Robe da chiodi

Piccole note milanesi. Brera, Triennale e Hangar Bicocca

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Piccole note su visite in queste tre settimane di lavori a spizzichi e bocconi…

Brera. C’è la mostra su Bellini, attorno a quello che resta per me uno dei quadri più belli del mondo (la Pietà). Arriva un paio d’anni dopo quella fatta dal Poldi Pezzoli (torna a Milano la Pietà di Rimini), ha qualche prestito importante (la Cimasa del Pala di Pesaro), ma francamente la sua funzione mi sembra soprattutto quella di attrarre pubblico a Brera (ottima funzione, per altro). Per Milano ci sono tanti manifesti, ne ho visti persino sui tram. E la proliferazione dell’immagine di quel capolavoro fa solo bene agli occhi e al cuore…
En passant, si transita davanti alla nuova collocazione del Cristo di Mantegna. S’è detto tanto, aggiungo due minimi rilievi. È sparita ogni etichetta, come se tutti sapessero di quel quadro: un’opera di destoricizzazione un po’ troppo radicale. Per fare operazione onesta, io dichiarerei invece tutto: che quello è Mantegna “interpretato” dall’occhio moderno e poetico di un maestro come Ermanno Olmi. Magari metendo anche qualche data. Insomma spiegherei in maniera sobria l’operazione. Invece tutto è dato come per “saputo”. E il pubblico passa davanti un po’ sperso… Un grande museo non dovrebbe fare così.

Triennale. Bello il nuovo museo del Design 2014 immaginato quest’anno da Beppe Finessi. Il tema è molto pertinente: come il design si muove nelle ristrettezze imposte dalle varie crisi. La prima è quella originata dall’isolamento dell’Italia fascista e dalla scelta un po’ obbligata per l’autarchia; poi c’è la crisi petrolifera degli anni 70; e infine la nostra, infinita. Quel che si intuisce è che il genio inventivo si alimenta sempre nel rapporto con il mondo produttivo: per cui la prima crisi è quella in cui si incontra più “genio”. Poi sembra stabilirsi una distanza che non giova, che porta ad un’arbitrarietà da cui alla fine emergono solo i “geniacci” intramontabili (vedi Alessandro Mendini). Per cui il percorso risulta un po’ a scendere, dalle sorprese strepitose dell’inizio all’inventiva un po’ sregolata di questi anni. La differenza sta anche nella praticabilità: quello era un design che cercava soluzioni. Questo è un design che sembra solo alludere a delle soluzioni, quasi temesse di restarne ostaggio…

Hangar Bicocca. Dopo la magnifica abbinata di Kartjansson e Dieter Roth, la nuova coppia non tiene il passo. Cildo Meireles, occupa lo spazio vasto attiguo alle Torri di Kiefer con ben 12 Installations. Macchine complesse, a volte macchinose, con retropensieri un po’ ideologici. C’è uno schema che raramente decolla in poesia: e il coinvolgimento cercato del pubblico non scatta, se non in pochi casi. Ma resta al fondo un senso di prepotenza per tutti questi mezzi dispiegati. Più poesia in Micol Assaël, italiana a dispetto del cognome, classe 1979. Sono installazioni che mettono in opera drammatici cortocircuiti le sue, dove la tecnologia precipita in un non sense selvaggio. C’è come una dimensione di potenza e insieme anche di tenerezza per questi strumenti che continuano a rombare nelle loro celle, avendo però perso ogni relazione con la funzione originaria.
Post scriptum: è stato cambiato il grande ambiente delle torri di Kiefer. Una pavimentazione molto ordinata le circonda, permettendo di arrivare più vicino. Ma l’effetto è un po’ choccante: sembrano siano state collocate sul set di una sfilata di moda. Meglio la soluzione di prima, meno cosmetica ma più omogenea all’opera di Kiefer.

Written by gfrangi

Maggio 1st, 2014 at 11:50 am

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