Eppur si muove. Brera si muove. La pinacoteca che tutti noi amiamo come si ama casa nostra, lancia segnali di voler uscire da quella vaga sensazione depressiva che comunicava. Un po’ il disordine, un po’ la casualità pur generosità dei tentativi di farsi sentire viva. Ma Brera non riusciva a liberarsi dalla dimensione di trascinamento un po’ stanco di una grandezza che veniva da lontano. Questa volta invece si ha la percezione di un museo che, pur a piccoli passi, abbia ripreso in mano il suo destino. Punto primo, puntare su se stessa. È questa l’idea su cui il nuovo direttore, James Bradburne ha deciso di puntare. Il format dei Dialoghi va in questa direzione: lavorare per accendere i riflettori dell’attenzione comune e diffusa sui propri capolavori. Si è iniziato con lo Sposalizio della Vergine di Raffaello affiancato con il suo prototipo del Perugino. Interessante la modalità di un approccio invece che un po’ ripetitivamente stilistico, spostato sul piano della narrazione per spiegare perché due capolavori con quello stesso soggetto fossero stati dipinti nell’arco di pochi mesi e a poca distanza l’uno dall’altro (il movente è la reliquia dell’anello della Madonna entrata in possesso dei perugini con metodi non molto ortodossi).
Invece che farsi mangiare da grandi mostre costose e che bruciano risorse portando un pubblico estemporaneo, si cerca di lavorare su una fidelizzazione vera del pubblico, affascinandolo con il proprio patrimonio. Coerente con questo intento anche il catalogo, venduto a 12 euro e pensato per essere capito e letto da un pubblico largo.
Una piccola nota visiva. Nel passaggio da Perugino a Raffaello il salto di livello è ovviamente ben percepibile. Le considerazioni quindi possono apparire scontate. Tra le tante possibile mi piace sottolinearne una: è il cambio del punto di vista che Raffaello introduce. Noi possiamo capire con precisione dove Perugino si era posizionato per “vedere” e costruire il suo quadro. Con Raffaello non è possibile: non c’è più un punto di vista identificabile. C’è un’imprendibilità del punto di vista. Sembra posizionato alto rispetto ai protagonisti. Ma non è solo quello. Raffaello si muove di fonte alla tavola senza mai che noi riusciamo a prenderlo. E tutto questo generando geometrie senza sbavature (fate caso allo sviluppo dei gradini del tempio, con tutte le varianti di luce suo gradini, tra alzate e pedate: un esercizio di pura ritmicità astratta).