interpretare.
A San Fedele tutto era iniziato nel 1957 quando Lucio Fontana era stato chiamato a realizzare la grande pala in ceramica con Santa Maria Alacoque; dall’altare era stato tolto il quadro di Figino, ora in sacristia. Segno di coraggio precoce… Sopra la pala doveva esserci un fregio vegetale in ceramica. Ma Fontana sbagliò le misure e il fregio venne tenuto in cantina. Il lavoro di recupero ha permesso di ritrovarlo e oggi è stato esposto in cripta. A San Fedele i Fontana sono ben 21. Meglio di un museo di arte contemporanea.
Gli interventi si innestano nell’architettura della chiesa senza mai prevaricare, anzi dando la sensazione di inserirsi in spazi che li attendevano, come accade alle tre tele di David Simpson, sottile finestrone dell’abside, monocromi che scandiscono la Trinità, veri pozzi di luce colorata,mi finir nella loro imprendibilità (nella foto sopra).
Potente l’installazione di Jannis Kounellis, nella cappella delle tombe asburgiche, nella cripta. Un grande sacco appeso e sospeso ad una croce con una corda di canapa stile corde da nave. All’interno del sacco una croce in legno di 120 chili: se ne avverte tutto il peso drammatico. Una percepibile, inquieta gravità trattenuta dalla iuta.
In direzione opposta, di una leggerezza tenera e quasi ingenua, sono le scarpette d’argento che Mimmo Paladino fa arrampicare su per la parete nella Cappella delle Ballerine (dove le ballerine della Scala venivano a portare una rosa alla Madonna il giorno del debutto).
Ci sarebbe molto altro di cui parlare. Ma mi limito ad una piccola riflessione: quello di San Fedele è un caso quasi unico di relazione stretta a livello di concezione dell’opera tra artista e committente. Ed è una relazione da cui è ovvi la chiesa abbia tanto da guadagnare, per uscire dall’indistinto e dalla confusione in cui si è arenata a livello di interventi artistici. Ma anche per un artista è una sfida straordinaria quella che lo porta a dar vita ed immagine a un qualcosa che nasce da un rapporto; a un qualcosa che deve fare i conti con gli spazi ristretti del pensiero della committenza. Che ritaglia lo spazio della sua libertà.
È evidente che Milano il suo museo di arte contemporanea ce lo ha. Vivo, dettato da una necessità, di grande qualità. E senza nessun aggravio per le spese pubbliche.
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Il caso San Fedele. L’arte contemporanea a tu per tu
Tre pensieri a proposito di Maria
Ci sono giorni in cui sembra davvero di non riuscire a star dietro alle cose belle e interessanti che ti capitano davanti. Ti verrebbe voglia di approfondire, di ragionarci di più…
Riassumo tre spunti, che hanno un filo conduttore: Maria (visto che siamo nel suo mese).
Questa “tavoletta graffita Madonna” di Lucio Fontana, del 1934 va all’asta settimana prossima a Milano da Sotheby’s. È una cosa piccola, senza pretese, molto delicata e semplice. Si scorge una devozione istintiva in questo sovrapporsi di azzurre aree velate. C’è anche una memoria formale della Madonna della Misericordia, nell’allargarsi della massa verso la base: come il senso grafico di un abbraccio. Difficile per un pittore moderno riprendere il tema iconografico più diffuso della storia. Sono davvero rari i casi degni di nota (Matisse, of course, Nolde, le simil Madonne di Andy Warhol…; mi piace ricordare la Madonna a 36gradi “corporei” di Alberto Garutti; poi Pignatelli, Piccoli. E anche una cosa magica di Sigmar Polke).
Ps: Mi sono dato una ragione di questa difficoltà. Maria obbliga alla semplicità, al non intellettualismo. Esige di essere almeno un po’ gente di popolo. Fontana questo lo ha nelle sue corde…
A proposito di Madonna, alla Beyeler apre la mostra di Richter curata da Obrist. Ci sarà la replica dall’Annunciazione di Tiziano. Non avevo colto che le varianti su quel soggetto fossero ben cinque, e tutte indirizzata verso una precisa direzione, quella di enfatizzare il buco di luce centrale, assimilando il bagliore atmosferico con quello misterioso che scende dal cielo. Così la versione 4 (nella foto), presente a Basilea, perde le figure che restano solo come impronte cromatiche e lascia che sia proprio la luce a plasmare la pittura. Forse è la versione più bella, perché porta il Tiziano del 1540 là dove sarebbe arrivato (l’inarrivabile) Tiziano del 1565 di San Salvador.
Sempre a proposito di Maria. Leggendo il piccolo libro (stupendo, assolutamente da non farsi scappare; Emi, 11,90 euro) che raccoglie alcuni testi del Papa sui Gesuiti e su Sant’Ignazio, sono incappato in questa riflessione iconografica di Bergoglio. È Ignazio, dice, a introdurre il concetto “figurativo” di pietà, per cui le Madonne della Misericordia nel XVI vengono sostituite dalle Pietà. Le sue parole (di Bergoglio): «Nel convulso secolo XVI, la Pietà è la madre con il figlio straziato e morto in braccio, fiduciosa che in quello strazio c’è la resurrezione. Questa speranza, culmine della teologia ignaziana del peccato (e anche del peccato dei gesuiti) manca alla concezione luterana dell’angoscia, non potrà mai fare altro che mancarle, non è una promessa nel suo orizzonte. La Pietà è un’espressione della rivoluzione dell’affetto con cui Dio ha voluto salvare l’uomo».
Buona domenica.