Ma Gina Pane mi interessa perché è la riprova della gratuità dell’arte. Mi riferisco a quella serie di opere finali, che io ho solo visto riprodotte e raccontate, in cui chiusa la stagione della body art Pane si sposta dal proprio corpo al corpo dei santi. È un passaggio tanto intenso quanto imprevisto che illumina di senso anche la sua stagione precedente e che dimostra come sul rapporto tra arte e fede forse è meglio lasciar perdere teorie e discorsi e osservare umilmente l’imprevisto di certe esperienze.
Quella di Gina Pane, ad esempio, è davvero tanto semplice quanto sorprendente. Mi è capitata tra le mani una lettera scritta da un amico acuto (Camillo Ravasi) qualche anno fa in cui mi allegava una pagina della rivista Il contemporaneo con un ritratto dell’artista realizzato attraverso le sue parole. Vi riporto alcuni passaggi, che non hanno bisogno di nessuno commento.
Cos’è il corpo per Gina Pane?
«È il nucleo irriducibile dell’essere umano, la sua parte più fragile. È sempre stata tale, sotto tutti i sistemi sociali, in qualsiasi momento della storia. È la ferita è la memoria del corpo; essa memorizza la sua fragilità, il suo dolore, dunque la sua esistenza “reale”. È una difesa contro l’oggetto e contro la protesi mentale».
Perché l’attenzione al corpo dei santi?
«Ciò che mi interessa nel corpo del Santo è la sua capacità di svuotarsi, per poi riempirsi, il suo “non funzionamento” rispetto a una realtà di consumo. È il rapporto tra la fragilità di quella carne – il santo è là, ed è un corpo, un uomo – e la forza immateriale che lo abita. Soprattutto mi interessa il cammino, la strada da compiere per arrivare a questo. Mi interessa capire come San Francesco ha potuto essere quello che è stato. Non mi interessa certo fare dell’agiografia. Io colloco questo lavoro dei santi nella società attuale, nella nostra vita di ogni giorno».
Che cos’è l’avanguardia?
«Giotto e Cristo»
scusate, ma io comincio ad avere seri dubbi sull’arte contemporanea. Innanzitutto i lavori sui santi di Gina Pane, aldilà delle sue parole non troppo profonde, sono veramente scarsi, per me sono mediocri. Francesco Bonami potrebbe dire “lo potevo fare anch’io” (titolo del suo libro), io dico che una vaccata del genere non avrei mai voluto farla. Mi vengono in mente le parole di Gilbert and George che qualche giorno fa ho definito stronzate, ora mi correggo e dico che sono veramente opportune per il mondo dell’arte contemporanea, un mondo della mediocrità dove bisogna essere dei fessi fortunati come loro. Se facciamo un confronto fra la raffigurazione di un santo di un qualsiasi artista dal ‘200 al ‘600 con questa roba di Gina Pane potremmo verificare a che livello di mediocrità siamo sprofondati. l’arte contemporanea oggi mi sembra un luna park, le riviste d’arte assomigliano tutte a novella 2000. Le aste milionarie di Sotheby’s sono delle barzellette. Evidentemente la nostra è l’età della spettacolarità e del divertimento, quindi divertiamoci a contemplare le opere dei grandi artisti di quest’epoca e ridiamoci sopra
mauro
19 Mag 12 at 11:45 am edit_comment_link(__('Edit', 'sandbox'), ' ', ''); ?>
Una reazione un po’ drastica… Gina Pane ha un percorso di serietà che non credo sia discutibile. Non mi pare proprio che sia stata un’artista da copertina. Come sempre le cose vanno viste: io non giudico la forza delle sue opre, registro la forza del suo percorso e la verità delle sue ragioni. L’arte contemporanea in sé è categoria solo sommaria e mediatica: va giudicata situazione per situazione, storia per storia.
gfrangi
20 Mag 12 at 9:15 pm edit_comment_link(__('Edit', 'sandbox'), ' ', ''); ?>
hai ragione, ho esagerato, cocnordo con te: l’arte contemporanea in sé è una categoria solo sommaria e mediatica, giustissimo
mauro
21 Mag 12 at 12:26 pm edit_comment_link(__('Edit', 'sandbox'), ' ', ''); ?>