Robe da chiodi

Archive for the ‘Atelier dell’errore’ tag

Lombardi, Luzi e la “dicibilità” delle cose

leave a comment

Ho letto il libro che Sandro Lombardi ha dedicato al suo rapporto con Mario Luzi. Un libro struggente e appassionato. Che documenta una relazione in ogni senso “nobile”. Un’amicizia vera, sincera, reciprocamente rispettosa. Credo che a pochi sia accaduto, in un momento di difficoltà psicologica, ricevere un messaggio come quello che Luzi scrisse a Lombardi, ricoverato al Fatebenefratelli a Roma. «Sandro risorgi presto, perché manca una parte essenziale del discorso quando non ci sei. Buon Natale, Mario». Commenta Lombardi: «Notai commosso, che dicevi “risorgi” non “guarisci”: avevi compreso la mia morte nell’anima».
C’è una densità umana in questa relazione, che traspare sin dalle prime pagine, quando Lombardi conosceva Luzi solo sulla pagina. «Imparavo, grazie a te, la realtà delle cose che amavo, e la loro dicibilità»: vero laboratorio prezioso di formazione.
Un orizzonte che si delinea ancora più chiaro e commosso quando si stabilisce un confronto con l’amatissimo Pasolini (un autore che «mi aveva rivelato a me stesso», scrive Lombardi). A PPP, scrive Lombardi, per un limite psichico e non letterario, non riuscì di «compiere – se non in alcuni film – ciò in cui tu sei riuscito: uscire da sé per “dire di te, la maestà del mondo”. Agli occhi di Pasolini, insomma, la vita è una chimera: amata, cercata, pretesa – ma alla fine inarrivabile. Per te è il contrario: punto di partenza e di arrivo».
Ovviamente non possono non piacermi le pagine così “longhiane” dedicato cantiere del Viaggio di Simone Martini, portato in scena da Lombardi con la regia di Tiezzi. L’immaginare quella decisiva esitazione di Simone nel metter piede a Firenze, dove avrebbe dovuto affrontare lo sguardo di Giotto, è intuizione bellissima. Scrive Luzi: «.. Evita il paragone, /non desidera il confronto. /Lo soppiantano – si dice -/ Avverte il mutamento. Subentrano / più rudi / più solidi e corposi / e prossimi ai mercanti,/ i nuovi artisti. / Irridono la sua sublimità…». Conclude Luzi, «meglio prendere la via di Siena, immantinente». Una geniale, sintetica pagina di storia dell’arte.

***************************
Domenica la cover della Lettura aveva un disegno di Tracey Emin, artista che ha in corso una personale a Roma nella galleria. Tra gli artisti della sua generazione Tracey certo è la più furba, spregiudicata, sfacciatamente disinvolta nel percorrere tutte le strade che il mercato le prospetta. Come dice il mio amico Daniele Capra, è una che “zoccoleggia”. Quello che mi colpisce in lei è quel qualcosa di irriducibilmente acido cheuo tratto. Quella sfrontatezza sbandierata. Quella vocazione a rendersi indisponente. È una che, per usare un termine oggi molto di moda, gioca a disintermediare tutti i rapporti. Ci riesce o non ci riesce? A me pare che spesso nella sua opera, a Tracey Emin riesca, con la impudenza che le conosciamo, a rapprendere molta vita.

***************************
Ho visto Violette, il film di Martin Prevost dedicato a Violette Leduc, la straordinaria scrittrice francese, autrice de La Bastarda. Ho visto riapparire figure nel film che Testori mi aveva reso familiare, come Jacques Guerin, collezionista, che Violette aveva invano amato. Poi c’è il ricordo di quel bellissimo ritratto, così libero, di Violette nuda, fatto da Paolo Vallorz, pittore grande amico di Testori. Ho cercato invano un’immagine su internet. Un’ingiusta dimenticanza.

***************************
A proposito della mostra dell’Atelier dell’Errore, in via Monte di Pietà a Milano: anche i titoli sono dei piccoli capolavori. Ve ne propongo alcuni come incentivo ad andare a vederla. Carniforo Tortura Ossa (di Arianna); Catoblepa che si nutre delle parti molli dei bambini (Francesco); Lo Squalatore Sessuale che si bacia le ferite (Giovanni); Pangolino che sta vomitando per farsi notare da una femmina (autori vari); Tritatore di uomini TerraMare a caccia nelle Banche di Milano Centrale (Marco); Vendicatore di Notte che divorisce dei compagni di classe io mi avvicino e loro si allontanano e dicono che puzzo (autori vari); Bronchiolosaurus Rorcofugo (Autori Vari); Frullatore di uomini nero paura che va a scassinare la nuova Jeep Renegade (Luigi il Papa); Trapus Murtorus, dicono che sia un Custode mandato da Dio per divorare le povere anime inutili (Dieolhak); Animale Vendicatrice che attira il maschio con la parte esterna dell’utero (autori vari); Isopode fango e sangue mi dicono mongoloide e io reagisco e mi difendo (Samuel).

Written by gfrangi

Giugno 28th, 2015 at 8:51 pm

L’opera d’arte come liberazione. Quattro situazioni da vedere (o leggere)

leave a comment

A maggio con Vita abbiamo fatto (grazie al lavoro di Anna Spena, in particolare, e di Marta Cereda e Daniele Capra) una copertina che lanciava la domanda “L’arte può salvare il mondo?”. In scia allo spunto di quel numero, ho intercettato molte suggestioni che meritano, secondo me, di finire in un ideale taccuino, in vista di una continuazione di quel lavoro avviato. Ecco alcune di quelle suggestioni, molto libere e assolutamente trasversali.
*************************************************************************************************

animale

Uomini come cibo.
È geniale il tema che Luca Santiago Mora ha dato ai ragazzi del suo Atelier dell’Errore per il lavoro di quest’anno, ribaltando il tema dell’Expo, così come loro con le loro opere ribaltano qualsiasi gerarchia nella scala della produzione artistica. Come sempre negli Atelier che sono diventati tre (quello storico di Reggio, quello di Bergamo, e quello iniziato da quest’anno per gli allievi che hanno superato i 18 anni e che è stato ospitato alla Fondazione Maramotti di Reggio Emilia), soggetto unico sono gli animali. Animali fantastici, a cui i ragazzi assegnano nomi che meriterebbero un’antologia. Ma quest’anno il tema del mangiare gli uomini ha fatto scattare nella fantasia dei ragazzi una potenza inedita. A tratti davvero travolgente. La mostra apre il 18 giugno, sostenuta da Maramotti che ha sposato pienamente il progetto, in un palazzo centralissimo di Milano, in via Monte di Pietà, 23. Si tiene su cinque piani. Ho avuto la fortuna di vederla in anteprima. È assolutamente imperdibile. È la vita che torna ad occupare fisicamente la città. (nell’immagine: VendicatoreDiNotteCheDivorisceDeiCompagniDiClasseIoMiAvvicinoELoroSiAllontananoEDiconoChePuzzo)

***************************************************************************************************

Donatello
I tre Crocifissi di Donatello a Padova.
A proposito della relazione tra l’arte e la vita, nessuno probabilmente nel passato aveva capito il nesso meglio di Donatello. A Padova ho potuto vedere la mostra dei tre Crocifissi: quello celebre del Santo, affiancato da quello giovanile di Santa Croce e da quello ritrovato pochi anni fa, a Santa Maria dei Servi, sempre a Padova. Ci sono immagini da questa piccola mostra che non ci si toglie più dagli occhi. La prima: il perizoma di Cristo nel Crocifisso del Santo. Un piccolo straccio di bronzo disperatamente strappato da un vento che scuote la storia. La seconda: il ventre di Cristo, contratto nello spasmo della morte. Dal punto di vista plastico un pezzo di intensità drammatica con pochi paragoni. Bronzo sottoposto a contrazioni esplosive. Un punto di scontro di forze, tra la muscolatura dell’addome e la corona delle costole che sporgono in fuori con uno strappo doloroso.
La terza immagine: è relativa all’altro Crocifisso padovano, che è in legno, e che è stato recuperato eccezionalmente nella policromia originale. La linea del muscolo della coscia e il rossore del ginocchio sono di una verosimiglianza carnale che quasi domanda una carezza. La quarta immagine: il clamoroso retro di questo stesso Crocifisso che l’allestimento lascia giustamente libero. Il corpo di Cristo è completamente nudo, e schiena e natiche sono intagliate con una delicatezza che toglie il respiro. Ma come sempre quello che spiazza è la libertà di Donatello, che affronta l’iconografia senza retorica e senza moralismi (ovvero quando il cattolicesimo non aveva il complesso culturale del corpo e della carne…)

************************
Longhi e il senso dell’opera d’arte.
Letto il libricino con le Proposte per un critica d’arte di Roberto Longhi
(ed. Portatori d’acqua, con prefazione – bella – di Giorgio Agamben). A proposito della relazione tra Arte e vita, cito questo passaggio di Longhi: «È dunque il senso dell’apertura di rapporto che dà necessità alla risposta critica. Risposta che non involge soltanto il nesso tra opera e opere, ma tra opera e mondo, socialità, economia, religione, politica e quant’altro occorra. Qui è il fondo di un nuovo antiromanticismo illuminato, semantico, terebrante, analitico, empirico o quel che volete, purché non voglia svagare. L’opera d’arte è una liberazione, ma perché è una lacerazione di tessuti propri e alieni. Strappandosi non sale in cielo, resta nel mondo. Tutto perciò si può cercare in essa, purché sia l’opera ad avvertirci che bisogna andare a trovarlo, perché qualcosa ancora manca al suo pieno intendimento».

************************
Matisse e il suo maestro.
Sto leggendo L’intervista perduta di Matisse con Pierre Courthion.
È un libro a cui Matisse lavorò tanto e che alla fine non volle pubblicare. Oggi esce per l’editore che lo allora lo aveva (invano) commissionato, Skira. Matisse vi racconta ad esempio il suo rapporto con Gustave Moreau, suo maestro. «Per lavorare con Moreau bisognava avere talento e temperamento per tenergli testa. Mi ha strapazzato spesso. Mi diceva: “Lei semplifica troppo la pittura”. Ma duceva anche: “Non mi presti ascolto. Quel che dico non ha importanza. Un professore non è niente. Faccia quello che vuole, questa è la cosa principale. Tutto quello che fa mi piace più di quello che fanno altri e che non sgrido”». Così fa un vero maestro…

************************
Post scriptum: Visita di Alessandro Mendini a Casa Testori per la mostra su Bonvesin. Con lui anche Fabio Novembre. Bello il riconoscimento di un grande maestro come lui alla vitalità dei giovani illustratori. «Sono più avanti di noi designer», ha detto. Bel segno di libertà intellettuale.

Written by gfrangi

Giugno 14th, 2015 at 11:46 am

Un grande premio per Giulia Zini e l’Atelier dell’Errore

leave a comment

Giulia Zini disegna sul treno tornando da Monaco

Giulia Zini disegna sul treno tornando da Monaco

Giulia Zini, 18 anni, ha vinto l’Euward 6 a Monaco. È il più importante premio per l’outsider in Europa. Viene assegnato ogni quattro anni da una giuria che questa volta era presieduta da Arnulf Rainer. Giulia Zini è la star dell’Atelier dell’Errore, la straordinaria esperienza per ragazzi con disturbi mentali, guidata da Luca Santiago Mora. È la prima volta che il premio viene vinto da un italiano. Giulia l’avevamo conosciuta a Casa Testori in occasione di Giorni Felici 2014. Presentava uno straordinario disegno ed era in un video intitolato, pensate un po’, Vorrei essere Arnulf Rainer. C’è una qualità profonda nel lavoro di Giuliane più in generale nei ragazzi dell’Atelier, garantita dal metodo e da una disciplina che aiuta a non restare ostaggi delle ossessioni. Mi sembra che qui l’energia sia ben più che il frutto di un’istintività. C’è un qualcosa messo a fattor comune, che dà unità anche stilistica ai lavori, che li porta ben oltre il livello di una espressività ossessiva. È sorprendente infatti la capacità che Giulia ha ad esempio di “chiudere” i suoi disegni, di portarli a un compimento oltre il quale un segno sarebbe di troppo. C’è quindi il senso di un percorso, di un tentativo di spingersi fuori, di un’uscita da quel solipsismo in cui resta imbrigliata quasi sempre la cosiddetta “outsider art”.

Written by gfrangi

Novembre 23rd, 2014 at 11:16 pm

Le unghiate dell’Atelier dell’errore

leave a comment

Pirotoco San Pirotoco Salvatore dei Pirotoci
Una bella mostra-lampo a Milano è stata quella dell’Atelier dell’Errore allo spazio Marselleria: si tratta di un’esperienza nata nel 2003 come atelier di attività espressive per la Neuropsichiatria infantile dell’Ausl di Reggio Emilia da un’idea di Luca Santiago Mora. Oggi il progetto è sbarcato anche a Bergamo. Cos’ha di diverso questa esperienza rispetto alle tante esperienze di espressività scaturite da persone con problemi psichici? Mi sembra che qui l’energia sia ben più che frutto di un’istintività. C’è un qualcosa messo a fattor comune, che dà unità anche stilistica ai lavori, che li porta ben oltre il livello di una espressività ossessiva. È sorpendente infatti la capacità che i ragazzini (hanno dai 7 ai 16 anni) hanno di “chiudere” i loro disegni, di portarli a un compimento oltre il quale un segno sarebbe di troppo. Mi veniva il paragone con gli outsider che Gioni ha disseminato nella sua Biennale: ma lì dominava la ripetività dei motivi, un po’ come se fossero dischi creativi rotti. Ed erano sempre dei soliloqui. Qui invece cogli la sensazione di un percorso, di un tentativo di spingersi fuori, di un’uscita da quel solpsismo in cui erano imbrigliati quasi tutti gli outsider di Gioni, e di un tentativo quindi di spingere fuori quelle incredibili creature (sono tutti animali fantastici ricavati dai racconti di Ermanno Cavazzoni) immaginate. “In fuga dalla priogine della nostra immaginazione”, è stato il titolo scelto per la mostra, tratto dalla didascalia apposta da uno degli autori al suo lavoro. Sono meglio di Mario Merz, mi ha suggerito qualcuno. E in effetti…
In esergo all’home page dell’Atelier (guardatela, merita) c’è questo verso di Antonella Anedda: «Il disegno sarà semplice come unghiate di bestia sul tronco».

Nelle immagini. Sopra: Sante Carini, Pirotoco San Pirotoco Salvatore dei Pirotoci
Qui sotto: Matile e Sara, Remora Baianfantiticole

Remora Baianfantiticole

Written by gfrangi

Febbraio 12th, 2014 at 9:33 am