Robe da chiodi

Fare esperienza di Beuys, a Zurigo

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Una due giorni a Zurigo, per anniversario nozze. L’occasione per tornare nel Kunstmuseum nella nuova sistemazione, per vedere le vetrate di Sigmar Polke al GrossMünster e per mettersi sulle tracce di Morandi al Reinhard di Winterthur (uno delle sue sole mete fuori di Italia).
Al Kunstmuseum la folgorazione è in tre sale del contemporaneo. Prima quella di Cy Twombly con il ciclo del Viaggio di Goethe in Italia. Bellissimo e c’è tutto il felice frastuono che l’Italia può riversare in un’anima tedesca. Una tela, meravigliosa, nuda e bianchissima per un terzo, sotto ha una cascata di pittura color verde e terra. Sembra di vedere l’irruzione di un modo di vedere il mondo. Nella seconda sala enorme c’è il trionfo di Georg Baselitz, con 20 tavole allineate, dipinte e poi grattate con un lucida furia. Sembrano matrici di grandi xilografie che si siano ribellate alla loro funzione di supporto. Di fronte c’è un grande Kiefer: vi assicuro che il confronto lo spegne e lo sospinge lontano. Sembra figlio di un’altra epoca, riaffiorato solo ora. Tanto Baselitz fa breccia, tanto Kiefer affonda nel suo mondo immaginario. E molto letterario. (A destra due grandi Polke, magnifici, enigmatici, eleganti, sofisticati e pop allo stesso tempo).
La terza sala è indimenticabile ancora e più delle altre: è quella in cui sono state sistemate le Oliverstone di Beuys. Sono cinque vasche di pietra del 700 in cui veniva messo l’olio a decantare nelle tenute dell famigila di Lucrezia De Domizio Durini, a Bolognano, in Abruzzo. Beuys fece fare con la stessa pietra, l’arenaria di Lettomanoppello, delle lastre che fungono da tappi. Per cui le cinque vasche diventano come cinque sepolcri. E l’olio è questo tramite tra la morte e la vita: le lastre infatti sono periodicamente unte, con piccole pozze che si formano nelle irregolarità della pietra. La gente ci mette il dito e poi lo pulisce sul muro verso l’uscita, che racconta involontariamente il nostro passaggio. Ma nell’allestimento il colpo d’ala è il quadro quattrocentesco, tedesco, con la Sepoltura di Cristo. È un raccordo semplice e potente, che rende emotivamente indimenticabile quella sala. Aveva detto Beuys: «Io credo che si capisca bene che l’arte deve passare per il sensibile. Si tratta di qualcosa che è diverso dal risultato di un processo di conoscenza. E pertanto io penso che si ha a che fare con un processo di conoscenza quando si prende coscienza di questo». L’arte come punto di incrocio su esperienza sensibile, conoscenza e coscienza: questo avviene in quella sala. Qui vedete un breve filmato che vi porta nella sala VideoSalaBeuys

Written by gfrangi

Maggio 10th, 2014 at 1:26 pm

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