Ho letto il libro di Aurelio Picca che giovedì presenteremo con Luca Doninelli a Casa Testori (giovedì 14, ore 21, tutti invitati). Inutile sottolineare che mi è sembrato un libro bellissimo, una galoppata struggente attraverso quella stagione della nostra storia in cui «il mondo accastava uno sull’altro Marylin Monroe, Jaguar E. Type, Black Panters, Woostock». A questo accatastamento si potrebbero aggiungere anche i nomi degli artisti che Picca, soprattutto nella prima parte del libro, convoca a raffica o per fissare in icona quei momenti di psicologia collettiva, o per rendere l’idea che in quella stagione i piani della vita reale e dell’arte rifluivano uno nell’altro in una continuità quasi ovvia. Questo ricorso alle immagini dell’arte come espansione della cronaca funziona in modo a tratti sorprendenti: il devastante incidente di moto che toglie di mezzo il personaggio chiave del romanzo, il Tenebroso, viene sottolineato con il ricorso ad Arman e Pollock: «Il volto del Tenebro era un cartone nero e sfasciato come i violini di Arman e il suo stesso sangue gli piovve addosso che sembrava lo sgocciolamento dei quadri di Jackson Pollock». Il pop domina come immaginario e anima di un’epoca. Bellissimo questo passaggio: «In quei giorni a girare in Giulia con Tutta la mia città a palla, pareva di entrare e uscire da un dipinto superlucido di James Rosenquist; o continuare a baciare, con la testa spezzata dai sogni, labbra rosse alla Pino Pascali». E ancora: «Nel buio si videro i lampi degli spari. Non galleggiare, ma tagliare la notte dall’ombelico in giù. Fu una serigrafia pop. La prima in assoluto. Magari di Richard Hamilton». E ancora: «Nulla offuscava la luminosità dei giorni, dunque scorrevano come tanti dipinti di Richard Estes, Ed Kienholz, Tom Wesselmann, David Hockney, mentre le ragazze che si incontravano erano identiche alla trasparenza di Perfect Match di Allen Jones, o argentate come quelle di Giosetta Fioroni».
Tra i tanti artisti evocati e convocati c’è anche Mark Rothko. La prima volta le bandiere nere con la grande A cerchiata di bianco di una manifestazione di anarchici, rimandavano «alle Pale di Rothko» (trovo che l’uso del termine “pala” per le opere di Rothko sia un’intuizione sintetica e geniale). La seconda volta invece il grande artista viene evocato per inadeguatezza: «Il cielo era altissimo più di Mario del Monaco. Arrivava oltre ogni canto di tenore. Quel cielo, come un quadro mai dipinto da Rothko, ma da Andrea Del Sarto sì…». Il parallelo è ardito, ma ci sta tutto.