Sesto appuntamento del percorso su Rovesciare il 900. Molto interessante e serrata la lezione di Riccardo Venturi su Pollock e Clement Greenberg. C’è un indicativo ritorno di temi in questo percorso: un secolo in cui cambia lo statuto del dipingere e si scopre come le esperienze più diverse abbiano tanti punti in comune, quanto meno come dati di partenza. Venturi spiega bene come per tutti venga meno il “dramma” della tela pensata come scatola spaziale in cui innestare una costruzione visiva. La tela ora è solo bidimensionale, quindi o si ha la forza di innescare un dramma sulla superficie piatta, o non resta che la decorazione. Con Pollock la linea di demarcazione si fa esile: può essere letto in una direzione o nell’altra. Ma Greenberg, che pur non risparmia le sue perplessità, tralasciando di parlare ad esempio del murales fatto per la Guggenheim, alla fine lo riabilita completamente. Dice che il suo dripping non è figlio di Jung e dell’inconscio liberato. O meglio che al fondo del suo inconscio c’è il deposito della tradizione. Lui è figlio di quella. Scrive Greenberg: «Con sottili variazioni entro una minima illusione di profondità Pollock riesce a iniettare unità drammatica e pittorica in motivi di colore, forma e linea che altrimenti sembrerebbero ripetitivi come in una carta da parati». E ancora: «Pollock aveva una consapevolezza del suo lavoro molto superiore a quella della maggior parte degli artisti». Sul dripping: «Pollock imparò a controllare la vernice gettata e lasciata sgocciolare quasi come controllava un pennello; se la casualità aveva un qualche ruolo era quello di una casualità felice e ben controllata come accade con qualsiasi pittore che tenga conto degli effetti di una rapida esecuzione».
Resta aperta la questione dei dipinti “all over”, cioè integrali perché il loro motivo può teoricamente ripetersi anche oltre la superficie della tela. Monet aveva risolto la questione a modo suo, con una circolarità (nelle Ninfee all’Orangerie) che non ha un inizio e una fine. Pollock invece alla fine accetta la convenzione dei confini della tela: ma questo patteggiamento è quello che dà energia e compressione ai suoi dipinti. Evita lo slabbramento della decorazione. Anche da questo si capisce quanto la tradizione e non il generico inconscio sia la leva decisiva del suo dipingere.
Circa la ‘consapevolezza’ di Pollock e il suo ‘controllo’ dello sgocciolamento, vale forse la pena di rivolgere un pensiero a Henri Poincaré e Benoit Mandelbrot, teorici della teoria del caos, secondo la quale lo sgocciolamento della vernice fluida attraverso i fori praticati in un contenitore o dal pennello imbevuto è un processo naturale che obbedisce alle leggi della teoria dei frattali.
Narra la leggenda che Richard Taylor, un matematico-artista docente di fisica all’Università dell’Oregon e pittore dilettante di opere astratte, scoprì l’arcano del tutto casualmete ed oggi pare che l’autenticità di un Pollock venga certificata previa scansione al computer dello schema distributivo delle zone riempite di colore e delle zone bianche, sempre uguale, per quanto si riduca la scala di osservazione, secondo una precisa struttura frattale simile a quella in cui evolvono le forme naturali. Pollock sembrerebbe inconsapevole del fatto che l’oscillazione, lo sgocciolamento e il movimento pendolare dell’avambraccio sono fenomeni fisici, che casualmente diventano linguaggio artistico.
vilma torselli
13 Mag 13 at 5:25 pm edit_comment_link(__('Edit', 'sandbox'), ' ', ''); ?>