Robe da chiodi

Quel bellissimo murales di Lambrate

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Qualche giorno fa passando per la stazione di Lambrate, a Milano, ho visto un murales sorprendente. Lo ha realizzato un writer di Bologna che poi ho scoperto essere un nome molto conosciuto, che si firma con lo pseudonimo Blu (c’è anche una monografia su di lui). Il murales di Lambrate (qui le foto) è immenso e si allunga su un muro ribaltando, in modo immaginifico, la gerarchia quotidiana del traffico cittadino: una marea di piccole macchine vengono schiacciate dalle ruote di ciclisti “ciclopi”. L’effetto è spiazzante, il segno grafico è molto efficace ed insieme evocativo, come quello di un William Kentridge nostrano. Decisamente questo è un modo di sfondare un muro, di dare una visione che che fa pensare e insieme fa divertire. Una riscossa simbolica di cui tutti ci sente parte.

Che cosa distingue questo murales dai mille altri che colorano (o appestano) i muri di Milano? A parte la differente qualità degli esiti, credo che la differenza vera stia nella genesi. Qui i murales sono capacità di rendere pubblico e visibile un sentimento diffuso. Di creare immagini provocatorie, ironiche, ma ultimamente partecipate. Diventano un  fatto pubblico nel senso pieno del termine. Invece la deriva che la street art ha preso specie in una città come Milano è una deriva di narcisismo (non per niente era stata celebrata due anni fa con una tremenda mostra al Pac dal principe dei narcisisti, Vittorio Sgarbi). È espressione ombelicale; pura istintività che parla tutt’al più ai compagni d’avventura e infastidisce tutti gli altri. Se li guardate, vedrete che nella gran parte sono solo varianti, più o meno bello, dei “tag”,  cioè delle loro firme. In sostanza il murales coincide con la firma. Non si va al di là di questo. In sostanza è ripetizione infinita di un solo motivo. Per fortuna c’è anche Blu…

Il murales di Lambrate è anche merito della volontà di una gallerista (Patrizia Armocida) e di un dirigente di Trenitalia (Marco Vincenzo Raimondi).

Written by giuseppefrangi

Gennaio 8th, 2010 at 11:58 am

10 Responses to 'Quel bellissimo murales di Lambrate'

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  1. Da “writer” mancato (ho sempre e solo fatto i murales all’oratorio feriale anche se –ora l’ammetto– l’aspirazione avrebbe voluto essere molto più… narcisistica) mi congratulo per l’articolo.
    Molto significativo secondo me il passaggio murales = firma, che anche per Blu vale, essendo il “tratto”, lo stile e pure il contenuto assolutamente riconoscibili come i suoi: tant’è che senza leggere avevo indovinato di chi si sarebbe parlato.
    Ora andrò a vederlo…

    Gio

    8 Gen 10 at 5:03 pm

  2. Anche io ero un writer, ricordo che all’epoca eravamo pochi e lo spazio era ancora meno, rischiai una schedatura e una denuncia per scritte abusive. In realtà secondo me il writing è pura arte, e andrebbe abilitata. Blu è solo una piccola percentuale di chi si impegna in questo senso…ce ne sono tanti altri: Mad per esempio a Milano è uno dei maggior esponenti. Poi penso a Sonda, Senso, Raptuz, Dumbo, Sonic, TDK, ML’S, Utero, Ritual, Fuossone, Font, Neo, Gringo.

    E Milano non è solo Leoncavallo, ma ha bisogno di spazi più grandi, spazi che non mancano, piuttosto che usare il cemento, colorate la città…invitate i writer ai convegni, parlateci, capiteli e vedrete nuovi Keith Haring all’azione.

    OTILLAF

    8 Gen 10 at 10:04 pm

  3. mi arrischio ‘controcorrente’
    il mural di Lambrate è molto bello. Elegante, graficamente pregevole nel suo bianco e nero. Suggestiva la foto: i pantaloni rosa della ragazza. Tutto molto per bene. Anche il messaggio è molto per bene e molto ideologico. (Univoco e subito traducibile in una frase).
    Caravaggio, nudo o vestito, era spesso sapiente (anche di teologia) ma non era mai ideologico. Esposto oltre quello che sapeva di sè e del mondo. Disposto a farsi vedere dal di sotto. Dopo un lieve compiacimento giovanile, un bel taglio diritto col narcisismo.
    “Io sono pittore” diceva di sè al primo processo romano (per dileggio ad altri pittori) “e valentuomo” …. “valentuomo vuol dire che sappi far bene, cioè sappi far bene dell’arte sua, così in pittura che sappi dipingere bene e imitar bene le cose naturali…”
    Che non era dichiarazione di ‘realismo’ ma di verità perseguita oltre ogni maniera a tutti i costi.

    paola marzoli

    9 Gen 10 at 9:30 pm

  4. Giusto il paragone con Will Kentridge, diventa ancora più evidente nelle sue animazioni, fatte con un processo molto simile a quello di W.K., cancellando e ridisegnando sulla stessa superficie.
    qua c’è il video http://www.youtube.com/watch?v=uuGaqLT-gO4&feature=related

    E’ vero, Paola, che il messaggio è molto semplice e se vuoi scontato, e ha a che fare con la comunicazione molto più che con l’espressione. Ma l’ironia, la semplicità con cui i messaggi sono comunicati, senza tentare di appiccicarci valori aggiunti, rendono artisti come Blu e Kentridge se non altro molto più apprezzabili di certi artistoidi concettuali che nascondono messaggi scontatissimi dentro sorpresine o giochetti di dialettica. E che si prendono troppo sul serio. Dimmi se sbaglio.

    Beatrice

    10 Gen 10 at 1:07 pm

  5. Cosa centrano i pantaloni rosa della ragazza? Quella è una madre che passava di là.

    OTILLAF

    10 Gen 10 at 9:43 pm

  6. D’accordissimo con Beatrice su Blu e i concettuali.
    E poi questo murale è simpatico e pulito e schietto davvero.
    La madre che passava mi è sembrata una aggiunta ‘di grazia’ del fotografo

    paola marzoli

    11 Gen 10 at 12:45 am

  7. Il fotografo è stato blu in persona, non credo che ci siano stati accorgimenti.
    Passava di là ed è entrata nella foto.

    OTILLAF

    11 Gen 10 at 12:41 pm

  8. Ho visto il video segnalato da Beatrice. Non voglio giudicarlo, ma i numeri fanno pensare: visualizzato quasi 6milioni di volte, con oltre 14mila commenti, la stragrande maggioranza entusiasti, tutti in inglese. Vuol dire che l’arte di Blu coglie un livello profondo e straordinariamente condiviso. È una forma di poesia che intercetta sensibilità, sguardi e cuori, come poche altre oggi. Se poi si pensa che è quasi tutto a forza di tam tam… Mi piace sottolineare due fatti. Uno: è espressione che trova la sua forza non in sé ma nel suo diventare fenomeno collettivo; che si concepisce solo come fatto goduto, recepito e condiviso. Secondo: non trascurerei il discorso della qualità; Blu (e non è il solo) ha avuto il merito di abbandonare spray, areografi ed altri strumenti tradizionalmente adoperati dai writer ma usa pennelli, rulli, vernici. In fondo è tornato ad essere pittore, rinunciando alla facilità a volte un po’ belluina di gran parte dei writer, che si abbandonano a stilemi ripetitivi e decorativi. Ha ragione Paola quando vede una dose di “perbenismo”: nel senso che è espressione che non ferisce, che richiama solo consenso. È un po’ come un libro di favole contemporanee che non ha bisogno di testi, che ci fa tornare per un istante bambini: sognare le belle, vecchie biciclette che per un momento sopraffanno le auto violente e invadenti… Chi non è contento di un sogno così?

    giuseppefrangi

    11 Gen 10 at 11:43 pm

  9. Non ho visto il disegno di lambrate dal vero , per quanto le auto siano belle e raramente dipinte così bene non mi piacciono i piedi del ciclista , il video invece mi sembra bellissimo , pieno di grazia , ironia , è imprevedibile , ha un ritmo musicale , scorre veloce e tragico , superlativo !

    giovanni

    12 Gen 10 at 5:16 pm

  10. Non riesco a essere d’accordo su Kentridge, non mi si prenda per snob ma il linguaggio dei bellissimi murales e video mi pare più vicino a quello dell’animazione degli spot e dei cartoni animati degli anni ’60-’70. Mi viene in mente la linea della Lagostina e i personaggi di plastilina di Fusako Yosaki per Fernet Branca nonché una serie nutrita di disegnatori per bambini. Cose magnifiche tutte (quelle là e questa qua), ma con intenti più diretti e semplici di quelli di Kentridge, il cui tratto è (aldilà dell’animazione che è il fine non il mezzo) di un’altra natura artistica.

    Cristiana Curti

    21 Gen 10 at 3:24 pm

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