Osservavo ieri, ammirato, le colonne del portico di San Lorenzo fuori le Mura a Roma. Bellissime, con quelle scanalature che salgono a spirale, con un motivo che è un dolce richiamo a un senso umano di eternità. Finiscono con un capitello ionico impreziosito da un lavoro di traforo. Sopra c’è un’architrave con motivi decorativi a mosaico, che sembrano un paramento a festa. C’è un punto di pace in certe architetture: e lo capisci quando scopri che non smetteresti mai di guardarle. Sono architetture nate “giuste” che quindi tengono questa loro cifra, nonostante il lavorio a volte pesante del tempo. Le architetture nate “giuste” in genere non sono mai frutto di intuizioni geniali, ma sono idee che si mettono nella scia di cose che già esistono, o che addirittura si adattano docilmente a situazioni preesistenti. Sono architetture obbedienti. San Lorenzo, con la sua doppia navata, neanche in asse una con l’altra, figlie di due momenti della sua storia (costantiniana e medievale) è un po’ così. C’è in quella chiesa come una trasparenza, una limpidezza che si spiega solo con il fatto che ognuna di quelle pietre è stata messa lì non per dare spettacolo di sé ma per far da riflesso ad un’altra gloria. Nello specifico è quella di cui si sono fatti tramite Lorenzo e Stefano i due diaconi martiri che sono sepolti nella cripta della basilica. Pensavo poi alle colonne della navata medievale, scheggiate dalle bombe del 1945: e quindi come anche il dolore e la fatica dell’uomo fossero comprese in quelle pietre. Pietre ferite, accanto a pietre che “cantano”, come quelle del meraviglioso pavimento cosmatesco. Tutto si tiene quando un’architettura è “giusta”, perché è inclusiva, mai esclusiva. Non teme gli inserimenti imprevisti e a volte violenti della storia. E pensavo anche alla sorpresa che mi fa ogni volta ritrovare nella cappella in fondo a destrauna scarna tela (molto affaticata dal tempo, con l’Elemosina di San Lorenzo) del grande Giovanni Serodine, lombardo in trasferta.
Pensavo a tutte queste cose stando sulla piazza perché all’interno la basilica era strapiena per i funerali di don Giacomo, un sacerdote molto importante per la vita di molti e anche per la mia. E pensavo che quel che stavo guardando aveva una relazione davvero profonda con quello che è stata la sua vita.