Quando sabato ho letto su Repubblica del progetto di portare per qualche mese la Pietà Rondanini a San Vittore mi sono detto che non ci poteva essere, in questo momento, un’idea più bella per Milano. La Pietà messa al centro panopticon da cui si partono i sei raggi e dove ogni domenica si dice la Messa, è un gesto dove la dimensione umana e quella artistica arrivano a coincidere. Non c’è bisogno di spiegare un granché: ma è un’operazione in cui vedo un doppio disvelamento. Innanzitutto il disvelamento della condizione disumana in cui oggi sono stipati mille e passa detenuti a San Vittore, cioè in un carcere che è nel cuore della città. Dall’altra il disvelamento di uno dei più grandi capolavori della storia della scultura, che oggi se ne sta infossato e dimenticato dietro quel malaugurato muro, al Castello Sforzesco.
Non voglio aggiungere altro, perché sarebbe solo retorica: ma ipotizzare la Pietà con quella Madonna inarcata a reggere il corpo del figlio in quel preciso luogo, incrocio di migliaia di storie di passione, mi sembra un’immagine di una potenza e di una commozione che ha pochissimi paragoni. Mi auguro davvero che Milano sia determinata e appassionata nel sostenere questo progetto.