In questo dicembre fortunosamente picassiano, almeno per noi milanesi (38mila biglietti a settimana…), ho riletto il libretto di Gertrude Stein su Picasso (Adelphi). È un testo in cui la forza della tesi è prevaricante e quindi spiega le inesattezze che contiene e un procedere più a cerchi concentrici che rettilneo. La Stein non racconta una storia, racconta un’epica. Proprio per questo per conoscere Picasso non si può non leggerlo. Mi sono segnato queste tre intuizioni. La seconda in particolare è un’intuizione chiave.
Bruttezza. «Dallo sforzo per generare intensità, dalla lotta per generare questa intensità deriva sempre una certa bruttezza: chi viene dopo può fare, di questa cosa, una cosa bellissima, visto che è già stata inventata, sa quello che fa; è inevitabile invece che l’inventore, il quale non sa quello che inventa, faccia una cosa che ha la sua bruttezza».
Bambino. «Un bambino vede la faccia di sua madre, e la vede in modo completamente diverso da come la vedono gli altri. Non sto parlando dell’anima della madre, ma dei tratti, dell’intera faccia; il bambino la vede molto da vicino, è un faccia grande per gli occhi di un piccino, il bambino per un po’ vede solo una parte della faccia della madre, conosce un tratto e non l’altro: alla sua maniera, Picasso conosce le facce come un bambino, conosce le facce, la testa, il corpo… Ognuno è abituato a completare l’insieme con quello che sa: ma Picasso quando vedeva un occhio, l’altro non esisteva più, per lui esisteva solo quello che vedeva… Il cubismo di Picasso fu lo sforzo di fare un quadro con queste cose visibili e il risultato fu sconcertante per lui e per gli altri».
(nota: questo brano è stato letto dalla direttrice del Museo Picasso di Parigi nell’incontro di preparazione per le guide della mostra milanese. Scelta molto giusta, perché più di tante letture scolastiche, questa intuizione della Stein arriva davvero al cuore del cubismo d Picasso. Da parte mia aggiungerei, che quello di Picasso è anche l’occhio della madre: schiacciato sul bambino in senso fisico – lo tiene tra le braccia – e ovviamente in senso affettivo).
Vedere. «Le complicazioni sono sempre facili, ma una visione diversa da quella di tutti è molto rara. Ecco perché i geni sono rari: complicare le cose in modo nuovo è facile, ma vedere le cose in modo nuovo è difficile. Picasso vedeva qualcos’altro, non una complicazione diversa, ma una cosa diversa. Lui non vedeva progredire le cose come la gente le vedeva progredire nell’Ottocento, vedeva le cose progredire mentre essi non progredivano. Questo era il Novecento. In altre parole lui era contemporaneo alle cose e vedeva queste cose, non vedeva come gli altri, come tutti credevano di vedere, cioè come loro stessi le vedevano nell’Ottocento».
A me piace ricordare, con Gualtieri di San Lazzaro, che “il vero capolavoro di Picasso era Picasso stesso” (Parigi era viva, 1966)
Luca Nicoletti
5 Dic 12 at 10:36 pm edit_comment_link(__('Edit', 'sandbox'), ' ', ''); ?>