Giorni di festa per Giovanni Romano, in occasione dei suoi 70 anni. Venerdì è stato presentato un volume di saggi in suo omaggio ed è uscito il prezioso Saggio di Bibliografia 1961 -2008 a cura di Giovanni Agosti e Giovanna Saroni. Ho in mano quest’ultimo, che è qualcosa di più di uno scarno per quanto sistematico elenco di libri e di saggi. Scorrendolo, la prima reazione è di fare una spunta delle cose che si vorrebbero leggere o rileggere (Il profilo del Grammorseo, I Casalesi del 500, il Tanzio del Dizionario biografico…, tutte le cose su Spanzotti, ma anche il saggio sull’Assunta del grande Vittone a Grignasco…). La seconda reazione riguarda la coerenza “geografica” del percorso di Romano, tutto concentrato in un fazzoletto geografico: ma in questo suo star stretto geograficamente, si avverte sin dai titoli, una larghezza di respiro, di visione e di ambizione. Romano è un grande esploratore del “suo“ territorio, continua a battere il chiodo sul quel fazzoletto di terra che il destino gli ha assegnato, ma dentro quel fazzoletto cala problemi e questioni “globali”. Come scrive lui stesso nella prefazione al suo Storie dell’arte (Donzelli 1998): «La nostra disciplina è ancora oggi sensibile allo stile non solo come elemento dirimente tra personalità, ma anche come schermo proiettivo in grado di modulare in modo non equivoco il vissuto degli artisti, dei committenti, del pubblico? Siamo all’altezza di confrontarci con le complesse e disomogenee valenze culturali del nostro passato e di riportarne alla luce, con accogliente disponibilità, storie di persone singole e di convincimenti condivisi?». L’accogliente disponibilità produce una sorta di “fomazione permanente” sugli autori: per cui dalla Biboliografia si resta sorpresi dai continui interventi di “manutenzione” (la definizione è di Giovanni Agosti) di Romano sui suoi saggi e sui “suoi” autori.
Quanto al suo star dentro il Piemonte, non è fattore che non c’entri con la poesie e cona la visione delle cose. Come riporta sempre Agosti, citando lo stesso Romano, tutto si genera da «una concretezza, una carnalità non solo dei corpi, ma proprio delle campagne, degli alberi: la carne del cielo, la carne del fiume…»