Mattinata a Parma per un convegno. C’è la grande mostra di Claudio Parmiggiani, un genius loci, che qui può lavorare a mani libere. La mostra è allestita ala Palazzo del Governatore, rimesso a nuovo. Stanze linde, che s’affacciano sull’abside della Steccata e su Piazza Garibaldi. Ogni stanza un’opera. Un allestimento iperminimale, senza targhette e senza nessuna scritta di aiuto. La mostra in quel momento è vuota, ma ogni sala ha di fatto una custode che la presidia. Una di loro accetta di farmi da guida. È precisa sui titoli delle opere, sulle ragioni di ciascuna, sulle scelte dell’allestimento. Insomma è preparata, davvero. L’unica cosa che non sa sono le date delle opere. L’allestimento ovviamente non segue nessun andamento cronologico: c’è come un “complesso” del tempo. Come si trattasse di una dimensione “sporca” da lasciarsi alle spalle. Eppure, quando vengo a sapere le date, si scorge che un percorso c’è. Se si sgranano le opere in sequenza cronologica, si scopre che c’e una gentilezza iniziale (Cerchio di piume, cerchio di fuoco, 1969) e un momento molto potente sulla fine degli anni 90: gli anni dei 365 grandi pani di ferro disposti per terra e soprattutto della gigantesca ancora che trapassa il muro (Nel cuore, il titolo). Sono opere sulle quali non è ancora calato il mutismo così estenuato da chiedersi se non sia anche un po’ compiaciuto della propria eleganza, che prevale nell’ultimo decennio…
Parmiggiani ha sempre avuto in Giorgio Morandi il suo artista mito. E lo si capisce. Ma nel silenzio monacale, l’arte di Morandi non stacca mai il sibilo tenero e insistente del mistero. È come un baluginio che dà respisro e consistenza. In Parmiggiani il silenzio diventa invece un vuoto calcolato assordante (sopra il pianoforte c’è il calco di bronzo di un orecchio con conficcato un coltello…). Come se la spina fosse stata elegantemente staccata e non restasse che un’arte del tuto afona. Nella piccola chiesa di san Marcellino Parmiggiani ha portato 100mila libri che riempiono abside e presbiterio e s’interrompono di netto all’altezza della navata. Sopra ha posizionato un bellissimo gozzo ligure di 18 metri, trovato nelle acque di Santa Margherita ligure: la chiglia taglia il mare di carta, la prua si proietta in mezzo alla navata. Gli alberi e le vele sono ammainate come in prospettiva di un naufragio. Tutto suggestivo, tutto elegante. Tutto abbastanza compiaciuto. Naufuagio con spettatore, è il titolo: come se in realtà non ci riguardasse. L’arte di Parmiggiani si chiama infatti fuori dall’arena del mondo e della storia. E dalle sue dimensioni (il tempo, innanzitutto). È un rito propiziatorio e vagamente esoterico in vista di un day after senza più scorie. Un day after perfetto, impeccabile, curato nei minimi dettagli.