Al Pac di Milano c’è una bella mostra di Yayoi Kusama. Ve la consiglio. 80 anni, una biografia tormentata dall’assillo di continue malattie psichiche, la Kusama venne “scoperta” da Lucio Fontana che nel 1966, con slancio giovanile, la sostenne in un’operazione provocatoria alla Biennale. In mostra si vede una bellissima foto (senza didascalia, purtroppo) in cui il vecchio Fontana con allegria giovanile si diverte con la ragazza Yayoi. Alla Biennale la Kusama aveva pensato a un’installazione, Narcissus Garden, fatta di 15oo sfere, da vendere a 1200 lire l’una. Fontana l’aveva aiutata a disporle nei prati davanti ai Giardini. Una volta provocazione così erano “contro” il mercato, oggi vengono immediatamente cooptate dal mercato… Si può dire che era più sana la realtà di allora (e se ne trova conferma nel divertimento di Fontana che traspare da quella foto).
Spettacolare il grande I Want to Live Forever, gigantesco quadro composto da cinque pannelli, in cui l’ossesione ripetitiva del motivo pittorico a rete minuta, produce un risultato che non sai se essere più delicato o allucinato. Bellissima e a suo modo perfetta anche l’installazione (nella foto) Aftermath of Obliteration of Eternity (2008): in una scatola a specchio, con migliaia di luci che si perdono in un infinito che sembra a portata di mano. In Yayoi Kusama c’è una giocosità infantile, una tattilità visiva, che non sai come misteriosamente conviva con le nevrosi che ne hanno segnato pesantemente la vita. Ma il suo bello, sta proprio in questa misteriosa sospensione del destino.
Scruto l’immagine di Yayoi. Non so cosa sia ma sono spinta ad inoltrarmi in essa. Attratta. Non so l’inglese ma ne indago il titolo. ‘Aftermath of Obliteration of Eternity (2008)’ (conseguenze spiacevoli della cancellazione dell’eternità?). Non sento contraddizione tra nevrosi ed esplorazione dell’infinito. La nevrosi di Yayoi raccoglie la mia e si fa traccia di desiderio: stalker nell’infinito oltre la siepe. Ecco perché la preferisco a Richter che mi consegna una perfetta immaginne (meravigliosamente cilestrina al centro), sapientemente definita nel calibro degli sfumati e nella tensione del gesto pittorico. Ieri ascoltavo alla radio il ‘Cavaliere inesistente’ di Calvino. Mi dicevo “non lo amo ma è ben arguto e intelligente!” e mi richiamava Richter. Ecco. Ascolto volentieri Calvino, guardo con piacere Richter. Ne ammiro la sapienza. Mi compiaccio in loro della sapienza dell’uomo.
paola marzoli
17 Dic 09 at 12:29 pm edit_comment_link(__('Edit', 'sandbox'), ' ', ''); ?>