C’è qualcosa di indicibile nel ritratto di Berthe Morisot che campeggia sui manifesti della mostra di Edouard Manet alla Royal Accademy di Londra: con quella pelle di crema, quegli occhi sgranati, il nero di velluto del cappello, il bianco di luna dello sfondo, i ciuffi di pittura sempre sul confine dell’ingordigia. Eppure quella di Manet è pittura di altissima temperie mentale, e la bellezza esagerata della stesura a volte può ingannare, inducendo a pensare che tutto inizi e tutto finisca lì. Non è così come ha dimostrato il grande Michel Foucault nella sua conferenza a Tunisi del 1971: la bellezza stregante è infatti funzionale a un processo di incantamento. Il quadro slitta fuori da se stesso, invade il mondo di chi guarda. Basta osservare questo stupefacente particolare ricavato, grazie a Google art Project, da Le chemin de fer (Victorine Meurent, davanti alla cancellata di Saint-Lazare, presente alla mostra di Londra; cliccate sull’immagine per ingrandirla). Lo sguardo di Victorine è straniante perché sembra assolutamente altro rispetto alla bellezza di cui è pur fatto. È uno sguardo che buca la protezione calda della pittura magistrale, che se ne tira fuori. Manet, scrive Foucault, «ha posto la condizione fondamentale affinché un giorno ci si potesse liberare della rappresentazione». Il quadro si fa oggetto che sfugge alle definizioni e alle delimitazioni; sembra di assistere a una mutazione genetica senza clamori, e probabilmente è davvero così. Comunque è una mostra che non andrebbe persa (come pure quella che arriverà a Venezia ad aprile su Manet e l’Italia).
[…] di Gentiluomo di Lotto dell’Accademia. Il discorso fatto sopra trona anche qui… Su Manet anche questo pensiero […]
Manet a Venezia, fantastici confronti at Robe da chiodi
24 Apr 13 at 8:16 am edit_comment_link(__('Edit', 'sandbox'), ' ', ''); ?>