Robe da chiodi

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Testori e Fontana, una libera affinità

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Sabato 21 a Varese al Castello di Masnago (ore 15) verrà presentato il catalogo della bella mostra Sacri Monti e altre storie, a cura di Claudia Tinazzi e Massimo Ferrari. Una sezione della mostra, alla Sala Verratti, mette a confronto in modo molto intelligente la Crocifissione di Testori del 1949 e un Crocefisso in ceramica di Fontana del 1947, tutt’e due con relativi disegni. Per capire quale sviluppo ha avuto l’idea di Sacro Monte. Per il catalogo ho scritto questo piccolo intervento.

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«Questo groviglio di materie, superbamente glassate, come solo sapevano fare gli anonimi terracottisti Sukhotai nel XIV secolo; superbamente e, aggiungiamo, angosciantemente glassate, quasi l’invetriatura fosse un caramello sanguinante, sacrificale e insieme stellare».
Giovanni Testori a proposito della Via Crucis, 1947 di Lucio Fontana,
in Il Corriere della Sera, 2 ottobre 1988

1949. Gli affreschi che Giovanni Testori ha dipinto sulle vele della chiesa di San Carlo, in Corso Vittorio Emanuele a Milano, vengono scialbati. 1952. Nel concorso per la quinta porta del Duomo Lucio Fontana si vede scartato a favore di Minguzzi. Due sconfitte in uno stretto arco temporale, e in ancor più stretto spazio topografico. Testori, cattolico ancestrale e Fontana, cattolico molto “aereo” si trovano uniti curiosamente da uno stesso destino: essere scartati. Non si può dire che li leghi altro che questa coincidenza, in quanto le rispettive convinzioni artistiche divergono. Tanto erano corporali e centripete quelle di Testori, quanto erano aeree e centrifughe quelle di Fontana. Uno è tutto fisico, l’altro programmaticamente spaziale. Non si conoscono. Frequentano due Milano artisticamente diverse. Testori con Guttuso e Morlotti all’ombra di Picasso. Fontana con Beniamino Joppolo e Roberto Crippa in terreni vergini. Se Testori è artista che diversifica in mille altre attività intellettuali, Fontana è artista in esclusiva. Se Testori ha una memoria densa di substrati e di riferimenti, Fontana, appena rientrato dalla sua Argentina, è un po’ un uomo del mondo nuovo, ripulito da soggezioni nei confronti di ogni passato. Eppure in quel loro ignorarsi, in quel loro essere così geneticamente diversi, ecco che oggi scopriamo una episodica ma non casuale sintonia. Sono quegli incroci non calcolati e neppure calcolabili, che però finiscono con il rivelare, dei rispettivi protagonisti, risvolti che non si erano immaginati. Come due pianeti le cui orbite per un attimo sono tangenti l’una all’altra, e in questo modo si gettano, reciprocamente, luci inedite.

2015. In Sala Veratti a Varese Testori e Fontana per la prima volta si trovano ad essere esposti insieme, in forza della proposta più che persuasiva avanzata dalla curatrice Claudia Tinazzi, sulla base della recensione di un Testori folgorato nel 1988 dalla Via Crucis Niccoli. Il pretesto è il comune occuparsi del tema della crocefissione alla fine degli Anni 40. Per tutti e due non è un impegno né occasionale né rituale. Ma per Testori la crocefissione diventa un’icona che concentra e prende carico di tutto il dolore della storia. Per Fontana invece è come uno strappo che spinge oltre la storia. Ancora una volta sembrerebbe che la coincidenza iconografica vada poi a incocciare e infrangersi contro il muro delle differenze. Del resto anche i fogli esposti nelle bacheche parlano di linguaggi quasi incompatibili tra loro.

Nello stupendo ciclo dei “disegni ritrovati” del 1949, il segno forte, quasi urlato di Testori – come se i fogli fossero stati non disegnati ma colpiti con un coltello – si distanzia dal segno leggero, volante che Fontana sembra aver solo soffiato sulla carta. Il quadro che Testori ricava da quei disegni è una tela sotto assedio, stipata drammaticamente di simboli e di richiami alla Passione. Non c’è centimetro di spazio libero perché la pressione espressiva occupa tutto, si prende tutto. Sull’altro lato della sala il Crocifisso di Fontana, invece s’inarca dentro quell’incendio di ceramica, come per proiettarsi nello spazio esterno, per dimostrare di non essere ostaggio di quella, pur bellissima, materia. Ancora una volta tra Fontana e Testori va in scena il gioco degli opposti.

Eppure i due insieme, in quella sala, ci stanno benissimo. In qualche modo, misteriosamente, dimostrano di legare. Non credo però che ci sia categoria critica che possa spiegare questo insospettato affratellamento. La ragione è altrove, ed è più profonda di tutto ciò che li aveva tenuti lontani. La chiamerei una libertà senza complessi e senza riverenze (neanche di carattere ecclesiale). Una libertà rispetto all’obbligo di caricare di messaggi un soggetto pur così pregnante di significati. Tutt’e due se la giocano su un piano squisitamente personale: la Crocifissione è un “a tu per tu”, non è pretesto per far prediche al mondo. Ma questa libertà, che è soprattutto una grande libertà intellettuale, ha anche una cifra stilistica, intima, che la contrassegna. È quella di un barocco che riemerge dal profondo, come opportunità, come impeto che rompe gli schemi e mischia le carte. Un barocco che Fontana e Testori sentivano sulla loro pelle e che bruciava sulle loro dita, come un’eccitazione, una vibrazione incessante di vita: quindi non eredità culturale ma al contrario energia che affranca da ogni ingabbiamento culturale.

Written by gfrangi

Novembre 17th, 2015 at 9:34 am