«Oggi ci sono tanti creativi e nessun creatore». Lo ha scritto Jean Clair nel primo volume della sua autobiografia appena pubblicata da Gallimard. Premetto che condivido zero della demonizzazione che Jean Clair fa dell’arte contemporanea, da lui liquidata come fenomeno nichilista e distruttivo di ogni memoria. Mi sembra la condanna emessa da una persona di grande intelligenza ma prigioniera della nostalgia di un passato. La posizione di Jean Clair poi nella sua drasticità finisce con l’essere anche schematica. Detto questo credo che quella sua affermazione da cui ho preso spunto contenga qualcosa di molto vero. Oggi siamo in una stagione ricca di creativi ma senza creatori. Per Jean Clair questa suona come una condanna: questo è un tempo abbandonato da Dio.
Io penso invece che come diceva Sant’Ambrogio ogni tempo è buono. E che sta all’uomo capire in che senso è buono. Il nostro ad esempio lo è perché continua ostinatamente a cercare, a mettersi in cammino, a tentare strade senza avere davanti un “creatore” che gliele spiani. Per dirla più concretamente, oggi per quanto riguarda l’arte, non ci sono in giro dei “giganti”. Non ci sono “numeri primi”, cioè personalità che hanno fatto punto a capo. E hanno ricominciato la storia. Non c’è Picasso, non c’è Matisse, non c’è Duchamp, non c’è Mondrian…
Oggi è un altro tipo di tempo. Più frammentato, fitto di mille e mille tentativi. Di uomini e donne, che non potendo avvalersi della leva di un genio, mettono in campo quel di cui Dio li ha dotati: la creatività. Non sono affatto nichilisti anche se non usano linguaggi ortodossi. Anzi spesso la loro dedizione all’umano commuove, perché sono come compagni di strada. Menestrelli che seminano impreviste frammenti di poesia lungo il cammino. Oggi è una stagione in cui l’arte può solo procedere per traiettorie orizzontali. Non le è data la verticalità. Ma la verticalità non è cosa che gli uomini si possono dare da soli. È condizione che appartiene al mistero della storia. Per questo la condanna di Jean Clair suona come irrealistica, oltre che ingiusta. Il genio (il creatore) non è certo esito di uno sforzo né di un buon retroterra. Il genio è il genio e per definizione non prevede condizioni.
Questo nostro invece è un tempo fragile, e insieme generoso. Un tempo ad intensità diffusa. Un tempo senza giganti destinati a segnare i tempi che verranno. Comunque un bellissimo tempo.
Ps: a meno che Clair intenda per “creatore” il creativo che la pensi giusta. Cioé richiamato all’ordine. Ma questo è un creatore senza rischio e senza vertigine. Un creatore che conserva e non crea nulla.
Condivido la tua riflessione, molto acuta. Penso che il pensatore più equilibrato e cauto, e insieme ampio su questo tema sia David Foster Wallace. Ogni sua riga è un tentativo di dire come abbia diritto ad esistere nella sua solitudine e quasi ridicola limitatezza ciò che non è dentro i sistemi di comunicazione di massa, che sono da sempre la misura della “grandezza”; Vasari assegnava classifiche di merito; poi la stampa; e così via… si dimentica che il Rinascimento era un fatto praticato e capito da pochissimi, un fatto di piccoli borghi sulle montagne, di passaparola casuali, di viaggi occasionali per vedere la tal chiesa, perlopiù nel silenzio… il loro “diventare famosi” non è un percorso che ha aumentato di fatto il valore del loro fare, nè era un percorso necessario. L’assenza di “grandi famosi” oggi non indica nulla, in ultima istanza.
Il senso di solitudine accomuna le persone, la capacità di socializzare e di creare comunità sono sicuramente azioni da saper sviluppare, e la partita si gioca sul come migliorare la qualità di questa interazione. Sia Pasolini che Wallace fanno paragoni con l’acqua per indicare il comune essere sommersi in una situazione apparentemente “di default”, che invece va assolutamente migliorata (vedi “Questa è l’acqua” di DFW e l’ultima intervista a Pasolini). Il problema non è l’arte contemporanea o la decadenza degli imperi, signor Jean Clair, il problema da sempre nell’uomo è questa “acqua”, capire da dove viene e che cos’è questa benedetta “acqua”…
L’unica cosa, mi verrebbe da dire, che noterei come un’abitudine pericolosa in arte oggi, è il carattere assertivo delle discussioni sulla vita (e qui Jean Clair si dimostrerebbe anche lui figlio del suo tempo). C’è come una mancanza di cautela nel trattare temi complicati in modo sintetico. E c’è una mancanza di coscienza nello scegliere a cosa prestare veramente attenzione; la “frammentazione” di cui parli secondo me è solo un “deficit di attenzione”, un male curabile, forse neanche un male se la coscienza entra in scena. Si supera per esempio educando alla scelta, alla fatica, al vivere pieno e alla tranquilla esplorazione di sè; all’osservazione della natura…
Va letto David Foster Wallace, è un gigante, ed è del nostro tempo.
Beatrice
9 Feb 16 at 1:30 pm edit_comment_link(__('Edit', 'sandbox'), ' ', ''); ?>
(Per quanto riguarda l’odore di morte che si respira nei musei, sono abbastanza d’accordo con Jean Clair, ma mi sembra un problema affatto religioso in partenza, e invece legato alla politica e al sistema di consumo – e sinceramente è la generazione di Jean Clair, non la nostra, ad essere responsabile di quello che ha fatto coi musei nazionali europei negli anni 80… Un certo senso di responsabilità verso le generazioni “figlie” non sarebbe male.)
Beatrice
9 Feb 16 at 1:53 pm edit_comment_link(__('Edit', 'sandbox'), ' ', ''); ?>
Sono assolutamente d’accordo su David Foster Wallace. anche se mi manca la lettura di Infinte Jest. Quanto all’acqua mi sembra che il suo sia un richiamo a conoscerla e non a giudicarla. Ad amarla anche se nel nostro tempo è stagnante e poco limpida…
gfrangi
15 Feb 16 at 5:36 pm edit_comment_link(__('Edit', 'sandbox'), ' ', ''); ?>