Inaugurazione della mostra di Gianriccardo Piccoli a Loreto. È una meditazione sull’ultimo quadro di Lotto, la Presentazione al Tempio e sul Libro dei Conti. Nella grande salone del Museo dell’Antico Tesoro campeggiano le otto grandi tele di Piccoli che sono una riflessione su quel misterioso spazio vuoto che Lotto apre nella parte superiore della tela: vi si vede un’abside vuota, sulla quale si affaccia da una porta a sinistra un frate, che potremmo immaginare sia lo stesso Lotto, negli ultimi anni di vita oblato della Santa Casa. Ma è lo spazio vuoto, come riflesso di un deserto dell’anima, quello che colpisce. Forse è l’abside in cui sarebbero state appese le opere ultime di Lotto oggi al Museo, ma i muri in verità sono tutti sgombri. Piccolo giustamente s’è inoltrato in questo spazio, e ha costruito queste grandi tele, coraggiose e anche potenti, come per dare fisicità a quello spazio lottesco, quasi per stanarlo. Cioè per farne qualcosa in cui inoltrarsi, in cui insediarsi. Se Lotto sembra un artista che pensa solo a ritrarsi, a “sparire”, Piccoli in un certo senso lo richiama con forza a essere presente, a occupare spazi, a misurarsi con la vastità delle proprie intuizioni. La vastità dell’installazione di Piccoli ha proprio questo senso: dare a Lotto quella gloria da cui s’era ritratto. Occupare spazio è come un rendere giustizia. E’ un omaggio all’insegna della moltiplicazione e della dilatazione. Davvero di grande forza. E di grande rispetto. Da vedere.
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Il giorno dopo sono a vedere l’ultimo Lotto marchigiano che mi mancava, quello di Monte San Giusto. La Crocifissione, circa 1335, è un capolavoro da perdere davvero la testa. Ti si rovescia addosso con i quasi 5 metri di sviluppo verticale nel piccolo spazio della chiesa di Santa Maria della Pietà in Telusiano. Ancora dentro la cornice originale, illuminata bene, è divisa in due parti, con un proscenio a pieni colori con la Madonna, i santi e il vescovo committente (uno che ha speso bene in soldi, anche per noi: si deve essere grati a questi committenti…); sul retro, rialzata si apre solo spazio delle croci che scivola verso l’alto con un risucchio di verticalità che se non è gotica, certamente risente di un’impronta tedesca. Le figure in primo piano, dipinte con i colori che solo Lotto sapeva inventarsi e abbinare, sono un ammasso drammatico e concitato di mani, di braccia, di volti di corpi che che s’intrecciano l’un l’altro. Occupano ogni pertugio di spazio. Lotto non si preoccupa di un’asimmetria di pesi che sposta la composizione a sinistra. Anzi la sottolinea con quella figura stupenda di una delle donne con mantello azzurro, che tiene le braccia aperte, arditamente di scorcio, quasi a richiamare il motivo della braccia del Crocifisso. In alto invece è tempesta, con quel cielo plumbeo che scende i diagonale, e la concitazione drammatica dei condannati. È un quadro in cui il dramma della Crocifissione ci arriva addosso proprio grazie a questa instabilità compositiva. La libertà di Lotto è sempre qualcosa che ti risucchia e da cui è impossibile sottrarsi. Comunque questo è uno di quei quadri che una volta nella vita bisogna aver visto…