I 120 milioni di dollari per una delle quattro versioni dell’Urlo di Munch sono uno sproposito. E questo indipendentemente dal fatto che io giudichi questa “icona” di Munch un po’ troppa sovraccaricata di importanza, con il risultato di essere stata trasformata in una sorta di chiave di accesso interpretativa all’arte del 900 (Munch le realizzò infatti tra 1893 e 1895): il 900 come secolo dell’ansia, della ricerca dell’identità, dello spaesamento dell’individuo. Non sono affatto convinto che questa sia una chiave buona per capire il 900, che al contrario di questa visione depressiva mi è sempre sembrato un secolo ricco come pochi altri di energia e di vitalità, capace di cambiamenti continui e accelerazioni da far girar la testa. Il 900 è il secolo dei fuochi d’artificio assai più che dei fuochi fatui che invasero la testa di Munch nel corso di quella famosa passeggiata a Nizza. Se c’è un’ansia nel 900 è un’ansia molto diversa: quella di non apparire vecchi, di non farsi trovare indietro rispetto al nuovo che avanza. A volte per capire una stagione artistica serve più una cronologia ben fatta di tante, pur acute e intelligenti analisi interpretative (ttanto più se le interpretazioni sono in realtà elucubrazioni). Se si mettono in fila le date dei fatti salienti dell’arte del 900 ci si troverebbe davanti ad una raffica di fatti impressionante, difficilmente conciliabile con l’idea del secolo “depresso” o in cerca di se stesso. Il 900 è piuttosto un secolo vorace, mai sazio, in continua quasi ossessiva fuga da ogni forma di conservazione.
PS: a proposito dell’Urlo, ieri nel corso di una conversazione pubblica a Como che aveva al centro l’opera di Rothko, mi è apparsa chiara l’evidenza che le tele di Rothko, in particolare quelle del Seagram Palace, trattengano un grido assai più clamoroso, potente ed epocale di quello di Munch. La differenza è nella radice del grido. Che per Munch è tutta psicologica e quindi individuale, mentre per Rothko si genera da una sorta di capacità di calamitare e di “contenere” formidabili tensioni della storia. Il risultato è che l’urlo di Munch si esaurisce là dove inizia, mentre quello di Rothko è come un “rombo incatenato” che continua a far tremare i muri e a tenere sotto pressione chiunque lo affronti con lo sguardo.