Giovedì 18. Visita al Museo di Villa Giunigi a Lucca. Museo tenuto pulito e ordinato all’interno della magnifica e vivibilissima casa di colui che fu a inizio 400 il signore della città. Sono solo nel museo, in orario un po’ improvvido (pausa pranzo). Non ci sono guardiani nelle sale, ma durante la visita mi “sorveglia” Martina, simpatica e intelligente allieva del quarto anno del liceo linguistico, che qui sta facendo uno stage. Mi colpisce l’orgoglio con cui di tanto in tanto mi segnala qualche segreto delle opere esposte. Mi ferma davanti all’anello della quarta moglie di Giunigi, oro e diamante: il dito della sposa quant’era sottile… Sa tutto del grande quadro con l’allegoria della libertà lucchese di Paolo Guidotti (1611): al tesoro della città i bambini ricchi portano l’oro, quelli poveri il cuore. Giustamente mi ferma affascinata davanti alla grande tavola di Fra Bartolomeo con Dio padre in gloria tra Santa Maria Maddalena e Santa Caterina. L’azzurro di vetro del cielo spettacolare e inverosimile che invade metà del quadro sembra un monocromo di oggi. Brava Martina. Auguri.
Domenica 21. Visita alla mostra a Palazzo Reale sui Visconti e gli Sforza. Non entro nel merito, perché non ne ho i titoli. Resto solo sorpreso da un allestimento inutilmente buio, a tratti un po’ kitsch (vedi gli stendardi con i testi dei pannelli), che non riesce a dare una dimensione d’insieme alla mostra. Alla fine del percorso una sala presenta le foto dell’allestimento della mostra del 1958. Firmato da Ferdinando Reggiori, era tutto opposto, bianco, luminoso, con un ritmo pausato che si avverte anche dalle immagini. Capisco che, scelta delle opere a parte, la vera differenza tra la mostra di ieri e quella di oggi sta in questa tensione a fare del percorso della mostra un qualcosa di avvolgente. Le opere erano presentate come componenti di una scena molto corale a cui i visitatori erano chiamati a partecipare. C’è tanto da trattenere da quelle immagini. Anche come senso del fare una mostra…
Domenica 21. Il mio nomadismo per le messe domenicali mi porta a Baranzate, chiesa di vetro, firmata Mangiarotti – Morassutti. È appena stata restaurata, con il rifacimento dei vetri che non hanno più polistirolo o lana di vetro nell’intercapedine, ma sono oggi semplicemente stati resi di un’opacità che restituisce un effetto molto simile, anche se molto più compatto e meno mosso. Ma la soluzione è razionale. La chiesa è bellissima. In alto dove le grandi travi a forma di croce si appoggiano alla struttura, tra una e l’altra le aperture sono chiuse da vetri. Si vede il cielo passare come fosse una installazione di Turrell. Il prete, don Claudio, sottolinea con orgoglio la bellezza di questa chiesa povera voluta con coraggio da Montini. Ricorda la bomba che nel 1968 la devastò. Oggi è tutta in ordine e molto amata. Quando esco le campane in cima al campanile a traliccio iniziano a suonare con forza. Sono al telefono con Lea Vergine, che, sentendole, mi chiede in qual posto di paradiso mi trovavo. Ero semplicemente a Baranzate….