A Torino, Degas dal Musée d’Orsay. Una mostra abbastanza deludente, che non serve a capire la forza contemporanea di un gigante come Degas. Peccato non aver potuto vedere quella di Basilea (L’Ultimo Degas) o quella parigina (Degas et le nu) che potevano far capire molto meglio la sua grandezza. La mostra torinese inquesto modo perpetua l’immagine per bene di Degas, l’impressionista che voleva tenere i piedi nella classicità, quando invece la forza di Degas è al contrario la sua “impresentabilità”. Oserei dire, che a guardarlo bene, è un pittore repulsivo (non per nulla Bacon lo teneva in enorme considerazione). È un artista che sotto l’apparenza dei buoni modi, in realtà fa a pezzi i suoi soggetti. I tagli sui nudi di donne sono quasi degli stupri fatti con la carezza apparente del pastello. Li dipinge con una rabbia tenuta sotto traccia, attento a non farla mai trapelare. Ma il risultato è quello di corpi la cui bellezza e il cui erotismo è passato sotto la falce di una sottile quanto inesorabile ferocia. Banalizzando si potrebbe dire che c’entri la sua impotenza, su cui ironizzò persino Van Gogh (in una lettera del 1988 insinuò che possedeva quelle signorine disegnandole con il pastello). In realtà Degas come spesso diceva, polemizzando con il resto della banda impressionista, lottava contro la “tirannia della natura”. Vedeva nella pittura un esercizio mentale. Come diceva Vollard, lui dipingeva voltandosi dall’altra parte.
Ad Alba per la mostra di Carrà. Entro staccando il biglietto (gratuito) numero 30195. Non male per una mostra dedicata a un artista da tempo abbastanza in ombra, a 155 km da Milano e 60 da Torino. È una mostra che merita di essere raccontata per il contesto: la fondazione Ferrero è un edificio sobrio e senza spocchia, a pochi passi dall’azienda madre, circondato dai campi della scuola calcio (altra attività della Fondazione) dove frotte di ragazzini di ogni nazionalità giocano e gridano. L’accoglienza in mostra è garantita dai cortesi pensionati della Ferrero. Il colpo d’occhio entrando nella sala del video è sorprendente: non la solita saletta stipata di panche, ma un vero cinema auditorium. Il filmato semplice ma molto utile per capire l’artista dura una ventina di minuti. Ogni volta la sala si svuota e si ri-riempie. Questo per dire che un’operazione di dignità culturale e civile alla fine serve anche per collocare nella giusta luce un artista: Carrà è figlio di quest’Italia, bella, amica, senza nessuno complesso di essere provincia. Un’Italia consapevole delle proprie virtù. (Certo Alba ha avuto la fortuna di dare i natale al più grande storico dell’arte del 900, Roberto Longhi: e anche in mostre e iniziative come queste il suo imprinting ancora si sente).
A Milano, le Gallerie d’Italia. Che dire di un museo del 900 che spunta a 400 metri da un altro museo del 900 aperto appena tre anni fa? Il nuovo museo di IntesaSanPaolo, aperto nei saloni dove un tempo regnava Raffaele Mattioli (era la sede della Banca Commerciale), ha qualcosa di irragionevole: una raccolta non del massimo livello (per quel che mi riguarda ho registrato una sola grande opera, Concetto spaziale. La luna a Venezia di Lucio Fontana, 1961) disposta in locali faraonici. È un’operazione sopra le righe e non riusciamo ad immaginarci la vita normale di un museo come questo una volta finito l’appeal della gratuità. Già s’è visto cos’è successo all’altro museo del 900 e quanta fatica si deve fare per conquistare pubblico, pur essendo affacciati su Piazza Duomo. Un po’ più di pensiero condiviso tra pubblico e privato in una città come Milano non sarebbe un male…
A Milano, in fila per Canova. C’è da chiedersi perché una scultura non delle più belle di Canova accompagnata da un quadro non straordinario di un pittore (François Gérard) certo non molto noto, possa attirare 200mila visitatori in un mese. Non basta dire che è l’attrazione dell’opera feticcio. In questo caso c’è un meccanismo di richiamo e un modello di proposta che funziona. È come entrare in una stanza delle meraviglie, in cui voci ben collaudate accompagnano in un breve viaggio che transita dalla storia al mito, dall’arte alla filosofia dell’amore. Non basta chiamare tutto questo “visita guidata”. È qualcosa di diverso: nel buio fasciato da proiezioni piranesiane, il pensiero stacca e si naviga trasognati nella favola di Amore e Psiche sollecittai da quei corpi così fluidi a dispetto del marmo e un po’ transgender.
Sia Degas che Bacon amavano Ingres, che così verrebbe fuori rovesciato, sconquassato – di soppiatto, un terremoto dietro all’eleganza. Sigmund Freud non sarebbe mai riuscito a capire quanta vita c’è in questa potenza trattenuta. La psicologia si ferma prima di capire il paradosso. L’energia sprigionata di soppiatto non è meno reale…
Grazie di queste rassegne, tengo così un piede in Italia.
(hai visto di una mostra a Stoccolma Picasso vs Duchamp? Ha l’aria un po’ pacchiana ma potrebbe essere interessante fare un confronto concreto, se ci sono opere sostanziose)
Beatrice
14 Gen 13 at 10:33 pm edit_comment_link(__('Edit', 'sandbox'), ' ', ''); ?>
Bea, l’hai detto meglio di quanto abbia fatto io…
La mostra di Stoccolma, l’idea è bella, ma le opere sono solo quelle del museo svedese
gfrangi
14 Gen 13 at 10:54 pm edit_comment_link(__('Edit', 'sandbox'), ' ', ''); ?>