Robe da chiodi

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Come spiegherei la Pietà Rondanini a dei ragazzi di 14 anni.

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Una frequentatrice del blog ha posto il problema: i suoi allievi in visita ai musei del Castello Sforzesco, sono rimasti incantati davanti al Barnabò Visconti e sono rimasti invece indifferenti davanti alla Pietà Rondanini. L’ho sentita un po’ come una sfida e provo a dire come l’affronterei.
aaagambePartirei ad altezza d’occhio (il loro). Dalle gambe di Gesù, la parte “conclusa” dell’opera. Farei notare la meraviglia di quei ginocchi, di quelle rotule scolpite senza una sbavatura. Farei notare come la gamba cada, se non morta, addormentata, con i muscoli rilasciati. La parte interna della coscia in particolare colpisce: asciutta, affusolata, perfetta.

Farei notare e memorizzare quella perfezione che non è una perfezione astratta, ma è quintessenza della bellezza che l’uomo è, tant’è che vien voglia di accarezzare, di sentire se lì la vità davvero c’è… (è gamba di un atleta, un salttore in alto potrebbe averne una così…)

A questo punto chiederei loro, prima di alzare lo sguardo, di chiudere gli occhi e di immaginare come avrebbe potuto essere quella scultura se fosse continuata  tutta così: “Michelangelo, ragazzi, è uno che ci sapeva fare come nessuno altro…”

Riaprendo gli occhi si trovano ad affrontare la realtà di una scultura che ha imboccato un’altra strada: è il passaggio più delicato. Il passaggio che produce incomprensioni.

aaabracciojpgÈ un passagio che non va affrontato di petto, ma preso lateralmente. Cioè da quel braccio sospeso sulla destra (con la vena che pulsa…) che indica una svolta drammatica nelle vicende di questa scultura. La figura cui appartenevano quelle gambe, nella prima versione era spostata verso la nostra sinistra, pendeva da quella parte, sempre con quel senso di corpo a peso morto. Poi l’artista ha preso una decisione estrema, che si potrebbe giudicare inspiegabile sapendo ormai, avendolo sprimentato, quasi tattilmente sulle gambe, che quell’artista ha la capacità di render vivo il marmo. Ma una ragione evidentemente ci doveva essere.
E qui chiederei loro di provare a formulare qualche ipotesi, senza togliere lo sguardo da quel marmo diventato lassù così nebuloso. Può essere che qualcuno azzecchi una risposta di questo tipo: che Michelangelo voleva legare di più la mamma e il figlio, far vedere quanto bene li unisse e che poi si trovò a non poter chiudere il lavoro per cause di vecchiaia. “Fuocherello, quasi fuoco: ragazzi”.

Le cose potrebbero essere andate così: Michelangelo ad un certo punto, mentre vecchissimo lavorava a questa scultura aveva capito con chiarezza l’idea che l’aveva generata e a cui doveva “obbedire”. E qual era questa idea? Che quando un figlio muore, non si dà che una mamma sia una spettatrice. È una a cui muore qualcosa dentro. Quindi bisognava annullare distanze, fare dei due personaggi quasi un personaggio unico, per dire questa coincidenza di destino (m’è venuto in mente che Michelangelo ha reso in scultura quell’idea straziante che abbiamo visto nel recente funerale delle vittime del terremoto, quando la bara di un bambino è stata appoggiata sopra quella della mamma: un “essere insieme”, irriducibilmente).
aaavoltiSiamo al punto: se l’idea era questa, come si poteva renderla in scultura? Rendendo potente quel senso di fusione tra le due figure, quasi calamitate una dentro l’altra. Farei osservare il particolare della mano della mamma che sembra infilarsi nel corpo del figlio. O quella del mento che s’appoggia con delicatezza sulla testa di Gesù.
Impossibile descrivere per filo e per segno quell’idea: sarebbe diventata qualcosa di banale. Invece quell’idea ha bisogno di restare nell’indistinto, di restare inafferrabile nel suo mistero. Per questo il non finito di Michelangelo è un passo concettulamente oltre il suo finito. Racconta di più, in larghezza e in profondità.

2154247703_8aedaba176Infine farei notare quei due grandi archi che disegnano la scultura vista sul lato destro (quelle disegnato dalla schiena inarcata di Maria) e quello di visto dal lato frontale, disegnato  dalla gamba incurvata e dal braccio “rifiutato”. È come se il blocco di marmo avesse preso le funzioni di un grembo, di un contenitore perfetto per tenere dentro due esseri inscindibili.

Per questo alla domanda madre, che ingombra la testa dei ragazzi: comunque sia questa è opera lasciata a metà strada. Il Barnabò Visconti, invece, è là tutto bello, concluso in ogni dettaglio. Non voglio forzare risposte. Ma dico questo: Ragazzi, guardate bene quei due volti. Sono loro a depositarsi nei vostri sguardi, nonostante le riserve che poete avere. E quando vi capiterà nella vita di scorgere momenti di struggente tenerezza, nel dolore ma anche nella gioia, tra una madre e un figlio, vedrete che la memoria corre subito qui.

Written by giuseppefrangi

Aprile 18th, 2009 at 10:58 am

Le sculture (per me ) più belle del mondo

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Visto che tra pochi giorni il piccolo Crocefisso comperato dallo Stato e di pretesa attribuzione michelangiolesca approda a Milano a fianco del Michelangelo più bello che ci sia, la Pietà Rondanini, mi è venuto lo sfizio di stilare la classifica delle sculture per me più belle del mondo. Con qualche paletto: niente opere dell’antichità, poche viste e non sufficientemente conosciute. E una esclusione forzata del grande romanico che potrebbe ingombrare in eccesso la classifica (Chartres, facciata ovest, Bamberga, Reims, Moissac, Vezelay, Silos…). Considero solo sculture di cui si sappia, nome e cognome, l’autore. E per ogni autore mai più di un’opera.

1. Michelangelo, Pietà Rondanini

2. Donatello, Discesa al Limbo, Pulpito nord, San Lorenzo

3. Giovanni Pisano, La Tomba di Margherita di Brabante, Genova

4. Wiligelmo, La creazione di Eva, Modena, Duomo

5. BenedettoAntelami, La Crocifissione del Duomo di Parma

6. Bernini, Apollo e Dafne

7. Cellini, il Duca Cosimo I

8. Jacopo della Quercia, La Tomba di Ilaria del Carretto

9. Alberto Giacometti, L’uomo che cammina (1944)

10. Rodin, Il monumento a Balzac

11. Nicolò Dell’Arca, Il compianto di Santa Maria della Vita

12. Costantin Brancusi, il bacio (1908)

13. Tilman Riemeschneider, l’altare di Rothenburg

14. Lorenzo Ghiberti, la predella di bramo nella porta del Paradiso

15. Gaudenzio Ferrari, la statua di Cristo che sale la scala santa, cappella 32 Sacro Monte di Varallo

Riflessioni a classifica stilata. Primo, le idee non sono così chiare come in quella dei quadri. C’è un filo conduttore, ma mi scopro più condizionato da valori “non sindacabili”. Secondo, la scultura è, per quattro secoli, un’arte radicalmente italiana, un’arte radicalmente italiana. Che fatica lasciar fuori tanti immensi “minori”: Mochi, Laurana, Civitali, Luca Della Robbia, Desdierio da Settignano, Bambaia, Giovanni Antonio del Maino.  Terzo, il Novecento entra a fatica perché i confini della scultura si fanno molto fluidi. E forse proprio in quel terreno sintatticamente inquieto è più grande, Giacometti a parte: Jannis Kounellis e Richard Serra ho la sensazione potrebbero tenere il confronto meglio di Henri Moore. Pochi dubbi sul primo posto della Pietà Rondanini, vertice e sintesi assoluta di ciò che l’uomo può intuire del proprio destino.

Written by giuseppefrangi

Aprile 2nd, 2009 at 12:05 am

Posted in sculpture & carving

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